sabato 22 settembre 2018

XXV° domenica del tempo ordinario.


Mentre sono in cammino, Gesù si trova solo con i suoi discepoli e fa di questa occasione l’opportunità per insegnare loro. Li vuole aprire a una maggior comprensione della ‘strada’ che sta percorrendo. Questo, dice Gesù, è quanto mi attende: “il figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno”. Non è questa la fine tuttavia: “dopo tre giorni risorgerà”.
E’ l’attuarsi delle antiche Scritture che nei profeti e nel libro della Sapienza (prima lettura) annuncianovano la fine del giusto: a causa della verità delle sue parole e della sua vita verrà “messo alla prova e condannato a una morte infamante”.
Ma i discepoli “non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo”, forse proprio perché preferivano non voler capire discorsi così chiari e duri... I loro pensieri erano lontani da quelli di Gesù anche perché le loro preoccupazioni erano tutte centrate su loro stessi, sui privilegi e sul primato che speravano di conseguire seguendo il Messia.
Erano così “pieni di desideri”, come dice Giacomo nella seconda lettura, da non poter fare spazio a quanto Gesù cercava di insegnare loro. E si trattava di desideri assai meschini, tuttavia capaci di portare alla lotta, alla distruzione, perché “dove c’è gelosia e ogni spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni”, ci ricorda ancora Giacomo.
Gesù pone una domanda che svela i loro pensieri, costringendoli a manifestarli: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?”.
“Essi tacevano”, come bambini colti con le mani nel sacco, quasi per vergogna di svelare i loro desideri di ambizione e di prestigio.
Questa è la domanda che oggi viene rivolta dal Signore a ciascuno di noi. Quali pensieri abitano il nostro cuore? Quali discorsi, quali parole, quali desideri riempiono il nostro cammino lungo la via della vita?
Prova a fermarti un attimo e a chiederti con sincerità: qual è il pensiero che più spesso ti viene in mente? Quale il desiderio che più sovente occupa i tuoi pensieri?
E’ un invito a leggere dentro di noi le forze che ci guidano.
“Essi tacevano”, e forse anche noi preferiamo tacere riconoscendo che siamo spesso abitati da desideri e pensieri ben diversi da quelli di Gesù.
“Avevano discusso tra loro chi fosse il più grande”. Desideri di grandezza, di affermazione di sé. Competizione e ricerca di potere. Desiderio di emergere, ambizione e orgoglio.
Questi desideri spesso abitano anche in noi e nelle nostre comunità. E allora nascono i malumori, gli scontri, le invidie, le lotte… nelle famiglie, nelle comunità, nella società.
“Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo voi?” ci chiede Giacomo; “non vengono forse dalle vostre passioni…? siete pieni di desideri… combattete e fate guerra…”.
Davanti al silenzio imbarazzato dei discepoli Gesù non li giudica, né li condanna; ma con pazienza “sedutosi, chiamò i dodici e disse loro…”. Riprende a insegnare per aiutarli a capire che altri sono i criteri che li devono guidare: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti. E preso un bambino lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo disse: Chi accoglie uno di questi bambini…accoglie me”.
Parole che risuonano come inversione di tendenza. Parole che non sono solo insegnamento ma proposta di vita: della sua vita; è Lui, Gesù, l’ultimo, il servo di tutti, il bambino in cui si identifica. Ultimo con gli ultimi: i poveri, i peccatori. Servo dei suoi stessi discepoli, mettendosi ai loro piedi per lavarli. Bambino che, indifeso e debole, può solo confidare in quel Padre che lo sorregge nella prova e lo tiene per mano.
E’ questa la strada ch anche il discepolo è chiamato a seguire.
Come Gesù, chiamati a farci ultimi con gli ultimi, servi di tutti, con quell’atteggiamento del bambino, senza appoggi e difese, che trova solo nella fiducia nel Padre la sua forza ed è abitato unicamente dalla certezza di essere da Lui amato.
Questa è la ‘strada’ che si apre davanti a noi. Finché non avremo il coraggio di percorrerla insieme non potremo ancora dirci pienamente suoi discepoli. Non saremo in grado di costruire la sua chiesa che è la famiglia degli ultimi, dei servi, dei piccoli, e che, a volte, noi “pieni di desideri” rischiamo di trasformarla nella casta dei migliori, dei privilegiati, dei potenti.
Uno stile nuovo occorre; sebbene annunciato da secoli da Gesù e da Lui vissuto, spesso è rimasto lettera morta, sempre bisognoso di essere ripreso e attuato da tutti noi.
E’ in questo modo nuovo di essere che noi ci dobbiamo far riconoscere come cristiani, dentro un mondo che, abitato “da gelosia e spirito di contesa”, cerca sovente l’affermazione personale a scapito del bene e della vita degli altri.
Dentro questa realtà, come singoli e come chiesa, dobbiamo ritrovare tutti il coraggio di camminare controcorrente affinché il vangelo di Gesù possa radicarsi nel cuore di ogni persona.

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