sabato 22 febbraio 2025

"I passi dell'Amore" - VII domenica del tempo ordinario

 

Abbiamo ascoltato una Parola che chiede, più che di essere archiviata come ‘modi di dire eccessivi’, di essere assimilata e meditata; più che di essere spiegata chiede di essere vissuta. Convinti che Gesù non ci chiede l’impossibile, crediamo che quanto ci dice sia realizzabile, a partire dal fatto che Lui per primo ha fatto quanto ci ha detto.

Amare ed essere amati è quanto ogni creatura desidera. Tuttavia sperimentiamo quanta fatica a vivere relazioni autentiche di amore. E’ un cammino da compiere, passo dopo passo. Paolo nella seconda lettura lo descrive come passaggio da: “uomo terrestre, animale a uomo celeste, spirituale” a immagine di Cristo.  E noi per grazia di Dio siamo stati resi da terrestri a celesti, da animali a spirituali, grazie all’azione del Suo Spirito d’amore, grazie alla Sua misericordia infinita.

Quali passi compiere allora per diventare sempre più capaci di un amore autentico?

Da sempre filosofie e religioni hanno indicato una regola d’oro per imparare ad amare; essa risuona così: “Non fare agli altri quello che vuoi non sia fatto a te". E’ indubbiamente un primo passo per relazioni positive, tuttavia la sua espressione negativa (non fare) rischia di chiuderci nel nostro io, isolandoci dagli altri e rendendoci passivi: non ho fatto niente di male, non ho ucciso, non ho rubato, sono tranquillo con la mia coscienza.

Gesù nella sua predicazione riprende questa regola d’oro ma la capovolge: dal negativo al positivo: “come volete gli uomini facciano a voi, così anche voi fatelo a loro”. E’ un passo in più che ci è suggerito ma anche questo passo rischia di farci cadere nella ricerca interessata dell’altro, nel fare calcolando i benefici che posso ottenere; è un muoversi verso l’altro spinti tuttavia da interesse personale.

Ecco allora che Gesù apre davanti ai discepoli un ulteriore passo: amatevi “come io amo voi”, senza misura, gratuitamente, disinteressatamente, senza calcolo.

Gesù ci propone di vivere come Lui, amare come Lui se siamo suoi discepoli, se in Lui crediamo. Ci invita a fare come ha fatto Lui: che ha amato i nemici, ha fatto del bene e chi lo odiava, ha benedetto chi lo malediceva, ha pregato per i coloro che lo trattavano male. Ha offerto l’altra guancia, ha dato, donato a tutti gratuitamente. Dimostrando che amare così non è debolezza, ma forza che spiazza l’altro costringendolo a deporre ogni resistenza.

“Come io, anche voi”. Così amatevi.

Questa la novità che supera totalmente le nostre cosiddette ‘giuste misure’, il nostro non andare oltre il dovuto.

“Se amate quelli che vi amano cosa fate di straordinario?”. E’ umano fare così. Lo fanno tutti, lo fanno anche solo per interesse, per comodità.

Al discepolo è chiesto il passo in più, la novità appunto di un amore che non ha misura, se non quella di Gesù stesso. Siamo chiamati ad amare in modo nuovo, oltre l’umano, perché così “sarete figli dell’Altissimo”, “misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”. E’ la novità del vangelo.

Quanto è di estrema attualità e urgenza questo messaggio. Come cristiani pare che abbiamo relegato queste parole del vangelo come fossero ‘modi di dire’, ‘generiche e esagerate indicazioni’, mentre sono il cuore del nostro essere figli di Dio, discepoli di Cristo. Tradire queste parole o anche solo minimizzarle è tradire Lui. Certo non è facile metterle in pratica. Ma finché le riteniamo semplici bonarie indicazioni non sentiremo nemmeno l’urgenza di tentare di viverle.

Oggi in particolare, in un clima sociale sempre più segnato da tensioni, conflitti, odio verso tutto e tutti, dove l’altro, soprattutto se diverso da me, è subito indicato come nemico, si pone urgente per noi cristiani, per le nostre comunità, offrire una testimonianza nuova, incisiva, forte, di relazioni diverse fondate su un amore vero, un amore ‘divino’.

