sabato 30 ottobre 2021

"La forza che fa andare avanti il mondo" - XXXI° domenica del tempo ordinario

Questa domenica si pone come vigilia della festa dei santi e del ricordo dei defunti. La Parola oggi ascoltata può così aiutarci a vivere con maggior consapevolezza questi giorni.

E’ una Parola che ci porta immediatamente a ciò che è più importante: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”,  cosa  vale di più nella vita?  La risposta di Gesù ci guida a riconoscere che ciò veramente conta ed è importante è l’amore: quell’amore che ha in Dio la sua sorgente, in noi i suoi canali, nei fratelli tutti quell’oceano in cui riversarsi.

Per amore di Dio e del prossimo i santi hanno speso generosamente la loro vita, ritrovandola in pienezza, portando frutti che oggi noi possiamo gustare, che nutrono e rinsaldano il nostro cammino.

Essi ci ricordano che non c’è altra strada per realizzare se stessi se non questa: amare Dio e il prossimo. E come ogni strada ha certo le sue fatiche, le sue salite. L’amore è appunto un cammino; si snoda nel futuro. Gesù stesso coniuga l’amore al futuro: “Amerai”. Passo dopo passo, giorno dopo giorno. Amerai. Crescerai nell’amore e arriverai alla sua pienezza.

Chi ama Dio e il prossimo non è lontano dal Regno di Dio, si sta avvicinando ad esso, ricorda il vangelo, se non smetterà di amare e di imparare ad amare da Colui che il regno è venuto a realizzarlo tra noi, il Signore Gesù. In lui l’amore trova il suo vertice, in quel comando nuovo che porta a compimento il comando antico: “Amatevi come  io ho amato voi”. Solo allora il regno si compie e l’amore arriva al suo vertice.

Il ricordo dei nostri defunti poi ci invita a riconoscere che l’amore è la meta finale ed è ciò che rimane quando tutto finisce e scompare. E’ ciò che porteremo con noi (nient’altro!), è ciò che lasceremo come vera eredità, è ciò che saremo per sempre: amore nell’abbraccio del Dio Amore che ci ha chiamati alla vita e questa vita la porta a pienezza in Lui. Papa Francesco nella esortazione sulla santità, “Gaudete et exsultate” scrive: “Poiché ‘che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Queste due ricchezze non svaniscono”.

Riconosciamo allora, come Gesù ci ricorda, che l’amore è il principio di tutto: nasce da Dio, arriva a noi come dono, si espande verso il nostro prossimo, in forme e modalità le più diversificate, spingendo così il mondo e la storia verso una comunione universale che troverà in Dio il principio di tutto anche il suo compimento.

Allora amare è veramente dare un futuro a noi stessi, al mondo intero. Amare è dare futuro, costruire futuro, che significa dare speranza, dare opportunità, dare vita. Veramente l’amore è la forza che fa andare avanti il mondo a iniziare dalla nostra vita e dalla vita di chi ogni giorno incontriamo.

Questo vale per tutti – credenti o meno – ma di questo amore, rivelatoci da Cristo Gesù, noi sua famiglia, sua chiesa, siamo resi canale inesauribile.

La chiesa esiste per diffondere l’amore del Padre del Figlio e dello Spirito. E’ la sua missione, il suo compito. Quando dimentica ciò, non solo non ha più nulla da offrire al mondo, ma diventa ostacolo e impedimento agli uomini e alle donne che cercano e anelano alla pienezza della vita.

Allora come chiesa facciamo nostro ancora una volta l’invito di Gesù, ascoltiamo: accogliamo l’invito ad amare traducendolo in scelte concrete. Sia l’amore verso Dio in tutta la sua totalità (con tutto noi stessi), sia l’amore verso il prossimo in tutta la sua universalità (verso tutti senza esclusioni). Se questo è ciò che veramente conta e vale, è ciò che unicamente rimane oltre la morte, se questo amore ha la forza di generare un futuro positivo e di speranza, non perdiamoci su altre strade che ci portano lontano da Dio e dal prossimo, ma piuttosto incanaliamo tutte le nostre capacità per rendere ogni nostra giornata capace di amore autentico: questa è la santità cui siamo chiamati, questo il Paradiso che inizia già qui in terra.

