sabato 15 settembre 2018

XXIV° domenica del tempo ordinario


“La fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta”: ci ha detto Giacomo nella seconda lettura. Un’affermazione che toglie ogni ombra di dubbio: non può esserci l’alternativa o la fede o le opere, ma solo l’unità: ‘e fede e opere’.
Il rischio che corriamo è di ridurre la fede a fatto intimistico e sentimentale, oppure buttarci a capofitto nel fare dando come secondaria e meno rilevante la fede. Fede e opere o stanno insieme o si vanificano a vicenda. O la fede si traduce in vita di amore o semplicemente non c’è. O le opere sono espressione della fede, della relazione d’amore con Dio, o rischiano di essere solo protagonismo e facciata.
E’ per noi importante allora imparare a unificare fede e opere se vogliamo essere discepoli di Gesù e costruire con Lui la sua chiesa.
Occorre tuttavia che ci aiutiamo a chiarire meglio il contenuto di questi due aspetti così inscindibili: fede e opere.
Ci è di aiuto il vangelo di oggi, in particolare attraverso la figura e l’esempio di Pietro, che sta quasi a rappresentare ciascuno di noi.
Innanzitutto emerge la sua professione di fede: “Voi chi dite che io sia?”, “Tu sei il Cristo”. Un’espressione che dice di aver riconosciuto in Gesù l’inviato del Padre, il Messia, figlio di Dio. Ecco dunque il contenuto della fede: riconoscere Gesù, inviato di Dio, figlio amato. Entrare in una relazione di conoscenza, di amore con Lui, di adesione, attraverso la sua persona e il suo Spirito, al Padre. Il resto è aggiunta, a volte anche inutile e deformante della fede stessa.
Se questa è la fede, quali dunque le opere?
La vera fede, se è incontro e relazione con Gesù, porta inevitabilmente a seguirlo, cioè a fare le stesse scelte, lo stesso cammino che lui ha tracciato davanti a noi. Queste sono dunque le opere che manifestano la fede: fare lo stesso cammino di Gesù, assumere lo stesso stile, la stessa impostazione di vita, gli stessi pensieri di Cristo… pensare, giudicare, agire come Lui.
Su questo Pietro lo vediamo veramente distante da Gesù. In lui la fede resta staccata dalle opere, rifiutandosi di seguirlo su quella strada di donazione libera e totale che Gesù gli manifesta: “cominciò ad insegnare loro che doveva soffrire molto ed essere rifiutato.. venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”. Pietro questo non lo accetta (vuole la riuscita senza passare per la via della croce…) e arriva a rimproverare addirittura Gesù. Manifesta così chiaramente che il suo pensiero è lontano, diverso da quello del Maestro. “Và dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
Per Pietro – e anche per noi a volte – occorre mettersi dietro (“Và dietro a me”), cioè mettersi a seguirlo con fiducia imparando a pensare con i pensieri di Cristo e non con i propri pensieri segnati da una logica umana tutta tesa a salvare se stessi, a difendere i propri interessi, a possedere, a trattenere invece che perdere, donare.
“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (il proprio io), prenda la sua croce e mi segua”. Ecco cosa significa credere in Gesù non solo a parola, ma anche con la vita. Una vita che trova il coraggio di rinnegare il proprio io egoista, che smetta di pensare solo a sé, di ragionare secondo calcoli umani, ma si fa capace di essere riflesso della vita di Cristo, vita donata e spesa gratuitamente e per amore.
Gesù non è venuto per salvare se stesso “perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”.
Questa diventa la strada del discepolo.
Anche noi come Pietro dobbiamo riconoscere che abbiamo ancora tanto cammino da compiere affinché la fede che professiamo con le labbra sia anche confessata con le opere, con una vita coerente al vangelo.
A questo siamo chiamati: vivere quel vangelo che trova nell’amore gratuito la sua espressione più alta. Viverlo pur in mezzo a una mentalità, a un pensare degli uomini che segue altri parametri e che valuta la realizzazione di una vita solo in un’ottica di affermazione di sé, di successo personale, di soddisfazione del proprio io. Qui si gioca la novità del vangelo. Qui sta la testimonianza che il mondo si aspetta da noi cristiani. Fare come Gesù, amare gratuitamente, anche il nemico, perdonare e accogliere tutti, fare della vita un servizio e un dono d’amore, questo non è secondo il pensare degli uomini; questa è la novità folle di Dio, è lo scandalo della croce, “essa è follia per gli uomini, ma sapienza e forza di Dio”.
Mettiamoci di nuovo dietro a Gesù; Lui ci aiuti a fare nostre le parole del profeta Isaia e il suo atteggiamento: “Non mi sono tirato indietro”.  Anche noi non tiriamoci indietro, non riduciamo la nostra fede a pia devozione; ritroviamo il coraggio di legarla alle opere, alla capacità di seguire Gesù, di fare come Gesù, di rendere la nostra vita, proprio grazie alla nostra fede il Lui, un dono d’amore.

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