Chiediamo allora al Padre che ci doni un cuore nuovo, capace di arrivare, passo dopo passo, a quell’amore che Gesù ha vissuto e ci ha donato e comandato: “come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.”


sabato 15 febbraio 2025

"Di chi ti fidi?" - Sesta domenica del tempo ordinario

 

Le Beatitudini risuonano nei vangeli come proposta di vita per il discepolo, per la comunità e direi per tutta la folla che assediava Gesù, così come racconta il brano di oggi.

Le beatitudini non sono parole consolatorie e utopiche. Luca – a differenza di Matteo che nel suo vangelo ne presenta otto – vuole rimarcare come le beatitudini siano fortemente alternative e controcorrente alla logica del mondo. Per questo oppone il “beati” al “guai” per distinguere modi diversi di vivere. Quattro beatitudini provocatorie che spingono a diventare segni di contraddizione proprio con uno stile di vita che sa porre in Dio la sua fiducia totale e non nel proprio io.

Abbiamo ascoltato Geremia nella prima lettura “Maletto l’uomo… Benedetto l’uomo…”. Parole riprese nella preghiera del salmo: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia”.

Questa è la via che Gesù indica ai suoi discepoli: confida nel Signore e non nella logica umana. Il brano delle beatitudini di Luca vuole svegliare i discepoli dal pericoloso inganno dell’egoismo che appunto la logica del mondo propone.

Il senso profondo dell’aver fede consiste nel fidarci totalmente del Signore e non degli idoli che ingannano e illudono.

E oggi sono tanti, ogni giorno, i dispensatori di felicità, proponendola e offrendola nel successo e nell’affermazione di sé, nel facile guadagno, nella soluzione ad ogni problema.

L’idolo del denaro, del piacere, dello star bene, del pensare a sé oscura spesso anche il nostro sguardo e ci tenta, illudendoci che sia proprio lì la strada per la felicità.

Certo che siamo chiamati alla felicità e che è giusto cercarla, raggiungerla, tuttavia noi sappiamo che solo Dio può donarcela, nessun altro. Essa ci è data nella misura in cui ci mettiamo dalla parte di Dio, di ciò che non è effimero, apparente, ingannevole. Lì sta di casa la felicità autentica e duratura che è data a coloro che fidandosi di Dio sanno aprirsi a Lui e al prossimo. E tu di chi ti fidi?

E’ un testo allora che ci provoca, ci interroga, ci chiama a una verifica e nel contempo ci offre già una risposta/giudizio: beati/guai. Felicità o fallimento sono il risultato di come scegliamo di vivere, sono il frutto di dove è riposta la nostra fiducia/speranza.

Cosa vuol dire confidare in Dio? Significa semplicemente fidarsi che, in un modo o nell’altro ce la manda buona? No certo, sarebbe assurdo questo atteggiamento.

Il Dio in cui confida il discepolo, il cristiano, è Colui che Gesù stesso ci ha rivelato come Padre e si prende cura di noi così come si è preso cura del Suo Figlio Gesù e non lo ha lasciato in potere del male e della morte. Gesù infatti è stato il povero, l’affamato, l’afflitto, il perseguitato fino alla morte, ma non è stato abbandonato dal Padre in cui ha riposto tutta la sua fiducia. Il segno di questa vicinanza è stata la sua risurrezione.

Fidarci di Dio è credere che Lui è capace di dare vita a noi come l’ha data al figlio. Per questo, Paolo nella seconda lettura insiste dicendo “se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati… ma Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Con Lui anche noi possiamo confidare nella vita nuova, nella beatitudine che ci è data, perché Gesù è vivo, Lui la primizia di tutti noi.

Concretamente questo significa oggi per noi non temere di fare scelte cha vanno al contrario della mentalità corrente. In ogni ambito: sia riguardo all’accoglienza e al rispetto della vita, sia nell’uso del denaro e dei beni, capaci di essenzialità e semplicità, di condivisione e di solidarietà; sia riguardo l’impegno nella comunità e nella società di cui si è parte senza rinchiudersi nel privato ma collaborando per il bene comune e così via…

Ecco allora che le Beatitudini non sono un buon ‘suggerimento’ ma indicazione precisa del nostro seguire Gesù. Su di esse dobbiamo conformarci, in esse rispecchiarci (singoli e comunità) perché solo attraverso la loro attuazione il Regno dei cieli matura e cresce in mezzo a noi.