 

sabato 23 ottobre 2021

«Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» - XXX° domenica del tempo ordinario

«Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Da questa frase, tema della giornata missionaria mondiale vogliamo oggi lasciarci guidare.

Che cosa abbiamo visto, ascoltato e che non possiamo tacere?

Innanzitutto il grido e la sofferenza del fratello.

Non dobbiamo essere come la folla che mette a tacere questo grido. Dà fastidio chi grida; quella folla che sente il cieco gridare il suo dolore vuole ignorarlo. Immagine attuale di una società che mette spesso a tacere i tanti che nella loro povertà e miseria stanno ai bordi della vita e gridano il loro dolore; immagine anche della comunità cristiana che può diventare ostacolo verso coloro che sono alla ricerca di Gesù pur con le loro miserie e i loro limiti. Queste persone a volte ci danno fastidio perché il loro grido ci interpella, ci scomoda…

Come Gesù piuttosto impariamo a saper vedere e ascoltare il grido che sale dalle strade del mondo. E’ grido di uomini e donne che cercano luce, senso, fiducia, speranza. E’ grido di una umanità sofferente e scartata, umiliata e sfruttata. Non chiudiamo gli occhi per non vedere e le orecchie per non sentire. Chiediamo a Gesù che ci metta in grado di “sentire giusta compassione” verso quanti sono in ogni tipo di  prova.

“Gesù si fermò e disse: Chiamatelo”. Una voce che chiama: chiama i piccoli, i miseri, gli ultimi; chiama tutti e tutti accoglie così come siamo. Gesù vede, ascolta, chiama, accoglie, si prende cura.

Ecco allora che non possiamo tacere quello che in Lui abbiamo visto e ascoltato: l’amore di Dio che tutti vuole raggiungere.

“Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Parole che descrivono un andare incontro all’altro, un mettersi a sua disposizione; Gesù chiede, come fa un servo davanti al suo padrone: cosa devo farti? Una domanda che rivela l’atteggiamento di disponibilità e di servizio tipico di Gesù. Nessuno è estraneo, nessuno può sentirsi estraneo o lontano rispetto a questo amore di compassione (P.Francesco).

Allora, quello che abbiamo visto e ascoltato, ovvero il grido e la cecità dell’umanità e l’amore gratuito e smisurato di Dio rivelato in Gesù, non possiamo tacerlo. Testimoni e profeti. La giornata missionaria chiama tutti noi cristiani: «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Scrive Papa Francesco nel messaggio per questa giornata: “In questo tempo di pandemia, davanti alla tentazione di mascherare e giustificare l’indifferenza e l’apatia in nome del sano distanziamento sociale, è urgente la missione della compassione capace di fare della necessaria distanza un luogo di incontro, di cura e di promozione”.

Non possiamo tacere davanti alle ingiustizie, alle violenza, al disprezzo verso la vita, davanti al dolore di tanti.

Non possiamo tacere l’amore di Dio che ci vuole tutti fratelli. E questo amore annunciare e testimoniare. Testimoni e profeti attraverso la “missione della compassione”.

E’ la missione della chiesa, di ogni cristiano. Essa si traduce in parole e gesti quotidiani che troviamo riassunti nelle parole che la folla alla fine sa rivolgere al cieco: Coraggio! Alzati, ti chiama”. Noi, che siamo al tempo stesso mendicanti e folla, lungo le nostre strade, ad ogni persona a terra, portiamo in dono, senza stancarci mai, queste tre parole generanti: «Coraggio, alzati, ti chiama».

Non possiamo tacere questo amore di Dio chiamato a prendere carne attraverso i nostri gesti e le nostre parole perché ogni uomo possa rialzarsi e rimettersi in cammino: “balzò in piedi e venne da Gesù.. subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”.

L’incontro con Gesù apre nuovi cammini, nuove possibilità. E noi, questo incontro dobbiamo favorire.

