sabato 18 novembre 2017

Trentatreesima domenica del Tempo ordinario



Siamo forse troppo abituati a liquidare in fretta questa parabola che alla fine ci sfugge tutta la sua ricchezza e il suo significato. Riduciamo tutto a una questione di talenti, chi ne ha più chi ne ha meno e al dover darsi da fare per moltiplicarli… Vero, ma poco.
Proviamo a guardare con più attenzione alla figura del terzo servo, quello che riceve un solo talento. Magari mettiamoci anche nei suoi panni.
Che cosa ha fatto di male alla fine? Non ha sprecato nulla, ha messo tutto in sicurezza, ha riconsegnato integro il talento ricevuto… Perché viene trattato così male?
Alla fine bisogna riconoscere che agli altri due gli è andata bene: hanno investito moltiplicando, ma potevano anche perdere tutto o in parte quanto ricevuto. Hanno rischiato, mentre l’ultimo è andato sul sicuro: ha messo in sicurezza.
Ma forse sta proprio qui il vero messaggio della parabola che ci svela il modo diverso di vedere le cose da parte Dio.
Noi tendiamo a stare sul sicuro: sicurezza, precauzione, attenzione… E’ un po’ anche la mentalità di oggi: in tutti i campi si parla di sicurezza, si vuole sicurezza e anche dal punto di vista religioso spesso riduciamo tutto a metterci in sicurezza con qualche pia pratica, nell’osservanza di doveri e regole, cercando di non sbagliare, di non peccare…
Dio invece vede le cose in modo diverso e ci invita a rischiare di più. Con la parabola sembra voler dire: non vivere per mettere al sicuro te stesso, le cose e i doni che hai, ma rischia, impiega, mettiti in gioco.
Non conta se hai poco o tanto: io non sono un banchiere che conta quanto produci, sono un padre che desidero vedere i miei figli non a fare niente, ma a valorizzare la loro vita, a condividerla con gli altri con generosità.
Per me conta non quanto tu mi restituisci (nota bene che ai primi due servi non solo non rivuole nulla ma dona ancora di più, dona la condivisione della propria vita: “prendi parte alla gioia del tuo padrone”), conta che tu abbia il coraggio di mettere in gioco te stesso, la tua vita le tue capacità il tuo tempo, e non di ‘assicurarla’ per restituirla intatta…
E’ anche interessante capire perché questo terzo servitore cade nell’atteggiamento del voler mettere tutto al sicuro senza rischio.
Il motivo lui stesso lo spiega: “ho avuto paura”. Paura del ‘padrone’. Si era fatto un’idea sbagliata del padrone: lo riteneva un freddo contabile, uomo duro pronto a giudicarlo. Cosa che gli altri due invece non pensano, anzi si fidano del padrone e lo scoprono grande e generoso, pronto ad apprezzare, non tanto la loro resa, quanto hanno fatto, ma il loro atteggiamento, il loro coraggio di rischiare e di affrontare con cuore aperto e generoso la vita.
Credo che se anche i due servi non fossero riusciti a guadagnare il doppio, non sarebbe cambiato nulla, proprio perché Dio avrebbe guardato il loro impegno nel mettere in gioco se stessi e non la resa di capitale.
Ecco allora che la parabola ci vuole aiutare anche a liberarci da una immagine sbagliata di Dio, pensato e costruito quasi a nostra somiglianza, pronto a prenderci le misure, a giudicarci su ciò che facciamo o meno.
Dio non è così; la parabola lo presenta come signore dal cuore largo e generoso, pronto a farci prendere parte alla sua gioia, alla sua vita, se di questa nostra vita abbiamo avuto il coraggio di non tenerla stretta per noi, vivendo al minimo, ma di condividerla con generosità, di spenderla a servizio degli altri.
Questa nostra vita, dono splendido e grande, Dio lo mette nelle nostre mani, nelle mani della nostra libertà.
Dono diverso e particolare per ciascuno. Ma non da mettere in ‘sicurezza’ bensì spendere e giocare per Lui e per gli altri.
Questo chiede a noi anche attenzione e vigilanza, come ci ha ricordato Paolo, per non lasciarci ingannare dalle tenebre, dal male, per non farci rubare la vita ma piuttosto renderla sempre più luminosa, quali “figli della luce e del giorno”.
Chiede poi responsabilità e solidarietà: ce lo ricorda la donna della prima lettura che rappresenta il popolo, la sposa a Dio gradita, capace di mettere se stessa e i suoi beni a servizio in particolare dei poveri.
E’ anche l’invito che papa Francesco ci rivolge in questa prima giornata mondiale dei poveri: vivere nella condivisione, nella solidarietà, operando per generare giustizia, fraternità e pace.
La vita allora non diventa sfida a chi rende di più schiacciando magari gli altri, ma coraggio di metterci tutti in gioco con ciò che si è e si ha – e ognuno è prezioso e importante – perché nel servizio reciproco si costruisca una umanità più giusta, fraterna e solidale; si faccia crescere dentro questa storia il regno di Dio, così che un giorno possiamo sentirci da Lui accolti e benedetti: “Bene servo buone e fedele, sei stato fedele non poco ti darò potere su molto, prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

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