sabato 15 agosto 2020

sabato 8 agosto 2020

“Dio ci sei? dove sei? chi sei?” - Diciannovesima domenica del tempo ordinario.

Trapela dentro l’annuncio della Parola di Dio di oggi una nota costante di sottofondo: risuona, cupa, la nota della paura.

E’ la paura dei discepoli sulla barca agitata dalle onde e con il vento contrario. E’ la paura che porta Elia a chiudersi dentro una caverna (1lettura) per fuggire a quanti lo perseguitavano. E’ la paura che, velatamente o meno, risuona dentro la nostra vita, lungo le nostre giornate, alimentata da fattori diversi ma pur sempre generatori di paura: la crisi, la malattia, le disgrazie, le incomprensioni, la pandemia, le catastrofi… e, continuando, non smette più di risuonare questa nota dolente!

La paura ha la capacità di generare almeno due tipi di reazioni: o il panico, lo scoraggiamento che ci chiude in noi stessi, oppure domande e interrogativi che aprono al nuovo. Nei testi letti troviamo entrambe. E prevale una domanda: “Dio ci sei? dove sei? Chi sei?”.

“Sul finire della notte” ancora immersi nel buio i discepoli pensano a un fantasma: immagine generata dal panico. Poi passano alle domande: “Se sei tu comandami di venire da te sulle acque…” Pietro non vuole tanto andare da Gesù, quanto metterne alla prova la potenza. Se sei Dio agisci, fai qualcosa, manifesta la tua forza. Era anche la  prospettiva, errata, di Elia: pensava a un Dio simile al fuoco, al terremoto, alla tempesta, un Dio potente e quasi vendicativo verso i suoi nemici. Chi dunque sei tu o Dio? Una favola, un potente che risolve ogni problema? Chi sei? Dove sei?

La domanda generata dalla paura cerca risposta. Ma solo Lui ce la può rivelare. Elia lo scopre come Dio nascosto, silenzioso che tuttavia abita nel profondo del cuore come “il sussurro di una brezza leggera”. I discepoli con Pietro lo scoprono vicino, presente non per compiere chissà quali prodigi, ma per tendere una mano, per entrare insieme nella loro paura: “Gesù tese la mano, salito sulla barca il vento cessò”. Un Dio che cammina con noi “camminando sul mare”, immagine della vastità del male, senza lasciarsi travolgere ma mettendolo sotto i suoi piedi. “Sono io, coraggio, non abbiate paura”.

Le domande, gli interrogativi generati dalla paura trovano una risposta fatta più che di parole, di una vicinanza che assicura condivisione, sostegno, coraggio.

Nasce così dal cuore la risposta più vera: “Davvero tu sei Figlio di Dio”. Sei il nostro Dio, ben diverso dalle nostre aspettative e pretese. Non ci risolvi i problemi, ma ci sei, sei con noi per darci una mano ad affrontarli, per darci coraggio e forza, vincendo così le nostre paure.

Uomo di poca fede perché hai dubitato?”. La domanda rivolta a Pietro viene anche a ciascuno di noi. E diventa invito ad affrontare le nostre paure con la forza che viene dalla fede. Quella fede che non si riduce a pratiche, devozioni, definizioni da catechismo, ma si manifesta in fiducia totale in Gesù, in abbandono a Lui. “Vieni!” lui ci dice. Smettiamo di guardare a noi stessi, al mare agitato, al vento forte; così facendo Pietro di nuovo “si impaurì e cominciò ad affondare”. Guardiamo dritti Lui che non ci punta il dito per giudicarci, ma tende la mano per salvarci. “Signore, salvami!”. “Guardo al Signore, lo ascolto, e vado dovunque, faccio miracoli. Guardo a me, a tutte le difficoltà, e sprofondo” (E.Ronchi).

Con questa fede non solo ritroviamo forza per vincere le nostre personali paure, ma anche la capacità di lottare insieme per affrontare e vincere quel male dai mille volti che continua ad agitare e sconvolgere l’umanità intera. “Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare” (P.Francesco - 27 marzo 2020).

Come Elia, Pietro e i discepoli, riconosciamo che “Davvero Gesù è il figlio di Dio” che cammina con noi e ci sostiene. Riconosciamo che Egli è qui, ora, accanto, non come fantasma né come prestigiatore potente, ma piuttosto come immagine del  Padre che ci custodisce nelle sue mani e non ci abbandona alle forze del male e della morte.