Davanti al grido di tanti – vicini e lontani – che invocano luce, solidarietà, giustizia, aiuto, non restiamo sordi e ciechi, ma come Gesù e con Gesù diventiamo missionari di compassione, portando incoraggiamento, attenzione, speranza a chi incontriamo sulla strada della vita.


 

 

venerdì 22 ottobre 2021

Francesco: "Obbligo di svolta" - 49° settimana sociale dei cattolici italiani.

Pubblichiamo il messaggio che papa Francesco ha inviato ieri ai partecipanti alla 49ª Settimana sociale dei Cattolici italiani, letto in apertura di lavori dall’arcivescovo di Taranto monsignor Filippo Santoro.

Cari fratelli e sorelle, saluto cordialmente tutti voi che partecipate alla 49a Settimana sociale dei Cattolici italiani, convocata a Taranto. Rivolgo il mio saluto fraterno al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, all’arcivescovo Filippo Santoro e ai vescovi presenti, ai membri del Comitato scientifico e organizzatore, ai delegati delle diocesi italiane, ai rappresentanti dei movimenti e delle associazioni, a tutti gli invitati e a quanti seguono l’evento a distanza.

Questo appuntamento ha un sapore speciale. Si avverte il bisogno di incontrarsi e di vedersi in volto, di sorridere e di progettare, di pregare e sognare insieme. Ciò è tanto più necessario nel contesto della crisi generata dal Covid, crisi insieme sanitaria e sociale. Per uscirne è richiesto un di più di coraggio anche ai cattolici italiani. Non possiamo rassegnarci e stare alla finestra a guardare, non possiamo restare indifferenti o apatici senza assumerci la responsabilità verso gli altri e verso la società. Siamo chiamati a essere lievito che fa fermentare la pasta (cfr Mt 13,33). La pandemia ha scoperchiato l’illusione del nostro tempo di poterci pensare onnipotenti, calpestando i territori che abitiamo e l’ambiente in cui viviamo. Per rialzarci dobbiamo convertirci a Dio e imparare il buon uso dei suoi doni, primo fra tutti il creato. Non manchi il coraggio della conversione ecologica, ma non manchi soprattutto l’ardore della conversione comunitaria. Per questo, auspico che la Settimana sociale rappresenti un’esperienza sinodale, una condivisione piena di vocazioni e talenti che lo Spirito ha suscitato in Italia. Perché ciò accada, occorre anche ascoltare le sofferenze dei poveri, degli ultimi, dei disperati, delle famiglie stanche di vivere in luoghi inquinati, sfruttati, bruciati, devastati dalla corruzione e dal degrado.

Abbiamo bisogno di speranza. È significativo il titolo scelto per questa Settimana Sociale a Taranto, città simbolo delle speranze e delle contraddizioni del nostro tempo: «Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. Tutto è connesso». C’è un desiderio di vita, una sete di giustizia, un anelito di pienezza che sgorga dalle comunità colpite dalla pandemia. Ascoltiamolo. È in questo senso che vorrei offrirvi alcune riflessioni che possano aiutarvi a camminare con audacia sulla strada della speranza, che possiamo immaginare contrassegnata da tre “cartelli”.

 Il primo è l’attenzione agli attraversamenti. Troppe persone incrociano le nostre esistenze mentre si trovano nella disperazione: giovani costretti a lasciare i loro Paesi di origine per emigrare altrove, disoccupati o sfruttati in un infinito precariato; donne che hanno perso il lavoro in periodo di pandemia o sono costrette a scegliere tra maternità e professione; lavoratori lasciati a casa senza opportunità; poveri e migranti non accolti e non integrati; anziani abbandonati alla loro solitudine; famiglie vittime dell’usura, del gioco d’azzardo e della corruzione; imprenditori in difficoltà e soggetti ai soprusi delle mafie; comunità distrutte dai roghi... Ma vi sono anche tante persone ammalate, adulti e bambini, operai costretti a lavori usuranti o immorali, spesso in condizioni di sicurezza precarie. Sono volti e storie che ci interpellano: non possiamo rimanere nell’indifferenza. Questi nostri fratelli e sorelle sono crocifissi che attendono la risurrezione. La fantasia dello Spirito ci aiuti a non lasciare nulla di intentato perché le loro legittime speranze si realizzino.

