Il disegno del Padre, già annunciato dal profeta Isaia, vuole che tutti gli uomini siano salvi: tutti, senza alcuna distinzione di razza, religione, cultura, meriti... “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue…”. E’ la visione di un raduno universale, di un’umanità radunata insieme pur nelle sue diversità. Questa visione ci è riproposta da Gesù nel vangelo: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio”.
Il messaggio di oggi annuncia dunque un Dio che salva tutti. Tutti siamo chiamati a salvezza; non regge la domanda: sono pochi quelli che si salvano?. Dio elegge e sceglie tutti, non seleziona e scarta nessuno.
Tuttavia per conseguire questa salvezza Gesù ci ricorda: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”.
Cosa significa questa frase? L’immagine della porta stretta può sembrare quella di un ingresso riservato a pochi; in realtà la porta stretta del Regno è aperta a tutti. L’anno santo ce lo ricorda. Occorre che ognuno scelga di passare da quella porta. Ma non tanto da quella di una chiesa giubilare. E nemmeno riduciamo questa porta stretta a un generico impegno allo sforzo, alla fatica, alla rinuncia. Non dimentichiamo che la salvezza è dono di Dio offerto a tutti e non nostra conquista, un nostro sforzo. In queste parole c’è altro.
Esse ci chiedono due cose: una ‘conformazione’ e una ‘spogliazione’.
Quando una porta è stretta, piccola, per attraversarla occorre che noi ci conformiamo ad essa, facendoci piccoli, restringendoci a sua misura. Ebbene questo ci è richiesto. Conformarci alla porta. E chi è la porta, se non Gesù stesso?: “Io sono la porta - dice Gesù nel vangelo di Giovanni - Se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv.10,9).
Inoltre non potremmo mai passarci se siamo appesantiti da cose inutili, da ingombri, occorre che ce ne liberiamo, ci spogliamo di quanto non è essenziale, di quanto è inutile.
Lo sforzo che ci è chiesto sta allora nel conformarci a Gesù stesso e del liberarci da quanto ci impedisce di seguirlo.
Per entrarvi occorre camminare con Cristo verso Gerusalemme (così inizia il vangelo oggi) cioè vivere con lui il mistero pasquale di una vita che si fa dono d’amore.
Non ci salva un’appartenenza a un popolo e nemmeno la nostra identità cristiana, non una serie di ‘cose’ fatte, riti, tradizioni, feste, di cui sentirci orgogliosi: in questo non c’è alcun merito. Ce lo dice il vangelo: “’Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze’. Ma egli vi dichiarerà: Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Ci salva solo la nostra somiglianza a Gesù che fa della sua vita un dono d’amore per tutti, senza distinzioni.
Assumere il suo modo di pensare, di giudicare, di agire. Ecco allora che il cristiano gioca tutto non nelle cose che fa, nei meriti che accumula, bensì nel suo modo di essere. Nel seguire Gesù fino a vivere come Lui, operando come lui nelle nostre relazioni quotidiane. Salvezza è accogliere Gesù, il figlio di Dio, è conformarmi a Lui, è vivere a sua immagine.
Tutti coloro che, consapevoli o meno, vivono come Lui, secondo la sua proposta di vita, passeranno per la porta che introduce alla vita piena. Siano essi cristiani o islamici, credenti o non credenti, bianchi o neri… Gesù li riconoscerà non tanto da ciò che avranno fatto per Lui, ma da quanto a Lui assomigliano, da quanto a Lui si sono resi simili, da quanto la loro vita si è spesa a servizio degli altri, nella ricerca della giustizia, della pace, della fraternità solidale, nella custodia del creato.
E noi, cristiani, i primi chiamati, facciamo attenzione per non rischiare di trovarci ultimi, prestiamo attenzione di non illuderci per questo privilegio. Piuttosto cerchiamo di “sforzarci” ogni giorno di conformarci al Suo amore, collaborando con tutti nell’edificare una umanità che sia già anticipo del banchetto finale del Regno di Dio.
Nessun commento:
Posta un commento