sabato 13 dicembre 2025

"Il Presepe: un belato di gioia!" - Il Dio che nasce è il fatto più potente, i nostri belati la preghiera più bella.

Articolo di Davide Ronconi - Da Avvenire del 13.12.2025

Il presepe è un grande belato. Un grande belato nel mondo che invece urla, grida, impreca e anche quando cerca Dio lo cerca spesso come un idolo in cielo o in terra con inni suppliche e parole magniloquenti. Invece il presepe è un dolce sterminato belato di stupore e di accoglienza. E di commozione. Come quella che strinse la gola di san Francesco, inventore della scena del presepe, a Greccio in quella notte. Tale fu la commozione del santo e poeta nel contemplare il mistero della incarnazione che non gli riusciva, dicono le fonti, di pronunciare la parola Betlemme e si incantava in un belato: beee... beee...

Il presepe è una preghiera all’Altissimo e Onnipotente che abbassa gli occhi dal cielo misterioso e si fa Belato commosso dinanzi a un Dio che ride come un bimbo, come lo chiamava Ungaretti. Al Dio Altissimo e Onnipotente, un Dio che potrebbe sembrare distante e terribile. E invece è «Altissimo, Onnipotente, Buono». Il presepe è inventato da un uomo che bela, commosso perché l’Altissimo si è fatto piccolino come lui, che si sentiva quasi nulla. Il minore, il parvolus. E il presepe infatti è la festa dei piccoli, di quelli che non si montano la testa, di quelli che non si credono superiori. Perciò nel presepe di noi piccoli ci può stare chiunque, dal pastorello a Messi, da Trump alla lavandaia, dalla Meloni al panettiere, dal migrante al Re Mago e sapiente. Ci può stare chiunque se c’è Lui, il Nascente. Lui ci dev’essere di sicuro. Tutti gli altri, noi, possiamo andare alla capanna e possiamo anche non andare, Il Natale senza di Lui non ha senso, Noi possiamo dare senso al Natale se andiamo al presepe. E non c’è una dogana, un buttafuori, non c’è un numero chiuso. Queste cose sono necessarie altrove. Non nel presepe. Qui ci può stare chiunque proprio perché dinanzi al Dio che ride come un bimbo, nessuno è “chiunque”, ma ognuno può essere, per un attimo almeno, sé stesso, e ascoltare e far uscire il belato del proprio cuore. Il proprio singolare, personalissimo belato. Quello che il Pastore riconosce. Lui solo riconosce fino in fondo. So bene che si può fare del presepe terreno di sociologia, di banale lotta politica, di stupida contesa. Lo si può fare della terra dove si vive, lo si può fare dei soldi da dividere tra fratelli, della casa dove si è vissuti coi genitori. Sappiamo fare di tutto terreno di contesa, anche dei baci. Siamo fatti così, tendiamo alla divisione, forse o anzi sicuramente, perché sedotto anche da quella forza divisiva (diavolo, dal greco “dividere”) che ci promette maggiore convenienza in certi atteggiamenti, scelte, strategie. E dunque persino del presepe si può fare, e lo fanno, territorio di contesa, di oltraggio. Quel Dio che ride come un bimbo, anche crescendo, anche morendo, non si è mai difeso dagli oltraggi. Gliene hanno dette di tutti i colori. Ubriacone, frequentatore di prostitute, perditempo. Fanfarone. Bestemmiatore. Gli hanno sputato, lo hanno deriso. E frustato, e ucciso. Non si è mai difeso dagli oltraggi. Ci ha difeso lui dall’oltraggio di morire. Dall’oltraggio supremo della morte. È rimasto bambino ed è rimasto Dio. «Non vedi che è un bimbo, non vedi che è Dio...» dice un poeta dinanzi al piccolo che cammina per la strada, al bimbo oltraggiato anche dalle inutili, vacue diatribe sul presepe, e dallo stupido uso che se ne fa per lanciare messaggi politici e sociali. Come se quello non fosse già il messaggio politico e sociale più rivoluzionario, come se quel bimbo che è Dio avesse bisogno che tu ci aggiungi i tuoi pensierini intelligenti, o “impegnati” o politicuzzi. Come se il presepe non fosse già la manifestazione più forte, quella che strappa da millenni il belato a cuori in tutto il mondo. Il presepe non ha bisogno di aggiunte o sottrazioni. Il Nascente è l’evento più potente del mondo, cosa pensi mai di aggiungere? O forse aggiungendo qualcosa, uno slogan, una strategia di comunicazione ecco, forse vuoi oscurarlo, vuoi difenderti da quel belato che ti sale dall’anima, violento come un pianto, dolcissimo come una ninna nanna? Forse le aggiunte o le sottrazioni che in mille modi si compiono sul corpo nudo del presepe, gli oltraggi, sì, oltraggi li chiamo, sono un modo per evitare di stare lì di fronte a belare, come ha fatto san Francesco, come fanno i bambini, come faceva mia nonna, come per un istante possiamo fare tutti, dimenticandoci le false grandezze, le false potenze...

