Una cosa è certa (anche se ce lo dimentichiamo): siamo pellegrini, stranieri in un mondo che non è nostro. Non siamo padroni, ma amministratori dei beni di Dio. Nelle mani di ogni uomo il Signore colloca un tesoro, il creato, la vita. Che fare per amministrarlo bene? Su questo ci fa riflettere oggi la Parola.
Partiamo dalla prima lettura. Siamo nel 750 a.C. e Israele è al massimo del suo splendore. Il re Geroboamo II - abile politico - favorisce gli scambi commerciali, dà ai grandi proprietari terrieri l'opportunità di vendere a buon prezzo, il vino, l’olio, il grano. Ma un uomo, non si unisce al coro di chi inneggia alla sua politica: è Amos, un pecoraio venuto da Tekoa, a sud di Betlemme. La sua voce è chiara: è vero che ci sono benessere e ricchezza nel paese, ma solo per alcuni. I poveri della terra sono sfruttati e nei confronti dei più deboli si commette ogni sorta di ingiustizia e di sopruso. "Si vende il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; calpestano come polvere della terra la testa dei poveri".
Il profeta rivolge le sue accuse contro chi amministra, il re, contro i sacerdoti, contro i ricchi. Come accumulano queste ricchezze? Come si è sempre fatto, da che mondo è mondo: rubano. Amos descrive in dettaglio le tecniche che usano. Diminuiscono le misure, aumentano i prezzi, usano bilance false, fanno passare per buoni gli scarti dei prodotti e, ciò che è peggio, "comprano con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali". Amos parla di commerci, di trucchi, di imbrogli. Che ha a che fare Dio con questi problemi? Il profeta chiarisce come egli la pensa: dove non c'è giustizia, dove i deboli vengono oppressi e il loro dolore è ignorato, la religione è solo ipocrisia. Di fronte allo sfruttamento del povero, il Signore si indigna e pronuncia un giuramento che fa rabbrividire: "Non dimenticherò mai le loro opere!".
Come è attuale tutto ciò e come il Signore debba allora usare misericordia anche di noi oggi non molto diversi dai nsotri padri...
Ma andiamo al Vangelo. Questa parabola ha sempre suscitato un certo imbarazzo. Un amministratore viene accusato di essere un incapace, uno che dilapida e che sperpera i suoi beni. Il padrone lo manda a chiamare. Viene immediatamente destituito dall'incarico. Che fare adesso? Che fare?
L'amministratore disonesto valuta i pro e i contro, e dopo molto pensare, ecco la soluzione: “Ho capito! so che cosa devo fare”. E passa all'azione. Convoca tutti i debitori e chiede al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". "100 barili d'olio”. "Straccia la ricevuta, siediti e scrivi subito: 50". In futuro questi debitori beneficati non si dimenticheranno certo di tanta generosità e si sentiranno in dovere di ospitarlo nelle loro case. Il padrone e anche Gesù, concludendo il racconto, lo elogiano: “Ha agito con scaltrezza! Va imitato!”. Ovviamente lodare la scaltrezza di una persona non significa essere d'accordo con ciò che ha fatto.
Che ha fatto l'amministratore della parabola? Chi rappresenta? Rappresenta tutti noi. Lui invece di comportarsi da strozzino verso gli altri, ha lasciato loro l'utile che gli spettava. L'amministratore è stato scaltro - dice il Signore - perché ha capito su cosa puntare, non sui beni, ma sugli amici. Ha saputo rinunciare ai beni per conquistare gli amici. Questo è il punto. È questa la scelta saggia che Gesù incita a fare. L'unico modo scaltro di utilizzare i beni di questo mondo è servirsene per aiutare gli altri, per renderceli amici. Saranno loro ad accoglierci nella vita.
A questo punto ecco la domanda fondamentale: "Io oggi, cosa posso fare?", ed è la stessa che si pone l'amministratore infedele della nostra parabola. Oggi sappiamo che il 20% circa della popolazione mondiale si accaparra l’80% delle risorse terrestri; pertanto al rimanente 80% rimangono le briciole, costretti a vivere con meno di un dollaro al giorno. Non solo: questo 20% privilegiato sta anche provocando il 90% dell’inquinamento planetario. "Io oggi, cosa posso fare?"
Gesù non ha mai detto di abbandonare il mondo e tantomeno di gettare via le proprie ricchezze, ma di usarle in maniera" scaltra”, giocandosele in maniera fraterna. Questo mondo iniquo scomparirà nel momento in cui si comincerà a vivere in modo fraterno ma di una fraternità che dovrà divenire stile di vita non solo personale ma familiare, parrocchiale, nazionale, mondiale.
Condivisione, solidarietà. Giustizia e quindi pace e fraternità: sono le parole che devono guidarci per amministrare bene la nostra vita per il bene di tutti.
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