Dall’alto
viene ogni dono perfetto: così ci ricorda Giacomo nella seconda lettura: “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto
vengono dall’alto e discendono dal Padre”.
Il regalo più grande che il Padre ci ha fatto è la sua Parola, il Verbo
che si fece carne, Parola che ci ha generati e resi suoi figli amati. Parola
che “è stata piantata in noi e può
portarci alla salvezza”, che ci è stata data “perché viviamo” come ricorda il libro del Deuteronomio. Con essa “il Signore nostro Dio è vicino a noi”,
cammina con noi, ci accompagna sempre. Ascoltarla, accoglierla con docilità e
metterla in pratica è quanto ci è chiesto.
Tuttavia
il brano di Vangelo, attraverso la disputa tra Gesù e i farisei e gli scribi,
mette in evidenza alcuni pericoli nei quali possiamo anche noi incorrere.
Il primo
di questi è fermarci all’esteriorità cadendo nell’ipocrisia: “Ipocriti (che voleva dire, in greco:
attori, teatranti; ben capaci di recitare, ma non di accogliere e vivere quanto
dite con le labbra), come sta scritto
‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me’”. E’
il pericolo di compiere gesti, dire formule, eseguire riti con il cuore
assente: una religione puramente esteriore.
Il
secondo pericolo è quello di sostituire la Parola con insegnamenti umani: “Trascurando il comandamento di Dio voi
osservate la tradizione degli uomini”; quella tradizione fatta di una
molteplicità di precetti e usanze (come il lavarsi le mani) che nulla hanno a
che vedere con la Parola del Signore. Loro farisei pretendevano di dare
autorità divina a quelle che erano soltanto loro invenzioni. Già Mosè aveva
ammonito il popolo: “Non aggiungerete
nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla”.
Si tratta
di pericoli che portano il “cuore lontano”
dal Dio che con la sua Parola ci è vicino. Pericoli che possono riguardare
anche noi, ogni volta che ci limitiamo a una religiosità puramente esteriore e
formale e ci affanniamo per tradizioni, pratiche, pur buone, ma frutto di
inventiva umana e che nulla o poco hanno a che vedere con la Parola di Dio.
Gesù
intervenendo e rispondendo ai farisei aiuta anche noi a rimettere le cose in
ordine. “Ascoltatemi”: a loro e a noi
si propone come la Parola definitiva e vera, superando e approfondendo la
Parola stessa. Sconfessa infatti il libro del Levitico che distingueva ciò che
è puro da ciò che non lo è. Gesù afferma che tutto è puro e buono. E’ la Parola
nuova: così facendo dà compimento alla rivelazione indicandoci nel ‘cuore’ il centro del nostro essere, il
luogo del giudizio e della decisione, il luogo dove ciascuno è chiamato a
entrare per vivere nell’interiorità e nella verità il suo rapporto con Dio e
con gli altri. Lì ognuno diventa responsabile di ciò che vi coltiva: se il male
che uscendo si diffonde nel mondo, o il bene che ci fa capaci di edificare positivamente
la realtà in cui siamo. “E’ dal cuore
degli uomini” che tutto ha origine: il male, come il bene. E solo un cuore
abitato dalla Parola sarà in grado di operare nel bene, senza ipocrisia e nella
verità.
Questo diventa
per noi, suoi discepoli, sua Chiesa, motivo di ripensamento: a cosa diamo
priorità e importanza? All’esteriorità a
scapito dell’interiorità? Alle tradizioni e pratiche di uomini a scapito alla
Parola di Dio? Il nostro cuore, il cuore delle nostre comunità da cosa è
abitato?
Per
essere Chiesa che sa nuovamente evangelizzare, dobbiamo avere il coraggio di
uscire dai pericoli di cui abbiamo detto tornando a dare priorità assoluta alla
Parola di Dio accolta nel cuore e vissuta.
Dobbiamo
lavorare insieme per una chiesa che sappia vivere in verità e profondità. Meno
esteriorità (che pur ci vuole) e più interiorità; un’interiorità che sappia
dare significato, valore, a ciò che esteriormente facciamo.
Una
chiesa così allora si sente pronta a evangelizzare, promuovendo la Parola di
Dio e non tanto tradizioni e devozioni, pur buone, ma opera di uomini. Serviamo
la Parola e niente altro. E’ vero che tradizioni e devozioni in sé non sono
male; ma sono pur sempre vanità. C’è una differenza notevole tra queste e la
Parola di Dio. E’ come la differenza tra la foto dello sposo e lo sposo in
carne e ossa. Le tradizioni sono come una foto: bella, carina, colorata, ma pur
sempre un pezzo di carta. La Parola di Dio è lo sposo stesso, è Lui in persona
che ci parla, ci abbraccia, ci cammina accanto. Più stai con la Parola e meno
ti servono le tradizioni, le devozioni varie. Più stai con lo sposo e meno
serve guardarlo nella foto…
Le
tradizioni, gli usi liturgici, le devozioni, sorti in determinate fasi
storiche, purtroppo rischiano di sostituirsi al centro del messaggio cristiano,
rendendolo opaco e deforme. Ci è chiesto discernimento tra ciò che è essenziale
e ciò che è secondario nell’annuncio cristiano.
Per
arrivare a questo dobbiamo tornare ad essere chiesa in ascolto. Tornare a dare
il primato alla Parola. “Accogliete con docilità la Parola che è
stata piantata in voi”.
Questa
Parola ci guida alla vigilanza e al discernimento per saper riconoscere ciò che
veramente vale. Ha inoltre la forza di custodire il nostro cuore e di cambiarlo,
svuotandolo dal male che cerca di radicarsi dentro, per renderci capaci di
portare frutti buoni.
E ancora essa ci libera da una vita ipocrita-teatrante
e ci rende capaci di unificare fede e vita, esteriorità e interiorità, così da
diventare testimoni gioiosi della libertà e della novità del Vangelo ed essere
così, insieme, “una primizia delle sue
creature”.
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