Chi “cambia” il presepe si difende dal Nascente. Lo oltraggia. Pensa di essere più intelligente di Dio. Cioè fa la figura dello stupido. Chi invece si mette lì, senza creder d’esser meglio di nessuno, senza incaricare tristi doganieri della morale o dello spirito a decidere secondo la sua piccola testa chi ci può essere o no, insomma chi si mette lì ricco del suo solo sperduto belato si accorgerà che ad esso si intona, si unisce, il dolce pianto e riso del Dio nascente. La vita cerca la vita, dice il poeta Luzi. Nel presepe dei piccoli, degli umili la vita trova la Vita.


domenica 7 dicembre 2025

"Aurora di un mondo nuovo" - Solennità dell'Immacolata

 

VEGLIA DI PREGHIERA E ROSARIO PER LA PACE

MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE LEONE XIV                                      Piazza San Pietro Sabato, 11 ottobre 2025

Cari fratelli e sorelle,

siamo raccolti in preghiera, questa sera, insieme con Maria la Madre di Gesù, così come era solita fare la prima Chiesa di Gerusalemme (At 1,14). Tutti insieme, perseveranti e concordi, non ci stanchiamo di intercedere per la pace, dono di Dio che deve diventare nostra conquista e nostro impegno.

In questo Giubileo della spiritualità mariana, il nostro sguardo di credenti cerca nella Vergine Maria la guida del nostro pellegrinaggio nella speranza, guardando alle sue virtù umane ed evangeliche, la cui imitazione costituisce la più autentica devozione mariana (cfr Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 65.67). Come lei, la prima dei credenti, vogliamo essere grembo accogliente dell’Altissimo, «tenda umile del Verbo, mossa solo dal vento dello Spirito» (S. Giovanni Paolo II, Angelus, 15 agosto 1988). Come lei, la prima dei discepoli, chiediamo il dono di un cuore che ascolta e si fa frammento di cosmo ospitale. Attraverso di lei, Donna addolorata, forte, fedele, chiediamo di ottenerci il dono della compassione verso ogni fratello e sorella che soffre e per tutte le creature.

Guardiamo alla Madre di Gesù e a quel piccolo gruppo di donne coraggiose presso la Croce, per imparare anche noi a sostare come loro accanto alle infinite croci del mondo, dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, per portarvi conforto, comunione e aiuto. In lei, sorella di umanità, ci riconosciamo, e con le parole di un poeta le diciamo:

«Madre, tu sei ogni donna che ama; madre, tu sei ogni madre che piange
un figlio ucciso, un figlio tradito. Questi figli mai finiti di uccidere» (D. M. Turoldo).

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Vergine della Pasqua, insieme a tutti coloro in cui continua a compiersi la passione di tuo Figlio.

Nel Giubileo della spiritualità mariana, la nostra speranza si illumina della luce mite e perseverante delle parole di Maria che il Vangelo ci riferisce. E tra tutte, sono preziose le ultime pronunciate alle nozze di Cana, quando, indicando Gesù, dice ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). Poi non parlerà più. Dunque queste parole, che risultano quasi un testamento, devono essere carissime ai figli, come ogni testamento di una madre.

