sabato 7 ottobre 2023

XXVII domenica del tempo ordinario

 

La prima lettura e il vangelo risuonano oggi come un canto di amore deluso. E’ l’amore per la vigna: “Voglio cantare per il mio diletto il mio canto d’amore per la sua vigna”, amata e tanto curata nei dettagli: “piantò, circondò, scavò, costruì…”, tutti verbi che dicono la cura dell’amore. Dall’altra parte invece una risposta deludente: “Aspettò che produsse uva; essa invece produsse acini acerbi”. All’amore del vignaiolo si contrappone la sterilità, la negligenza, la presunzione, la chiusura, il rifiuto di chi ha ricevuto in dono questa vigna.

Che cosa potevo fare di più per te che io non abbia fatto?

Quale reazione? Quale conseguenza? Ci aspetteremmo – come anche capi del popolo e gli anziani rispondono al termine della parabola – un’azione di giustizia e di risarcimento (“li farà morire miseramente…”) verso coloro che non hanno fatto fruttificare la vigna. E invece la preoccupazione non è tanto quella di vendicarsi con chi è stato mancante, ma di far rifiorire la vigna.

Emerge così il secondo aspetto, la seconda parte di questo canto d’amore: una passione mai spenta, un amore più forte di ogni delusione. Emerge il desiderio di Dio: far fruttificare la vigna, farle portare frutti buoni. E così Dio rilancia: altri operai, altri profeti, altro popolo, altra gente, fino a far dono del suo Figlio amato.

E’ descritta tutta la passione d’amore di Dio per noi; una passione d’amore che lo porta al dono del Figlio stesso. Un Dio che non si lascia fermare dalle delusioni e dal rifiuto, ma per amore continua a prendersi cura di questa vigna.

Accogliere Lui diventa allora possibilità di portare finalmente i buoni frutti attesi. Quei frutti di giustizia, di pace, di riconciliazione, di rettitudine; perché è questo che il Signore si aspetta, non altro. Questo si aspetta dalla vigna.

“La vigna del Signore è la casa di Israele”. Essa è immagine del popolo, dell’umanità intera, non solo della chiesa; è immagine di ciascuno di noi, delle nostre famiglie e comunità, del creato stesso.

Quale frutto stiamo portando? Quali frutti maturano dalla mia vita, dalle mie scelte?

L’esortazione apostolica “Laudate Deum” di papa Franscesco, pubblicata il 4 ottobre a conclusione del mese del creato, fa risuonare il grido preoccupato di chi vede questa vigna che è il mondo andare alla deriva. E’ richiamo forte a non perdere tempo, a cambiare strada, soprattutto verso chi ha in mano le sorti dei popoli, di chi invece che portare frutti buoni pensa solo al proprio tornaconto fatto di interessi, profitto a scapito di tutto e di tutti, del creato e dei più poveri e oppressi. Non siamo i padroni della vigna; essa ci è stata solo affidata per custodirla e renderla feconda.

Il grosso rischio, oggi, è non solo la sterilità, il non produrre nulla di buon, ma anche l’auto distruzione del creato e dell’umanità.

Siamo così chiamati a una vita che genera frutti veramente buoni; a costruire famiglie e comunità che portino dentro la società una fecondità di bene e di amore. E’ quanto la chiesa tutta anche attraverso questa rinnovata seduta del Sinodo attualmente in corso deve e vuole cercare.

E’ la sfida e la missione che noi cristiani sentiamo come primo compito. Missione che si muove nel saper vivere ogni cosa e ogni momento con lui, la pietra d’angolo su cui costruire un nuovo futuro. E’ l’invito che Paolo rivolgeva ai suoi amici Filippesi: “Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile e quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.”.

Portando nei nostri pensieri e nei nostri cuori questo desiderio di frutti buoni operiamo insieme per essere il popolo che di nuovo sa far fruttare questa vigna che ci è stata affidata.

 

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