mercoledì 30 luglio 2014

Una mediazione dell'esperienza monastica.


Uno degli obiettivi che ci stanno a cuore è offrire un approccio ai valori monastici, nella consapevolezza che sono valori perenni e fondamentali per la vita di ogni persona.
L’attualità della proposta di vita monastica oggi.

Occorre innanzitutto riconoscere la bellezza, l’importanza e l’attualità dell’esperienza monastica oggi. Non si tratta tanto della vita monastica legata alle sue antiche strutture, quanto piuttosto dei valori che da secoli questa esperienza ha consegnato alla storia e ancora oggi ha da offrire all’uomo contemporaneo. A dire il vero sono diversi coloro che mettono in rilievo come la tradizionale vita monastica abbia bisogno di rinnovarsi se vuole essere ancora capace di dare il suo contributo alla comunità degli uomini. Viene invece ad emergere il pullulare di nuovo forme di vita monastica o di vita di fraternità cristiana che, riproponendo i valori di fondo del monachesimo in forma e modalità nuove, non solo si diffondono un po’ ovunque, ma hanno anche un’incidenza più significativa e più diffusa lì dove la gente vive. Dalla vita monastica infatti ereditiamo una serie di valori antichi e sempre nuovi, che in particolare oggi è necessario riscoprire e vivere per la ‘salute’ dell’uomo contemporaneo. Faccio riferimento in particolare: al cammino di ricerca di Dio, al Suo primato nella vita, al vivere con in e per Cristo dando all’esistenza una concreta ‘svolta’ (conversio morum) per realizzarsi in pienezza come vita di figli; questo attraverso il silenzio, l’ascolto della Parola, la preghiera, l’accoglienza e la carità fraterna, la sobrietà e povertà di vita, il lavoro come custodia del creato e generatore di condivisione e giustizia, l’amore per il bello e per tutto ciò che vi è di autenticamente umano.  Come non riconoscere in questi valori un bisogno e un’esigenza dell’uomo di oggi sempre più disorientato da una vita frenetica, rumorosa, tesa al primeggiare e all’avere, ma che alla fine non lascia se non insoddisfazione, depressione, vuoto? Anche nelle nostre comunità cristiane poi corriamo il rischio di adeguarci a una vita tesa quasi tutta al fare, all’agire, alla ricerca di risultati perdendo di vista l’essenziale: il primato di Dio e della Sua Parola.

Il bisogno di una “mediazione”.

Necessita allora di ritornare ai valori autentici della vita cristiana trasmessi dalla ricca esperienza monastica, trovando tuttavia il modo di “mediare” tali valori al fine di permettere a tutti di incontrarli e di confrontarsi con essi. Oggi c’è sempre più gente che frequenta monasteri e conventi sia per passare le vacanze, sia per giornate di silenzio e di ricerca. Anche la stampa nazionale più volte ha evidenziato questo fenomeno in crescita. E’ un segnale del bisogno detto sopra. Tuttavia sono solo una minima parte coloro che hanno la possibilità di vivere queste esperienze; ma quanti altri hanno lo stesso desiderio senza poterlo realizzare. Non solo: anche chi ha vissuto qualche giorno in un monastero sente la necessità di poter continuare anche nel suo quotidiano la tensione verso quei valori ricercati, e non sempre trova questo nelle nostre comunità parrocchiali tutte indaffarate nell’organizzazione di mille iniziative e nell’attuazione di linee pastorali che a volte passano lontano dai bisogni veri e profondi delle persone. Si impone così questo bisogno di ‘mediazione’ intesa proprio come la possibilità di rendere i valori e l’esperienza monastica alla portata di tutti, di ogni battezzato, affinché possa vivere tutto ciò rimanendo semplicemente battezzato e impegnato nella sua vita secolare. Volendo non si tratta di una novità: già nella raccolta della Filocalia l’intento dei redattori era precisamente quello di proporre a tutti i cristiani quella ricerca spirituale che era confinata nei monasteri.
Oggi purtroppo questo bisogno di tanti, non trovando adeguate risposte nella comunità cristiana, sfocia nell’adesione a forme vaghe di pseudo spiritualità, nel new age se non nell’ingresso in gruppi che si rifanno alle più strane tradizioni orientali o addirittura in sette.
E’ dunque da vedere come segnale positivo il nascere di piccole comunità che si ispirano alla vita monastica e cercano di riproporne i valori lì dove la gente vive, nelle chiese locali, con esperienze accostabili non solo occasionalmente, bensì quotidianamente. Mi limito qui a riportare l’introduzione al libro di Mario Torcivia: “Guida alle nuove comunità monastiche italiane”.
Negli ultimi decenni del XX secolo sono sorte numerose realtà ecclesiali che, pur rifacendosi al carisma monastico, in verità hanno scelto di non far parte degli ordini tradizionali. Sobrietà di vita, presenza d’uomini e donne, inserimento pieno nella chiesa locale, spiccata sensibilità ecumenica, scelta del lavoro per provvedere al proprio sostentamento, dialogo con la cultura e la società contemporanee, accoglienza fraterna hanno fatto sì che questi luoghi divenissero un punto di riferimento per credenti e no. Sono, infatti, decine di migliaia le persone che, annualmente, decidono di trascorrere periodi di tempo presso queste comunità per vivere giornate di silenzio e preghiera e per partecipare a settimane bibliche e di spiritualità. Questa è la prima opera su queste nuove forme di vita monastica, le quali sebbene ancora giovani, rappresentano uno dei soggetti più espressivi del panorama ecclesiale italiano postconciliare.”