Qualsiasi cosa Lui vi dica. Lei è certa che il Figlio parlerà, la sua Parola non è finita, crea ancora, genera, opera, riempie di primavere il mondo e di vino le anfore della festa. Maria, come un segnale indicatore, orienta oltre sé stessa, mostra che il punto di arrivo è il Signore Gesù e la sua Parola, il centro verso cui tutto converge, l’asse attorno al quale ruotano il tempo e l’eternità.

Fate la sua Parola, raccomanda. Fate il Vangelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne, fatica e sorriso. Fate il Vangelo, e si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta ad accesa.

Fate qualsiasi cosa vi dica: tutto il Vangelo, la parola esigente, la carezza consolante, il rimprovero e l’abbraccio. Ciò che capisci e anche ciò che non capisci. Maria ci esorta ad essere come i profeti: a non lasciare andare a vuoto una sola delle sue parole (cfr 1Sam 3,19).

E tra le parole di Gesù che non vogliamo lasciar cadere, una risuona in particolare oggi, in questa veglia di preghiera per la pace: quella rivolta a Pietro nell’orto degli ulivi: “Metti via la spada” (cfr Gv 18,11). Disarma la mano e prima ancora il cuore. Come già ho avuto modo di ricordare in altre occasioni, la pace è disarmata e disarmante. Non è deterrenza, ma fratellanza, non è ultimatum, ma dialogo. Non verrà come frutto di vittorie sul nemico, ma come risultato di semine di giustizia e di coraggioso perdono.

Metti via la spada è parola rivolta ai potenti del mondo, a coloro che guidano le sorti dei popoli: abbiate l’audacia del disarmo! Ed è rivolta al tempo stesso a ciascuno di noi, per farci sempre più consapevoli che per nessuna idea, o fede, o politica noi possiamo uccidere. Da disarmare prima di tutto è il cuore, perché se non c’è pace in noi, non daremo pace.

Ascoltiamo ancora il Signore Gesù: i grandi del mondo si costruiscono imperi con il potere e il denaro (cfr Mt 20,25; Mc 10,42), «Voi però non fate così» (Lc 22,26). Dio non fa così: il Maestro non ha troni, ma si cinge un asciugamano e s’inginocchia ai piedi di ciascuno. Il suo impero è quel poco di spazio che basta per lavare i piedi dei suoi amici e prendersi cura di loro.

È anche l’invito ad acquisire un punto di vista diverso per guardare il mondo dal basso, con gli occhi di chi soffre, non con l’ottica dei grandi; per guardare la storia con lo sguardo dei piccoli e non con la prospettiva dei potenti; per interpretare gli avvenimenti della storia con il punto di vista della vedova, dell’orfano, dello straniero, del bambino ferito, dell’esule, del fuggiasco. Con lo sguardo di chi fa naufragio, del povero Lazzaro, gettato alla porta del ricco epulone. Altrimenti non cambierà mai niente, e non sorgerà un tempo nuovo, un regno di giustizia e di pace.

Così fa anche la Vergine Maria nel cantico del Magnificat, quando posa lo sguardo sui punti di frattura dell’umanità, là dove avviene la distorsione del mondo, nel contrasto tra umili e potenti, tra poveri e ricchi, tra sazi e affamati. E sceglie i piccoli, sta dalla parte degli ultimi della storia, per insegnarci a immaginare, a sognare insieme a lei cieli nuovi e terra nuova.

Fate quello che vi dirà. E noi ci impegniamo affinché si faccia nostra carne e passione, storia e azione, la grande parola del Signore: “Beati voi, operatori di pace” (cfr Mt 5,9).

Beati voi: Dio regala gioia a chi produce amore nel mondo, gioia a quanti, alla vittoria sul nemico, preferiscono la pace con lui.

Coraggio, avanti, in cammino, voi che costruite le condizioni per un futuro di pace, nella giustizia e nel perdono; siate miti e determinati, non lasciatevi cadere le braccia. La pace è un cammino e Dio cammina con voi. Il Signore crea e diffonde la pace attraverso i suoi amici pacificati nel cuore, che diventano a loro volta pacificatori, strumenti della sua pace.

