Oggi i primi a
confrontarsi con queste pagine della Parola di Dio siamo noi preti. Il profeta
nella prima lettura si rivolgeva contro i sacerdoti del Tempio e Gesù nel
vangelo, parlando alle folle e ai discepoli, mette in guardia proprio da coloro
che erano allora le guide religiose.
“Dicono e non fanno”. Ad essere sincero,
mi ci ritrovo. Dico e non faccio. C’è distanza tra la Parola che proclamo e la
mia vita. Abituato a parlare dalla dal pulpito, dico tante cose giuste e belle,
ma poi non sempre le faccio, le vivo.
E’ un vangelo
oggi che ci mette alle strette. E’ un esame di coscienza a cui siamo chiamati: preti,
ma anche tutti noi “folla e discepoli”
verso i quali la parola di oggi è rivolta.
E’ pur vero, come
ricorda Paolo nella seconda lettura che “la
Parola opera in voi che credete”: cioè agisce, scava dentro ciascuno,
illumina, nonostante coloro che l’annunciano poi non la vivono; “Fate quello che vi dicono – perché
viene da Dio – non fate quello che fanno
– perché viene solo da loro”.
A volte si sente
gente scusarsi dicendo: ‘ma non lo fanno nemmeno loro quello che dicono’
(riferendosi sia a preti e anche a politici…).
Questo tuttavia
non deve impedirci di accogliere la Parola e di viverla noi, al di là di quello
che altri fanno. “Ricevendo la Parola di
Dio l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come Parola
di Dio” dice Paolo, e di questo dobbiamo essere tutti capaci; senza
fermarci a chi la proclama e che, per la fragilità umana, non sempre è in grado
di viverla fino in fondo.
Dobbiamo pur
riconoscere che nessuno è esente dall’incoerenza tra il dire e il fare.
L’incoerenza fa quasi parte del nostro essere fragili e deboli creature. E Gesù
questo lo sa. E non contro questa debolezza lui si scaglia. Non contro
l’incoerenza, ma contro l’ipocrisia, Gesù se la prende. Noi non saremo
giudicati sull’aver raggiunto o no l’ideale, la perfezione (perché nessuno può
essere perfetto se non Dio solo); verremo invece giudicati se verso l’ideale
che la Parola ci propone, avremo camminato con sincerità, con l’infinita
pazienza di saper ricominciare sempre da capo. La severità di Gesù colpisce
l’ipocrisia, non la debolezza. E gli ipocriti chi sono? Coloro che invece di
riconoscere la loro debolezza e rimettersi sempre in cammino con cuore umile e
pentito, credono invece di essere nel giusto, solo perché dicono cose giuste.
Sono i moralisti che rendono la legge più dura per gli altri. Sono quanti,
chiusi in schemi rigidi, non camminano più, e tutto e tutti misurano dentro i
loro schemi.
E Gesù, nel brano
di oggi mette in guardia proprio verso questi atteggiamenti negativi, che anche
noi suoi discepoli corriamo il rischio di assumere: l’ipocrisia, la vanità “tutto fanno per essere ammirati”; il
gusto del potere, di farsi chiamare ‘maestri’.
Atteggiamenti su cui fare ogni giorno, tutti, un buon esame di coscienza.
La cosa più
importante tuttavia è che Gesù, mettendo in guardia da questi pericoli, offre a
chi vuole essere suo discepolo alcune semplici indicazioni per una vita piena e
autentica. Eccole: “Il più grande è colui
che serve”. “Non fatevi chiamare maestri… uno solo è il vostro maestro, voi
siete tutti fratelli”. L’agire nascosto invece dell’apparire; la semplicità
invece della vanità; il servizio invece del potere. Sono lo Statuto della nuova
comunità. Uno solo Maestro, Padre, Guida: il Dio che in Cristo si è fatto servo
di tutti noi, per renderci figli amati e fratelli. Ecco la vera gerarchia, se
proprio deve essercene una: Dio in basso, ai piedi, servo, e in Lui noi tutti
fratelli.
Dentro questi atteggiamenti
è chiamata a muoversi e crescere la nostra vita personale e la vita delle
nostre comunità, della chiesa tutta.
Quanta strada da
fare ancora! Un cammino di conversione si pone come urgente per tutti. Davanti
alle fatiche dell’oggi, come chiesa e come cristiani dentro la società, occorre
ritrovare il coraggio per chiederci con quale stile stiamo vivendo la nostra fede.
“Se non mi
ascolterete manderò su di voi la maledizione”, ammoniva
con forza il profeta Malachia. Ma la maledizione, di fatto, viene, non da Dio,
ma da noi stessi; dalle nostre scelte, dal nostro non ascoltare la Parola.
Vivendo lontano da Lui e diversamente dal suo Vangelo non facciamo altro che
aprire la strada a situazioni di fallimento: lo svuotamento delle nostre
chiese, il calo delle vocazioni, la frantumazione di un tessuto famigliare e
sociale, l’inaridimento delle nostre comunità… Non sono forse il frutto delle
nostre scelte, del nostro stile di vita cristiano, o meglio poco cristiano perché
fatto più di apparenza che di sostanza?
Occorre tornare
ad ascoltare il Signore. Ad ascoltare la sua voce. Voce che non vuole maledire,
bensì guidarci a una vita benedetta, piena autentica. Solo se lo si ascolta e
si cerca, pur con tutte le nostre debolezze e fragilità, di vivere secondo la
sua Parola, potranno aprirsi orizzonti di speranza e di novità.
Facciamoci l’esame
di coscienza che Gesù ci suggerisce, ma soprattutto riprendiamo il nostro
cammino assumendo come criterio di vita e stile di relazioni quella semplicità,
umiltà e capacità di servizio che Gesù ci propone come carta di identità del
nostro essere suoi discepoli e sua chiesa.
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