domenica 26 settembre 2021

«Verso un NOI sempre più grande». - XXVI° domenica del tempo ordinario

Anche oggi ci troviamo davanti a due preziosi insegnamenti che Gesù rivolge ai suoi discepoli e che risuonano in questa domenica, 107° giornata mondiale del migrante e del rifugiato, dal tema: «Verso un noi sempre più grande».

Vorrei, nel richiamarli, applicarli a questa particolare realtà.

Il primo insegnamento è provocato dalla reazione di Giovanni che vuole impedire uno che faceva opere di bene (scacciare il male) solo per il motivo che non è dei nostri: “perché non ci seguiva”, Tema ripreso anche nella prima lettura dove nell’accampamento lo Spirito opera non solo sui settanta anziani scelti tra il popolo, ma anche su due uomini che non erano del gruppo e per questo Giosuè interviene dicendo a Mosè: “Impediscili!”

Sia la risposta di Mosè (“Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore”) che quella di Gesù (“Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”) ribadiscono che Dio agisce in tutti, nessuno escluso. La salvezza è per tutti e non la si può monopolizzare. Lo Spirito di Dio non ha confini. Ogni uomo e donna possono operare nel suo nome ovunque. Il pericolo sta nel cadere in atteggiamenti di chiusura e cecità, presumere che solo noi possiamo fare cose giuste; cadere così nella gelosia e nell’invidia verso chi, pur non essendo dei nostri, fa cose belle e buone come noi e a volte più di noi.

Nel nome di Gesù si può fare del bene, ci ricorda il vangelo, anche se non si appartiene direttamente al gruppo dei discepoli: “chi non è contro di noi è per noi”. Tuttavia c’è anche chi è contro di noi. Chi? Oggi il rischio è di vedere contro di noi chi è diverso, chi è migrante, profugo, di altra provenienza, cultura e religione. Ma di fatto non è così. Al contrario: è contro proprio chi semina queste idee seguite da atteggiamenti di violenza e di chiusura. Perché così si va direttamente contro il vangelo stesso che  chiama ogni uomo e donna a formare un noi più grande attraverso l’accoglienza reciproca, la fraternità, il rispetto.

Ecco il primo insegnamento: apertura allo Spirito che opera in tutti coloro che fanno del bene.

Gesù passa poi a un secondo insegnamento per i discepoli: attenzione a non diventare motivo di scandalo. Dare scandalo significa mettere inciampo, far inciampare qualcuno, diventare ostacolo per chi invece dovrebbe essere aiutato e sostenuto: per i piccoli, per i deboli, per i migranti e i profughi.

Essi hanno bisogno di una mano che li sostenga, di un occhio che li illumini, di un piede che sorregga i loro passi esitanti. Se la mia mano invece si chiude a pugno, se il mio occhio guida l’altro verso la tenebra, se il mio piede intenzionalmente fa cadere il fratello più debole, divento inciampo, scandalo. Gesù invita quindi (con quel forte verbo “tagliare”) i discepoli a controllare con cura e a sondare il loro comportamento sociale (piede e mano) e personale (occhio) per evitare che, nell’orgoglio della propria sicurezza, divenga radice di male per chi è debole, fragile, in ricerca.

E’ una condanna forte quella che emerge dalle sue parole, come pure dalle parole di Giacomo nella 2 lettura. Questo per evidenziare come il rispetto e la premura per gli altri deve essere al centro dell’impegno del singolo e della comunità. Ancor più quando il nostro atteggiamento diventa palese ingiustizia sociale, facendo della ricchezza un idolo e operando ingiustizia e sfruttamento verso le persone.

Ci è chiesto quindi un atteggiamento di grande vigilanza sul nostro modo personale e comunitario di pensare e di essere.

Quella vigilanza che innanzitutto consiste in occhi aperti che sanno riconoscere il bene ovunque esso si manifesti e in chiunque lo compia, senza pregiudizi e distinzioni. Vigilanza poi che porti a mettersi in cammino verso gli altri, coloro che non appartengono alla comunità, per collaborare con loro a costruire una società più giusta.