Ci siamo raccolti stasera in preghiera attorno a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, come i primi discepoli nel cenacolo. A lei, donna pacificata nel profondo, Regina della pace, ci rivolgiamo:

Prega con noi, Donna fedele, grembo sacro al Verbo.
Insegnaci ad ascoltare il grido dei poveri e di madre Terra,
attenti ai richiami dello Spirito nel segreto del cuore,
nella vita dei fratelli, negli avvenimenti della storia,
nel gemito e nel giubilo del creato.
Santa Maria, madre dei viventi,
donna forte, addolorata, fedele,
Vergine sposa presso la Croce
dove si consuma l’amore e sgorga la vita,
sii tu la guida del nostro impegno di servizio.

Insegnaci a sostare con te presso le infinite croci
dove il tuo Figlio è ancora crocifisso,
dove la vita è più minacciata;
a vivere e testimoniare l’amore cristiano
accogliendo in ogni uomo un fratello;
a rinunciare all’opaco egoismo
per seguire Cristo, vera luce dell’uomo.

Vergine della pace, porta di sicura speranza,
Accogli la preghiera dei tuoi figli!

 


sabato 6 dicembre 2025

"Fate un frutto degno della conversione" - Seconda di Avvento

 

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali

Nota pastorale

Educare a una pace disarmata e disarmante

 

Il Signore ci dona e ci affida la sua pace. Ci consiglia di essere operatori di pace, per essere chiamati figli di Dio. La cura per una cultura di pace è una costante preoccupazione dei credenti e di tutti gli uomini di buona volontà. Leone XIV ha chiesto che ogni comunità sia una «casa della pace e della non violenza», «dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono». Per questo motivo la Commissione Episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, avvalendosi del contributo di teologi e teologhe impegnati nella riflessione sul tema della pace e ai quali va la nostra riconoscenza per l’apporto dato, ha preparato una Nota pastorale sul tema dell’educazione alla pace, approvata dall’81ª Assemblea Generale il 19 novembre 2025 ad Assisi. Già nel 1998, la Commissione Ecclesiale giustizia e pace della CEI aveva pubblicato una nota sull’educazione alla pace.

Il presente documento, Educare a una pace disarmata e disarmante, invita a riscoprire la centralità di Cristo “nostra pace” in ogni annuncio e impegno per promuovere la riconciliazione e la concordia, e si inserisce nel solco della Dottrina sociale della Chiesa, con un’analisi attenta della situazione attuale segnata da numerosi conflitti; dall’“inutile strage” di persone, per lo più civili e bambini; da una mentalità che rincorre la strategia della deterrenza degli armamenti, che può cambiare l’economia e la cultura dei nostri Paesi; da una violenza diffusa che rischia di diventare una cultura che affascina soprattutto i più giovani. Per questo, è necessario un rinnovato annuncio di pace al quale la presente Nota può offrire un contributo….

Nella Nota c’è un costante riferimento agli “artigiani e architetti della pace”, che in ogni epoca sono stati l’esempio più vero che «la pace non è un’utopia spiritale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione». Alla loro testimonianza le comunità cristiane sono sempre chiamate ad attingere esempi e parole efficaci anche nel nostro tempo.

Oggi si aprono tanti ambiti e orizzonti nei quali divenire “case di pace”: la preghiera, anzitutto, che implora costantemente questo dono di Dio e anima la speranza; la famiglia e la scuola, luoghi nei quali si comincia ad apprendere la non violenza; la società civile e la politica, chiamate ad avere una visione che assicuri sviluppo e solidarietà, che sono “i nomi nuovi” della pace; a scongiurare la strategia della corsa agli armamenti e a non far proliferare le armi nucleari.

Sono grandi temi su cui occorre ritornare per formare le coscienze delle comunità, che

devono essere illuminate da un ideale di pace. Ci sostenga, in questo percorso, san Francesco d’Assisi, la cui lezione di vita, dopo otto secoli, non perde d’attualità.

 

Roma, 5 dicembre 2025  + Matteo Maria Card. Zuppi

Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

 

NB. Per leggere integralmente il TESTO vai al seguente link:  

 

https://www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2025/12/05/NotaPastorale_EducarePace.pdf