Una
delle preoccupazioni del popolo d’Israele era di fare la volontà di Dio, in
modo che la propria condotta fosse sempre gradita a Lui. Era perciò necessario
sapere con grande precisione come comportarsi in tutte le circostanze, per non
dimenticare qualcosa. Ecco allora il
moltiplicarsi di precetti: si era arrivati a 613 precetti da osservare e
a 365 proibizioni negative. In questo cumulo di leggi e divieti, molti
avvertivano l’esigenza di fissare una gerarchia di comandamenti, cercando di
determinare il più grande, il primo tra tutti. Rimanevano tuttavia parecchie
incertezze in questa ricerca e la discussione era aperta tra le varie scuole
rabbiniche.
Il
brano di oggi muove appunto da un dottore della Legge che vuole tentare Gesù su
questo argomento, per metterlo ancora una volta alla prova. Ma la questione
circa cosa fosse più importante osservare, riguardava anche la prima comunità
cristiana a cui Matteo scrive; riguarda anche noi oggi, che rischiamo di
disperderci in una molteplicità di devozioni, pratiche, precetti, perdendo di
vista l’essenziale, il cuore stesso della vita cristiana.
L’amore:
è questo il ‘cuore’ di tutto. E Gesù lo ripropone con chiarezza, ricavando
l’indicazione proprio dai testi dell’antico testamento - da quel Codice
dell’Alleanza (nel libro dell’Esodo) che elencava quella molteplicità di
precetti che, pur dispersivi, tuttavia erano per il popolo prezioso aiuto per
la sua crescita e la sua capacità di convivenza sociale - , ma arrivando anche
ad evidenziarne il primato assoluto.
Amare
Dio, amare il prossimo. Primo e secondo in ordine di presentazione, ma unico
comandamento, inscindibile. Uno “simile”
all’altro, di pari valore, della stessa importanza. Strettamente collegati al
punto che uno non può esistere senza l’altro, perché si tratta non di due, ma
di un unico amore. L’amore di Dio senza quello del prossimo cade nel
sentimentalismo; quello del prossimo senza l’amore di Dio scade in semplice
filantropia e nel facile rischio della ricerca di interessi e gratificazioni.
L’amore del prossimo è come uno specchio del nostro amore per Dio. Insieme si
sostengono e ci sostengono nel realizzare la nostra vita.
Di
più: “Da questi due comandamenti dipendono
tutta la Legge e i Profeti”; è l’amore, nella sua totalità, ciò che dà
senso, significato, orientamento a tutte le altre osservanze, tradizioni,
precetti. Essi risultano come svuotati di senso, di contenuto e valore, se non
vengono attuati nella luce e nella prospettiva dell’amore. L’amore di Dio e del
prossimo sono come due ali che fanno volare tutta la Legge e la fanno volare in
alto verso Dio.
Amare
dunque con tutto noi stessi: corpo, mente, anima. Fare dell’amore il perno, il
punto unificante di tutta la nostra vita. Un amore innanzitutto ricevuto
gratuitamente (siamo amati per primi da Dio: “ricordati” – ammonisce l’antico testamento – di tutto quello che
Dio ha fatto per te).
A
sua volta questo amore è chiamato a riversarsi sul prossimo; e non dobbiamo
pensare che si tratti solo del vicino, bensì di ogni persona, in particolare
del debole e del povero, come già chiedeva il libro dell’Esodo (prima lettura)
invitando a prestare attenzione e amore concreto agli stranieri, alle vedove e
agli orfani, agli indigenti.
Gesù
poi apre a dimensioni di universalità questo invito di amare il prossimo
abbracciando in esso anche il pagano, il peccatore, il nemico. Un amore che
prende quindi le misure dall’amore di Dio che è amore senza misura e per tutti;
ma prende anche le misure dal nostro volerci bene (“ama il prossimo tuo come te stesso”). Un’espressione questa che
dice da una parte che bisogna amare il prossimo perché egli è come “un altro te
stesso”. Ma invita anche ad amare con la misura del bene che ci vogliamo: non
si può amare l’altro se non ci si vuole bene. Come volere il bene altrui se non
si è capaci di volere il proprio bene? Oggi c’è in alcuni il rischio di un
altruismo nevrotico che porta a voler amare gli altri disprezzando se stessi e
ritenendo indegno del cristiano l’amore per sé. Ma agli occhi di Dio anche io
sono un essere amato da Lui e non ho alcun diritto di disprezzare ciò che Dio
stesso ama; anzi: solo potenziando in me l’amore di Dio, realizzando in me il
bene in pienezza, le mie capacità e i doni ricevuti, ho la possibilità, la
forza di donare agli altri un amore profondo e vero.
Questo
unico amore, che deve innervare tutta la nostra esistenza, è chiamato a farsi
diffusivo: testimonianza prima e unica del nostro essere figli di Dio,
cristiani. “Da questo riconosceranno che
siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. Paolo, nella
seconda lettura, elogia la comunità di Tessalonica, proprio perché, con la loro
vita sono diventati “modello per tutti i
credenti”; “per mezzo vostro la parola del Signore risuona… si è diffusa
dappertutto”.
E’
la missione affidata alla Chiesa, a ciascun battezzato.
Dal Battesimo nasce infatti il nostro essere
missionari e nel vivere l’amore di Dio e del prossimo si compie questa missione
di testimonianza e di annuncio
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