L’esperienza de “La Tenda di Mamre”.

Da quanto detto sopra si chiarisce il motivo che sta alla base dell’esperienza proposta. Si tratta di un’esperienza che si pone come ‘mediazione’ dello stile di vita monastico per renderlo accessibile a chiunque. Un’esperienza che mette alla sua base i valori fondanti lo stile di vita ereditato dal monachesimo pur attuandoli in una forma nuova dentro la chiesa locale. Un’esperienza che tuttavia non vuole essere indipendente dalla realtà monastica tradizionale, bensì trovare in essa il riferimento costante per una verifica e una permanente formazione che devono stare alla base dell’esperienza stessa.
“Nella notte della nostra barbarie tecnologica i monaci devono essere come alberi che silenziosamente esistono nell’oscurità e con la loro presenza vitale purifica l’aria”. (Thomas Merton, in “Un vivere alternativo” Ed. Qiqajon pag. 64). 

Il rapporto tra questa esperienza e la chiesa locale.

Perché tale esperienza svolga la sua funzione di ‘mediazione’ della vita monastica occorre che, oltre ad essere collegata a una comunità di monaci (nel nostro caso con la Congregazione Camaldolese), sia altresì radicata nel contesto della chiesa locale, nella Diocesi; questo con il riconoscimento del Vescovo e il rimanere ‘prete diocesano’ a servizio della Diocesi stessa.
Resta importante anche cogliere i motivi che fanno di questo rapporto un rapporto essenziale. L’espressione della vita monastica attraverso queste nuove esperienze nella chiesa locale è segno che il monachesimo è a pieno titolo nella chiesa in cui vive, perché sottolinea la radicalità degli elementi di fondo di cui la medesima deve vivere. Riporto un testo, che condivido e riprendo in toto, di un prete diocesano iniziatore di una nuova esperienza nella chiesa diocesana di Venezia, d. Giorgio Scatto: “Lo scopo della nostra particolare presenza nella chiesa è semplicemente quello tradizionale di sempre per la vita monastica, perseguito non in un Ordine esistente, ma al contrario in seno ad una comunità diocesana: di fatto un ritorno ad una situazione frequente in antico. Crediamo che la chiesa, per essere veramente tale, deve avere nel suo seno tutte le vocazioni e, per così dire, tutte le funzioni e quindi – fra gli altri – anche dei cristiani che testimoniano la continuità, nella chiesa locale in quanto tale, della vita di preghiera e di silenzio, in una comunione piena con il Vescovo, con i suoi fedeli, con i suoi santi e con i suoi morti. In questo quadro, storico concettuale, non ci proponiamo altro scopo che quello di vivere in comune, da cristiani, secondo il massimo di coerenza possibile… Nessuna fuga dal mondo… e neppure fuga dalla chiesa”.  Il patriarca Cè inoltre, nell’omelia in occasione dell’inizio di questa nuova esperienza così afferma: “Oggi non nasce nella chiesa di Venezia un nuovo ordine religioso, ma il presbiterio di questa chiesa si arricchisce di un nuovo dono…”. D. Giorgio poi aggiunge: “La scelta, poi, di una parrocchia (luogo dove vivere l’esperienza) manifesta ulteriormente la dimensione monastica dentro la realtà della gente comune. La sfida odierna, infatti, è per una spiritualità che sia significativa per l’uomo contemporaneo…”.
Una comunità monastica che vive in parrocchia lancia, così, la scommessa di un monachesimo popolare in cui non v’è più quel distacco, evidenziato anche dalla separatezza di luogo cercata dai monaci, tra questi ultimi e il popolo. 
La diocesanità di questa esperienza poi, oltre che agli aspetti detti sopra, è vissuta anche in altri modi. Ad esempio con l’offrirsi quale segno e luogo di preghiera e di contemplazione della Parola di Dio a disposizione di tutta la comunità diocesana, sia sacerdoti che laici; con il dare l’opportunità di trovare spazi di silenzio e di ascolto per quanti lo desiderano; con il mantenersi in contatto con la chiesa diocesana attraverso alcuni sacerdoti che più da vicino siano interessati e coinvolti nel cammino e nelle scelte di questa esperienza, realizzando così un anello di congiunzione effettivo con tutto il presbiterio locale… La presenza del monachesimo in una Chiesa locale dovrebbe essere silenzioso, ma eloquente richiamo ad una vita cristiana sempre più vera e viva” (Viktor J. Dammertz OSB vescovo emerito di Augsburg).

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