Un secondo cartello segnala il divieto di sosta. Quando assistiamo a diocesi, parrocchie, comunità, associazioni, movimenti, gruppi ecclesiali stanchi e sfiduciati, talvolta rassegnati di fronte a situazioni complesse, vediamo un Vangelo che tende ad affievolirsi. Al contrario, l’amore di Dio non è mai statico e rinunciatario, «tutto crede, tutto spera» (1 Cor 13,7): ci sospinge e ci vieta di fermarci. Ci mette in moto come credenti e discepoli di Gesù in cammino per le strade del mondo, sull’esempio di Colui che è la via (cfr Gv 14,6) e ha percorso le nostre strade. Non sostiamo dunque nelle sacrestie, non formiamo gruppi elitari che si isolano e si chiudono. La speranza è sempre in cammino e passa anche attraverso comunità cristiane figlie della risurrezione che escono, annunciano, condividono, sopportano e lottano per costruire il Regno di Dio. Quanto sarebbe bello che nei territori maggiormente segnati dall’inquinamento e dal degrado i cristiani non si limitino a denunciare, ma assumano la responsabilità di creare reti di riscatto. Come scrivevo nell’Enciclica Laudato si’, «non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore non può considerarsi progresso» (n. 194). Talvolta prevalgono la paura e il silenzio, che finiscono per favorire l’agire dei lupi del malaffare e dell’interesse individuale. Non abbiamo paura di denunciare e contrastare l’illegalità, ma non abbiamo timore soprattutto di seminare il bene!

Un terzo cartello stradale è l’obbligo di svolta. Lo invocano il grido dei poveri e quello della Terra. «La speranza ci invita a riconoscere che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi» (n. 61). Il vescovo Tonino Bello, profeta in terra di Puglia, amava ripetere: «Non possiamo limitarci a sperare. Dobbiamo organizzare la speranza!». Ci attende una profonda conversione che tocchi, prima ancora dell’ecologia ambientale, quella umana, l’ecologia del cuore. La svolta verrà solo se sapremo formare le coscienze a non cercare soluzioni facili a tutela di chi è già garantito, ma a proporre processi di cambiamento duraturi, a beneficio delle giovani generazioni. Tale conversione, volta a un’ecologia sociale, può alimentare questo tempo che è stato definito “di transizione ecologica”, dove le scelte da compiere non possono essere solo frutto di nuove scoperte tecnologiche, ma anche di rinnovati modelli sociali. Il cambiamento d’epoca che stiamo attraversando esige un obbligo di svolta. Guardiamo, in questo senso, a tanti segni di speranza, a molte persone che desidero ringraziare perché, spesso nel nascondimento operoso, si stanno impegnando a promuovere un modello economico diverso, più equo e attento alle persone.

Ecco, dunque, il pianeta che speriamo: quello dove la cultura del dialogo e della pace fecondino un giorno nuovo, dove il lavoro conferisca dignità alla persona e custodisca il creato, dove mondi culturalmente distanti convergano, animati dalla comune preoccupazione per il bene comune.

Cari fratelli e sorelle, accompagno i vostri lavori con la preghiera e con l’incoraggiamento. Vi benedico, augurandovi di incarnare con passione e concretezza le proposte di questi giorni. Il Signore vi colmi di speranza. E non dimenticatevi, per favore, di pregare per me.

Francesco

© LIBRERIA EDITRICE VATICANA

sabato 16 ottobre 2021

"Tra voi però non è così" - XXIX° domenica del tempo ordinario

“Tra voi però non è così”. Non deve essere così!

Le parole di Gesù chiudono questo episodio, che rivela ancora una volta l’incomprensione dei discepoli e le attese sbagliate nei suoi confronti: “vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo… concedici di sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Discepoli che desiderano non tanto il realizzarsi della sua volontà, ma della loro, che si rivela volontà di primeggiare e dominare sugli altri.

