sabato 5 ottobre 2024

"Relazioni generative" - XXVII domenica del tempo ordinario

C’è un inizio, un’origine comune a tutti. Veniamo tutti da una relazione d’amore. Questa relazione è il Dio famiglia, Trinità, che tutto ha creato a sua immagine, cioè per la relazione.

“Provengono tutti da una stessa origine”, ci ha ricordato la lettera agli Ebrei (2 lettura) e Gesù lo ricorda nel vangelo: “Dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina”.

Dal pensiero, dal cuore, dalle mani, dal soffio di Dio noi siamo stati pensati a “immagine e somiglianza” sua.

Veniamo da un’unica origine: da quel Dio che Gesù ci rivela come relazione di persone, Padre, Figlio e Spirito. Da quel Dio che non può stare solo e chiama l’umanità intera a entrare in relazione con Lui e tra di noi. Siamo stati fatti per la relazione. Fatti per amare, che appunto significa diventare uno, “una sola carne”, una sola persona, una sola umanità.  E’ il disegno splendido di Dio, il suo progetto. L’uomo, fin dall’origine, è un essere relazionale. Ha bisogno di un aiuto necessario, un aiuto senza il quale si muore. L’essere umano si realizza solo se ha qualcuno davanti a sé: ha bisogno di uno che gli risponda. Quando ci isoliamo, quando non ascoltiamo più nessuno, quando ci chiudiamo nelle nostre idee, quando l’altro è sempre e solo un nemico, finiamo per tradire la nostra dimensione umana!

Costruire e vivere relazioni d’amore non è né scontato, né facile, lo sappiamo. Dobbiamo fare i conti con “la durezza del nostro cuore” come dice Gesù ai farisei. Un cuore spesso più di pietra che di carne, tutto proteso all’attenzione a sé, al dominio sull’altro, al possedere piuttosto che al farsi dono.

Si cerca allora di ri-orientare il cuore alle giuste relazioni attraverso le leggi: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio”. Ma la strada da seguire non è capire se è lecito o meno ripudiare l’altro (come chiedono i farisei), non è costringere puntellare con leggi e regole le nostre relazioni, bensì lavorare su noi stessi per reimparare ad amare sempre per saper vivere relazioni profonde, vere.

Siamo fatti per costruire relazioni e noi invece ci impegniamo per distruggerle. “L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Ciò significa che allora tutto quello che contrasta questo progetto, tutto quello che chiama in gioco divisione, lotta, sopraffazione, diversità, è male.  E il vero male della relazione è la divisione: in ogni ambito, non solo nel matrimonio. La divisione è contro Dio, perché Dio è relazione d’amore. La divisione invece è diabolica (diavolo è colui che divide) e quando noi siamo istigatori di divisione, siamo diavoli, contrari al progetto di Dio.

Tutti siamo invece chiamati a vivere il progetto di Do, in ogni situazione in cui la vita ci pone, tutti siamo chiamati a diventare uno. E’ la missione che è affidata alla chiesa (lo ricordiamo all’inizio di questo mese missionario): saper generare relazioni autentiche e profonde che trovano la loro sorgente nell’amore stesso del Dio. Certamente il matrimonio in primo luogo chiama a vivere questa unità e a manifestarla, ma è quanto dobbiamo realizzare anche tra le famiglie, nella comunità, tra i popoli. E’ l’intera umanità, fatta di uomini e donne che “provengono tutti da una stessa origine” che è chiamata a diventare “una sola carne”, una sola famiglia.

Oggi conosciamo tutti la fatica non solo di tante coppie nel vivere un matrimonio di comunione ma anche, purtroppo, la fatica di vivere relazioni vere tra le famiglie, nelle comunità, tra le nazioni e i popoli. C’è una cultura della violenza e della divisione sempre più emergente che distrugge ogni relazione pur di far prevalere l’io nella sua totale libertà di imporsi sull’altro, chiunque esso sia.

Occorre allora tornare al principio e al cuore. Tornare bambini   perché “a chi è come loro appartiene il regno di Dio”. Curioso questo finale tra Gesù e i bambini. E’ un’indicazione preziosa. Solo tornando a un cuore di bambino, ciò pronto a fidarsi totalmente dell’altro, di Dio, del fratello, della sorella che abbiamo accanto, possiamo ritrovare la capacità di essere costruttori di unità e di relazioni generative.


 

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