“Tutto qui sembra una notte che non finisce mai.” Così il cardinale Pizzaballa diceva sabato scorso ai giovani intervistato da Gaza. Una notte che non finisce mai.
Questa immagine della notte fa da sfondo alle letture odierne: la richiama il vangelo nella breve parabola, ne parla la prima lettura e di fatto è presente, anche se non nominata, nella seconda rievocando il cammino di Abramo.
E’ un’immagine che indica non solo uno spazio temporale, bensì una situazione esistenziale. Oggi non è difficile riconoscere che stiamo attraversando uno di questi momenti di notte. E’ proprio in questi momenti che diventa importante riconoscere di avere bisogno di luce, di chiarezza, di sostegno. E’ quanto la Parola di Dio non manca mai di dispensarci.
Una prima indicazione ci è offerta nel ricordarci che, anche nella notte più oscura la storia è e rimane guidata da Dio che libera e salva. Quanto è avvenuto al popolo d’Israele con la prima Pasqua (1 lettura), si ripete oggi per noi popolo di Dio. Dio è fedele alla sua alleanza e non abbandona coloro che si affidano a Lui.
Ne deriva l’invito a saper vivere con fede, perché solo così ogni notte può aprirsi all’aurora e ogni tenebra fare spazio a squarci di luce. Per fede Abramo e Sara, che si riconobbero di “essere stranieri e pellegrini sulla terra”, affrontarono il cammino della loro storia personale e grazie a questa fede in Dio portarono a realizzazione le sue promesse e i suoi doni. “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. Così ci ha detto la seconda lettura.
L’invito dunque è chiaro anche per noi: essere uomini e donne che affrontano con fede il cammino della vita e sanno vivere di fede. Sanno cioè affrontare non da soli, ma con Dio, affidandosi a Lui e alla Sua Parola, il vivere di ogni giorno, certi – per fede – di poter sperimentare la Sua Presenza che arricchisce, che illumina, che apre alla speranza.
Ma cosa significa vivere di fede per noi oggi? Nel Vangelo Gesù ci aiuta a fare chiarezza. Vivere di fede è saper mantenere viva la consapevolezza che siamo amati e custoditi da un Dio-Padre; che da Lui abbiamo ricevuto un tesoro per il quale deve battere il nostro cuore: questo tesoro consiste nell’essere figli amati, partecipi del suo Regno che siamo chiamati a costruire fin d’ora nell’oggi. “Non temere piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno…”.
Questa fede allora, ci apre ad atteggiamenti di vigilanza, di lucidità e di responsabilità. “Siate pronti, siate svegli”.
Vigilare significa vivere rimanendo lucidi, non lasciandoci suggestionare dalle cose, dai fatti della vita, dalle tentazioni. E’ saper cogliere in ogni attimo, in ogni persona, in ogni circostanza, anche la più oscura e faticosa, la Presenza di Colui che è il tesoro della nostra vita e così agire di conseguenza.
Questa vigilanza ci rende allora anche capaci di responsabilità. Una responsabilità che consiste nell’essere amministratori fidati e prudenti, servi buoni e fedeli. Capaci cioè di vivere amministrando bene la nostra vita e le nostre relazioni con gli altri; questo nell’ottica non del dominio e dello sfruttamento, bensì del servizio, dell’impiego delle proprie capacità per il bene di tutti, per realizzare così la volontà di Colui che ci ha affidato ogni bene; senza dimenticare che “a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto”.
Concludo ancora con le parole del cardinale di Gerusalemme: "Il momento è molto doloroso, stiamo vivendo una notte molto lunga. Però sappiamo anche che le notti finiscono. Ci sono persone capaci di mettersi in gioco perché credono nell’altro. È il momento in cui la Chiesa deve lavorare con tutti coloro che sono disposti a fare qualcosa di bello e di bene per tutti...".
Camminando nella fede, lucidi e responsabili, alla luce della sua Parola, ecco che possiamo – dobbiamo - anche noi metterci in gioco, riconoscere la Sua Presenza che ci accompagna anche nelle notti oscure, scorgere segni di speranza e operare insieme per costruire, quel Regno di giustizia, di fraternità e di pace, che Dio ha posto nei nostri cuori e nelle nostre mani, quale unico tesoro “dove ladro non arriva e tarlo non consuma”.
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