Le parole di Gesù suonano come chiaro e preciso invito a una ‘differenza’ che deve distinguere il discepolo e la chiesa, da coloro che governano e in genere dalla società tutta. Una ‘differenza’ che deve qualificare nettamente il cristiano e renderlo visibile in mezzo agli altri. “Tra voi non sia così”: cioè tra voi non ci sia la ricerca di privilegi, di dominio fino ad opprimere e schiacciare gli altri.

“Chi vuole diventare grande fra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”.

E’ la via nuova che Gesù apre al discepolo e alla sua chiesa.

Una via apparentemente strana, se non assurda, in un mondo dove il potere è cercato e non solo da chi governa… ma alla fine da tutti; primeggiare, essere importanti, farsi valere, poter dominare qualcuno o qualcosa, sembra oggi il modo normale di essere e di vivere.

E’ la sottile tentazione del potere che fa capolino anche in noi come lo fece in Giacomo e Giovanni. Tentazione che si manifesta nel nostro piccolo quotidiano: nelle relazioni, sul luogo di lavoro, nel gruppo, perfino nella coppia a volte, e certamente anche nella comunità cristiana, nella chiesa.

“Tra voi non sia così” avverte Gesù.

Non si tratta solo di un generico invito, e nemmeno di voler assumere uno stile semplicemente alternativo. Quello che Gesù chiede è di essere come Lui, il Figlio di Dio che, invece del potere e della gloria, ha scelto di farsi servo e ultimo per amore. “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita”.

“Servo” è la parola che rivela il vero volto di Dio. Gesù è il Dio che si fa servo dell’umanità. Da onnipotente a servo: novità assoluta.

“Il giusto mio servo”, annunciava il profeta Isaia, “giustificherà molti”, aprirà cioè per tutti spiragli di luce, vie di vita.

Gesù è il servo che è venuto a “prendere parte alle nostre debolezze” come ci ricorda la lettera agli Ebrei: possiamo dunque “accostarci con piena fiducia al trono – non del potere, del dominio ma – della grazia – dell’amore gratuito per noi, per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati nel momento opportuno”. Un servizio d’amore.

Così Gesù si presenta: “Sono venuto per essere servo”. Per renderci non schiavi ma figli liberi. Chi domina rende l’altro schiavo; chi serve invece rende l’altro signore. Il padrone fa paura, il servo no. Il padrone esige, il servo invece dona. Il Dio che Gesù ci rivela non è padrone, ma servo. Servo per amore nostro.

Non possiamo allora essere suoi discepoli, la sua chiesa, se cediamo alla tentazione del potere e del dominio. Ne diventiamo la contraddizione. Come cristiani siamo chiamati a diventare anche noi come Gesù servi. Mai padroni di nessuno, mai ricercatori di privilegi, di posizioni di prestigio, di onori. Solo così siamo suoi discepoli, la sua chiesa.

“Tra voi dunque non sia così”: possano le nostre comunità imparare a vivere come Gesù ha vissuto; per essere chiesa in cammino, chiesa sinodale. Farsi servi è l’atteggiamento giusto per vivere il Sinodo che si apre in tutta la chiesa. Gli uni a servizio degli altri per discernere “ciò che lo Spirito dice alle chiese” e crescere insieme nella comunione, nella partecipazione, nella missione. Tre parole che dicono il tema del Sinodo (2021-2025)

Papa Francesco ha dichiarato che “il mondo in cui viviamo e che siamo chiamati ad amare e servire, pur con le sue contraddizioni, esige che la Chiesa rafforzi la cooperazione in tutte le aree della sua missione” “Ogni battezzato dovrebbe sentirsi coinvolto nel cambiamento ecclesiale e sociale di cui abbiamo tanto bisogno. Questo cambiamento richiede una conversione personale e comunitaria che ci faccia vedere le cose come le vede il Signore”.

sabato 9 ottobre 2021

"Vieni. Seguimi" - XXVIII° domenica del tempo ordinario

La lettera agli Ebrei – seconda lettura di oggi – risuona come invito a lasciarci guidare dalla Parola di Dio: essa è viva, efficace, tagliente. Penetra nel profondo dell’animo e ci aiuta a discernere i sentimenti e i pensieri del cuore.