Questa Presenza tenga viva in noi la speranza che c’è sempre un “finire della notte”, un nuovo inizio che si apre a quanti, pur avvolti da prove e fatiche, non si lasciano vincere dalla paura, ma sanno tenere fisso lo sguardo a Colui che è l’amico, il compagno di viaggio che con la Sua Parola ci ripete ancora oggi: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”.

sabato 1 agosto 2020

"Vide...sentì compassione...si prese cura" - Diciottesima domenica del tempo ordinario

Paolo nella seconda lettura ci offre una chiave di lettura della Parola di Dio ascoltata. “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a Colui che ci ha amati”. ‘Nulla’ e ‘mai’ dice Paolo: “nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù”.

In Gesù Dio ci dona ciò che dà sazietà alla nostra vita; e questo dono non consiste tanto in qualcosa (pane, denaro, salute…), ma in qualcuno: ci dona se stesso, la sua presenza e vicinanza. Un amore che si fa presente proprio dentro la nostra fragilità e povertà: “Sentì compassione per loro”. “Non abbiamo che cinque pani e due pesci”. Ebbene: “Portatemeli qui!”. Questo poco che noi siamo Gesù non lo respinge ma lo accoglie e lo trasforma con la gratuità dell’amore.

“Venite voi tutti assetati… venite comprate senza pagare vino e latte… mangerete cose buone, gusterete cibi succulenti… io stabilirò per voi un’alleanza eterna”, proclama il profeta (1lett.). Invito e promessa rivolta a tutti, soprattutto a chi non ha denaro, è povero, chi non può accampare meriti.

Un amore che si prende cura e abbraccia tutta quella folla, immagine dell’umanità intera; un amore gratis, un amore oltre ogni nostro merito, amore abbondante al punto che “tutti mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati”.

“Vide la folla, sentì compassione per loro, si prese cura”.

Ecco chi è Dio e cosa prova per noi. Un amore viscerale.

Questo messaggio, nel brano di vangelo, si declina subito in un pressante invito: “voi stessi date loro da mangiare”. Davanti alla folla bisognosa, provata, affamata, Gesù affida ai suoi amici la sua stessa missione: essere e fare come lui: saper vedere le fatiche, sentire compassione, prendersi cura.

La chiesa – ognuno di noi – ha la missione di “nutrire”, di offrire a tutti gratuitamente il dono della presenza e vicinanza di un Dio che continua ancora oggi ad essere presente, in mezzo alle nostre povertà, fragilità e bisogni.

Non possiamo allora non fermarci un attimo per alcune domande. Cosa offriamo noi – in particolare come comunità cristiana -  alla gente che ci vive accanto? Facciamo nostri i sentimenti e gli atteggiamenti di Gesù oppure ci ritroviamo ad avere lo stile freddo e calcolatore dei discepoli che pensano solo a quanto può costare tutto questo prendersi cura, e preferiscono la soluzione più comoda: “Congeda la folla…”

Dove ci ritroviamo? Cosa trasmetto al fratello e alla sorella che incontro ogni giorno? Freddezza, calcolo, ricerca del mio interesse, o attenzione, solidarietà gratuita e generosa?

Come comunità cosa offriamo alla gente che ci vive accanto? Si corre il rischio di diventare comunità che offrono tante cose (feste, gite, organizzazione di eventi…), tutte cose sicuramente belle e buone, ma che non saziano la vera fame e sete che è nel profondo del cuore di ciascuno, anzi, si corre il rischio di trascurare o mettere in secondo piano l’essenziale: Gesù. Dare Gesù: dare cioè quella condivisione, quell’amore che sono il segno concreto della vicinanza di Dio oggi.

Dare Parola e Pane: quella Parola e Pane che è Gesù stesso, presenza e vicinanza di Dio ad ogni persona, a questa nostra inquieta e affamata umanità.

La recente Istruzione dei Vescovi su “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, subito nelle prime righe, cita papa Francesco e la sua Evangelii Gaudium: «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)».

Ecco la missione che ci è affidata: collaboriamo con Gesù perché tutti, senza distinzione alcuna, possano fare esperienza di sentirsi amati, di portare nel cuore la certezza che “nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù”.