“La
fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta”:
ci ha detto Giacomo nella seconda lettura.
Un’affermazione che toglie ogni ombra di dubbio: non può esserci
l’alternativa o la fede o le opere, ma solo l’unità: ‘e fede e opere’.
Il rischio che corriamo è di ridurre la
fede a fatto intimistico e sentimentale, oppure buttarci a capofitto nel fare
dando come secondaria e meno rilevante la fede. Fede e opere o stanno insieme o
si vanificano a vicenda. O la fede si traduce in vita di amore o semplicemente
non c’è. O le opere sono espressione della fede, della relazione d’amore con
Dio, o rischiano di essere solo protagonismo e facciata.
E’ per noi importante allora imparare a unificare
fede e opere se vogliamo essere discepoli di Gesù e costruire con Lui la sua
chiesa.
Occorre tuttavia che ci aiutiamo a chiarire
meglio il contenuto di questi due aspetti così inscindibili: fede e opere.
Ci è di aiuto il vangelo di oggi, in
particolare attraverso la figura e l’esempio di Pietro, che sta quasi a rappresentare
ciascuno di noi.
Innanzitutto emerge la sua professione di
fede: “Voi chi dite che io sia?”, “Tu sei
il Cristo”. Un’espressione che dice di aver riconosciuto in Gesù l’inviato
del Padre, il Messia, figlio di Dio. Ecco dunque il contenuto della fede:
riconoscere Gesù, inviato di Dio, figlio amato. Entrare in una relazione di
conoscenza, di amore con Lui, di adesione, attraverso la sua persona e il suo
Spirito, al Padre. Il resto è aggiunta, a volte anche inutile e deformante
della fede stessa.
Se questa è la fede, quali dunque le opere?
La vera fede, se è incontro e relazione con
Gesù, porta inevitabilmente a seguirlo, cioè a fare le stesse scelte, lo stesso
cammino che lui ha tracciato davanti a noi. Queste sono dunque le opere che
manifestano la fede: fare lo stesso cammino di Gesù, assumere lo stesso stile,
la stessa impostazione di vita, gli stessi pensieri di Cristo… pensare,
giudicare, agire come Lui.
Su questo Pietro lo vediamo veramente
distante da Gesù. In lui la fede resta staccata dalle opere, rifiutandosi di
seguirlo su quella strada di donazione libera e totale che Gesù gli manifesta: “cominciò ad insegnare loro che doveva
soffrire molto ed essere rifiutato.. venire ucciso e, dopo tre giorni,
risorgere”. Pietro questo non lo accetta (vuole la riuscita senza passare
per la via della croce…) e arriva a rimproverare addirittura Gesù. Manifesta
così chiaramente che il suo pensiero è lontano, diverso da quello del Maestro. “Và dietro a me, Satana! Perché tu non pensi
secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
Per Pietro – e anche per noi a volte –
occorre mettersi dietro (“Và dietro a me”),
cioè mettersi a seguirlo con fiducia imparando a pensare con i pensieri di
Cristo e non con i propri pensieri segnati da una logica umana tutta tesa a
salvare se stessi, a difendere i propri interessi, a possedere, a trattenere
invece che perdere, donare.
“Se
qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (il proprio io), prenda la
sua croce e mi segua”. Ecco cosa significa credere in Gesù
non solo a parola, ma anche con la vita. Una vita che trova il coraggio di
rinnegare il proprio io egoista, che smetta di pensare solo a sé, di ragionare
secondo calcoli umani, ma si fa capace di essere riflesso della vita di Cristo,
vita donata e spesa gratuitamente e per amore.
Gesù non è venuto per salvare se stesso “perché chi vuol salvare la propria vita, la
perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la
salverà”.
Questa diventa la strada del discepolo.
Anche noi come Pietro dobbiamo riconoscere
che abbiamo ancora tanto cammino da compiere affinché la fede che professiamo
con le labbra sia anche confessata con le opere, con una vita coerente al
vangelo.
A questo siamo chiamati: vivere quel
vangelo che trova nell’amore gratuito la sua espressione più alta. Viverlo pur
in mezzo a una mentalità, a un pensare degli uomini che segue altri parametri e
che valuta la realizzazione di una vita solo in un’ottica di affermazione di
sé, di successo personale, di soddisfazione del proprio io. Qui si gioca la
novità del vangelo. Qui sta la testimonianza che il mondo si aspetta da noi
cristiani. Fare come Gesù, amare gratuitamente, anche il nemico, perdonare e
accogliere tutti, fare della vita un servizio e un dono d’amore, questo non è
secondo il pensare degli uomini; questa è la novità folle di Dio, è lo scandalo
della croce, “essa è follia per gli
uomini, ma sapienza e forza di Dio”.
Mettiamoci di nuovo dietro a Gesù; Lui ci
aiuti a fare nostre le parole del profeta Isaia e il suo atteggiamento: “Non mi sono tirato indietro”. Anche noi non tiriamoci indietro, non
riduciamo la nostra fede a pia devozione; ritroviamo il coraggio di legarla
alle opere, alla capacità di seguire Gesù, di fare come Gesù, di rendere la
nostra vita, proprio grazie alla nostra fede il Lui, un dono d’amore.
Nessun commento:
Posta un commento