 


sabato 8 febbraio 2025

"Sulla tua Parola" - Quinta domenica del tempo ordinario

 

“Abbiamo faticato tutta la notte ma non abbiamo preso nulla”. C’è un gruppo di uomini, prima ancora che di discepoli, che dopo aver pescato tutta la notte non portano a casa nulla. Come siamo loro simili. La nostra vita rischia a volte di essere un continuo affannarci senza portare a casa nulla. L’esperienza del fallimento, in un modo o nell’altro, ci tocca un po' tutti, nei diversi ambiti della vita: sul lavoro, nelle relazioni, negli impegni della vita… In quei momenti siamo portati a chiuderci, a sentirci inutili, a gettare la spugna.

E invece proprio lì, in quella faticosa e dolorosa situazione c’è qualcuno che ha una Parola da rivolgerci. “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca.” Un invito a riprovare, a ricominciare ancora, nonostante tutto. Una Parola sicuramente strana, che suona quasi come assurda, impossibile. Eppure…

“Non abbiamo preso nulla ma sulla tua Parola getterò le reti”.  Sulla tua Parola. “Fecero così e presero una quantità enorme di pesci”.

«Prendi il largo. Sulla tua parola». “Prendi il largo, non ti arenare sulle delusioni, impara ad andare oltre i fallimenti, gli scoraggiamenti, le stanchezze: prendi il largo con me, ti accompagno io. Sulla tua parola, Signore: non ci capisco niente, sono confuso, ma sento incredibilmente che di Te mi posso fidare, che posso rischiare e darti una possibilità, anche se mi chiedi l’impossibile”. (d.Luigi V.)

Quella sua Parola che apparentemente va contro ogni logica umana. Simone lo sapeva bene da pescatore esperto qual era: di notte si deve pescare non di giorno. Eppure “sulla tua Parola getterò le reti” anche se mi sembra di fare cosa assurda, inutile. “Presero una quantità enorme”. L’obbedire a una Parola che va contro le logiche umane del successo, del profitto, per seguire una logica differente che è quella del Vangelo, alla fine porta a trovare la pienezza e la vera riuscita.

Ecco la strada che ci viene indicata da questa pagina del vangelo di oggi. Il luogo dell’insuccesso e della nostra sconfitta, se abitato dalla Parola di Dio, diviene luogo di vita e di abbondanza.

La mia, la tua vita; la vita delle nostre comunità cristiane e di questa nostra società. Nonostante i tanti fallimenti può tornare ad essere feconda, ricca di frutti buoni, di opere di riconciliazione e di pace, se sulla Sua Parola impariamo a confidare e a lasciarci guidare.

Questo può sembrare impossibile. Soprattutto siamo portati subito a pensare: Chi sono io per riuscire a fare questo? Tutti noi infatti scopriamo la nostra inadeguatezza, il nostro limite, il nostro peccato. Come Isaia “uomo dalle labbra impure io sono”; come Paolo “non sono degno di essere chiamato apostolo”; come Simone “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”.

Tuttavia il Signore dice anche a noi: “Non temere, tu sarai…”. Tocca le nostre labbra, sale sulla nostra barca, entra nella nostra vita e, accogliendoci così come siamo, ci dona la sua grazia, il suo amore, la sua forza. “D’ora in poi tu sarai”.

Bello questo: “tu sarai”. Con me – ci dice Gesù – tu sarai capace di cose nuove, belle, grandi.

“Sulla mia Parola” la tua vita porterà nuovi frutti.

Allora “Tu sarai”. Noi tutti saremo uomini e donne nuovi capaci di costruire una storia non di affanno, agitazione, confusione che alla fine ci lascia a mani vuote, ma una storia aperta al nuovo, al bene e alla giustizia, alle cose veramente essenziali e che contano. E tutto questo attraverso noi, il nostro impegno, il nostro lavoro assiduo e serio, certo, indispensabile e necessario ma abitati dalla sua Presenza che va oltre il nostro limite e le nostre fragilità, il nostro peccato, cosi che anche noi possiamo affermare “per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana”. Pronti anche noi a lasciare un passato alle spalle per costruire un futuro di speranza: “tu sarai pescatore di uomini”!