Apertura e premura: i due insegnamenti che oggi facciamo nostri. Non solo verso i migranti ma verso ogni fratello e sorella che incontriamo per andare “insieme verso un noi sempre più grande, a ricomporre la famiglia umana, per costruire assieme il nostro futuro di giustizia e di pace assicurando che nessuno rimanga escluso” (Messaggio Papa).

sabato 18 settembre 2021

Servi bambini - XXV° domenica del tempo ordinario

 

Una constatazione: in questo non facile tempo di ripresa, la presenza dei cristiani nella società sembra essere sempre meno incisiva, sempre più marginale e ininfluente. Siamo tutti chiamati a interrogarci su questo aspetto, coscienti che non è solo questione di numeri (siamo meno di una volta…) ma questione di modalità, di atteggiamenti e scelte.

Il Vangelo di oggi ci aiuta a recuperare due categorie/immagini che delineano lo stile del cristiano dentro il mondo e che naturalmente non è altro che lo stile di Gesù, il Maestro che insegna ai discepoli la strada da seguire.

Servi e bambini: queste le due immagini. Dentro la storia – dice Gesù – come servi e come bambini. Non mossi da altri ‘desideri’ – come dice Giacomo nella 2 lettura – né tanto meno dalla ricerca ‘di chi è il più grande’ come pensavano i discepoli.

“Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti. E preso un bambino lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo disse: Chi accoglie uno di questi bambini accoglie me”.

Proviamo a delineare meglio queste figure.

Innanzitutto servi. In altri passi Gesù dirà “come il figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito ma per servire” e nell’ultima cena dimostrerà con la lavanda dei piedi fino a che punto deve spingersi questo farsi servi. Si tratta  di un servizio alla fraternità, alla comunione. Per questo Gesù insiste: “servitore di tutti”, senza distinzione di gruppo, di etnia, di famiglia, di buoni o di cattivi…: servi di tutti.

Poi segue l’immagine del bambino: Gesù lo pone in mezzo, quasi a sottolineare la centralità di questa figura. Accogliere lui è accogliere chi è più indifeso, disarmato, fragile, senza diritti. Inoltre il bambino non come oggetto da educare, bensì quale soggetto che ha un messaggio preciso da trasmettere: oltre che la sua debolezza anche la sua totale disponibilità, l’abbandono senza calcoli, doppiezze e interessi.

Così il discepolo è chiamato a camminare sulle strade del mondo, dentro a una società che si presenta sempre più ostile e pagana nei confronti del cristianesimo. Non con la forza, il prestigio, la finanza o gli intrighi politici ma con lo spirito di Colui che si è fatto piccolo ed è venuto a servire.

Questo indubbiamente può implicare il rischio della vita come è avvenuto per Gesù. Quanto meno il rifiuto, il sarcasmo e il disprezzo, la contestazione e la solitudine. Già così veniva descritto  nel libro della Sapienza il giusto. Tuttavia non manca la certezza dell’aiuto e del sostegno del Signore (“Il Signore sostiene la mia vita” Salmo).

Oggi come cristiani siamo tutti chiamati a recuperare il nostro ruolo specifico dentro la società con coraggio e audacia ma attraverso lo stile del servo e del bambino, capaci di una vita che si mette a servizio di tutti per costruire relazioni autentiche, per aiutarci insieme a superare quelle passioni e desideri malvagi che portano solo a distruzione e fallimento: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo voi?” ci chiede Giacomo; “non vengono forse dalle vostre passioni…? siete pieni di desideri… combattete e fate guerra…”. “Dove c’è gelosia e ogni spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni”.

E’ invece in questo modo nuovo di essere – servi e bambini - che noi ci dobbiamo far riconoscere come cristiani, dentro un mondo che, abitato “da gelosia e spirito di contesa”, cerca sovente l’affermazione personale a scapito del bene e della vita degli altri.

Dentro questa realtà, come singoli e come chiesa, dobbiamo ritrovare tutti il coraggio di camminare controcorrente affinché il vangelo di Gesù possa radicarsi nel cuore di ogni persona, possano costruirsi relazioni aperte con tutti, si possa insieme operare per la costruzione di un domani più umano e fraterno.