E proprio il vangelo diventa invito a discernere la strada della vita. “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”: la domanda è anche nostra. Quale strada stiamo percorrendo per avere la vita?

L’incontro con Gesù oggi ci aiuti a sentire il suo sguardo d’amore su ciascuno di noi: “fissò lo sguardo su di lui, lo amò”; Gesù ci guarda, ci ama, ci parla: “Una cosa sola ti manca…”.

La sua Parola discerne e apre a ulteriori passi. Quasi volesse dirci: non accontentarti di quello che sei e fai, non accontentarti di sentirti giustificato perché osservi regole e tradizioni, pur anche i comandamenti… Non accontentarti, altri passi occorrono per arrivare a una vita piena, bella, felice.

E non esita a indicare questi passi: “vendi quello che hai” alleggerisci la tua vita, liberati dalla schiavitù delle cose; “e dallo ai poveri”, apriti alla condivisione, alla fraternità “e avrai un tesoro in cielo”, perché sarai felice se farai felice qualcuno; “vieni! Seguimi!”, cammina, vivi con me e come me per portare nel mondo l’amore del Padre, per far crescere il suo Regno.

Ecco i passi che conducono a una vita piena, felice, eterna!

Sono anche i nostri passi? I passi che stiamo percorrendo? Oppure siamo anche noi frenati, come quel tale, dalla tentazione e dall’ostacolo della ricchezza, della nostre sicurezze umane? Perché non è tanto l’avere dei beni che impedisce il cammino, quanto il riporre ogni fiducia su questi beni, finendo per credere che nel denaro, nella sicurezza materiale, nelle cose che abbiamo, consista la strada della vita. Ma così facendo cadiamo nell’idolatria. Sostituiamo, senza accorgercene, Dio con la ricchezza.

Papa Francesco lo ha rimarcato più volte: “Dove si pone la speranza nel denaro, lì non c’è Gesù”.

L’attaccamento idolatrico alla ricchezza alla fine ci fa perdere tutto.

Ci fa perdere Gesù, la fede-fiducia in Dio; ci fa perdere le sane relazioni con gli altri perché ci si chiude a riccio su noi stessi e l’altro diventa nemico, antagonista; ci fa perdere soprattutto la gioia: “se ne andò rattristato, possedeva infatti  molti beni”.

Purtroppo è sotto i nostri occhi: con il denaro e per il denaro si calpestano le persone, si imbroglia il prossimo, si dividono e si odiano le famiglie, si sfrutta la natura…

La strada che conduce alla vita allora chiede a noi il coraggio, e un po’ di fatica anche, per non diventare schiavi dei beni; chiede una conversione che umanamente può apparire impossibile, “quanto è difficile” ricorda Gesù ai suoi.

“Chi può essere salvato?” si chiedono i discepoli.

Ma “tutto è possibile a Dio”, alla sua grazia, alla forza del suo Spirito. Per questo la strada resta quella dalla preghiera e dell’ascolto, per attingere a quella sapienza del cuore che ci rende capaci di discernere ciò che veramente conta.

“Pregai mi fu elargita la prudenza, venne a me la sapienza. Stimai un nulla la ricchezza al suo confronto. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni”, osserva l’autore del libro della Sapienza nella prima lettura.

Questo, “mi sono venuti tutti i beni”, a confermare a noi che ne vale la pena di compiere i passi che Gesù ci propone.

Anche i primi discepoli avevano qualche dubbio: “noi abbiamo lasciato tutto, ti abbiamo seguito”, sembra dire Pietro “che ne avremo in cambio?”.

“Non c’è nessuno che abbia lasciato… che non riceva già ora” conferma Gesù. E lo confermano anche la vita, l’esempio di tanti, santi o meno, che si sono fidati di Lui.

Cosa aspettiamo dunque a percorrere la stessa strada?

sabato 2 ottobre 2021

"Tutti da una stessa origine" - XXVII° domenica del tempo ordinario

Siamo a conclusione di un mese (Tempo del creato), aperto dal messaggio congiunto del Papa con il patriarca ecumenico Bartolomeo I° di Costantinopoli per la salvaguardia del creato; mese, che si chiuderà domani festa di san Francesco, contrassegnato da iniziative diverse sia in campo ecclesiale che sociale e politico, soprattutto sotto la spinta dei giovani.

E’ da questa particolare prospettiva che vi invito ad accostarvi alla Parola di Dio di questa domenica. E’ infatti una Parola che va oltre alla specifica riflessione sul Matrimonio e la relazione di coppia. O meglio: affronta questa questione attraverso uno sguardo molto più ampio. E’ Gesù stesso che interrogato dai farisei allarga il discorso e rimanda “agli inizi della creazione”, alle origini, per scoprire un progetto, un disegno di Dio che abbraccia l’intera creazione.

Un progetto che la lettera agli Ebrei (2 lettura) sintetizza con questa frase: : “provengono tutti da una stessa origine”, al punto che possiamo riconoscerci e chiamarci fratelli.

La prima lettura poi, pur essendo solo uno stralcio del 2 capitolo della Genesi, sottolinea la stretta relazione tra uomo, creature, uomo e donna, creature e Creatore.

Tutto viene da Lui a iniziare dal creato: piante e animali pensati perché l’uomo non resti solo ma trovi un aiuto che gli sia simile. Aiuto che sarà pieno e completo con la presenza della donna: uomo e donna si scoprono chiamati a vivere in relazione tra loro e con il creato realizzando una comunione di armonia, di amore che li renda, insieme, immagine e somiglianza di Dio il Creatore.

Il creato, l’uomo e la donna chiamati ad essere l’un per l’altro “aiuto”; creato, uomo e donna insieme, perché “non è bene che l’uomo sia solo”. Siamo stati fatti per la comunione, per l’unità nell’amore. Fatti per amare, che appunto significa diventare uno, “una sola carne”, una sola persona, una sola umanità. 

Tutto dunque si muove da un principio verso un fine che è la comunione, l’unità, l’armonia tra creature e Creatore. Siamo stati pensati nella prospettiva del noi e siamo in cammino “verso un noi sempre più grande”, chiamati insieme a costruire quella comunione di cui la coppia nel Matrimonio diventa segno-sacramento.

Quando questa armonia e comunione viene meno entra nel mondo la divisione che porta turbolenza, contrasto, così da sperimentare tensione, lotta fino ad aprire ferite che lacerano i rapporti tra uomo e donna , tra creato e umanità, tra umanità e Dio stesso. Solo la ricerca della comunione può aiutare l’umanità a crescere insieme in un giusto rapporto con il creato e il Creatore. Ecco perché la questione ambientale non può essere separata dalla questione sociale, dalle relazioni tra le persone. Siamo un tutt’uno. L’ecologia integrale di cui parla papa Francesco nella ‘Laudato si’ sta proprio nella capacità di coniugare la cura del creato con la cura delle relazioni sociali per generare armonia e fraternità, pace e giustizia sociale. Non ci basta un ambiente pulito, meno inquinato, ci occorre un ambiente fraterno: e più saranno fraterne e giuste le relazioni umane più sarà custodito anche l’ambiente. Ci occorre un ambiente fraterno dove sperimentare la bellezza di essere vivi, di riconoscersi provenienti da una stessa origine e chiamati a vivere insieme nel creato e con il creato una autentica fraternità universale.

Perché questo sia possibile occorre tornare al principio e al cuore. Tornare bambini perché “a chi è come loro appartiene il regno di Dio”. Curioso questo finale tra Gesù e i bambini. E’ un’indicazione preziosa. Solo tornando a un cuore di bambino, ciò pronto a fidarsi totalmente dell’altro, di Dio, del fratello, della sorella che abbiamo accanto, possiamo ritrovare la capacità di essere costruttori di unità e di comunione ovunque.

Oggi, dove tutti siamo tentati di sentirci supereroi, tornare bambini, più semplici e umili, più capaci di fiducia reciproca, più disponibili a costruire relazioni autentiche di amore, è la sfida per tutti.