Salire su un monte è sempre fatica. Non importa la sua altezza geografica. Ogni monte chiede fatica. E la montagna è forte simbologia della vita. Sono tante le montagne da affrontare lungo il cammino della vita. Non hanno altezza geografica, ma sono a volte assai ripide e scivolose. Sono le montagne della prova, del dolore, delle ingiustizie, delle pene e delle fatiche, delle delusioni e delle incomprensioni, della morte.
Davanti a queste salite ci manca spesso il fiato e sovente ci troviamo immersi nella nube oscura, nelle nebbie dell’incomprensione.
Come fu per Abramo davanti all’insensata, assurda (almeno all’apparenza) richiesta di Dio di immolare il suo unico figlio. Come è possibile? Come può venire una discendenza da me se questo mio unico figlio debbo sacrificarlo a Lui? Ma anche se non capisce, non si ferma, si fida e sale il monte Mòria.
Come per i discepoli, amareggiati dall’annuncio di sofferenza e di morte che Gesù, da poco, aveva loro fatto. Salgono con Lui, delusi e tristi sul monte Tabor.
Tuttavia se si ha il coraggio di salire e si fa la fatica di affrontare la prova, l’incomprensione, ecco che le nebbie si diradano e si apre uno spiraglio di luce. Come quando si arriva alla cima, la fatica è subito dimenticata davanti allo spettacolo che ti affascina e ti conquista.
Una luce si apre per Abramo, un intervento di Dio che apre a speranza, che parla di vita e non di morte e rinnova la promessa.
Una luce si apre ai tre discepoli che sul monte vengono abbagliati e sorpresi dal volto luminoso di Gesù, che anticipa il suo destino: non di morte, ma di vita, di trasfigurazione.
Una luce che fa capire che per Dio l’orizzonte, la meta è la vita, la bellezza, non la prova, non la morte. Queste sono solo passaggio, spesso dovuto e inevitabile, ma solo passaggio.
La vita è cammino e continuo passaggio verso una bellezza luminosa che possiamo solo appena intuire, ma che tuttavia già brilla dentro ciascuno di noi.
E proprio dentro di noi sta la forza, la capacità per questo continuo “passare”, camminare, affrontare montagne e prove.
Paolo – nella seconda lettura – lo ricorda: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”. Lui che ci ha amati nel suo Figlio ci offre la mano per salire le nostre montagne, affrontare le nostre prove e fatiche.
Ma più ancora c’è una Voce che proprio nel mezzo della nube ci indica la strada: “Ascoltatelo”. Nell’ascolto di Gesù noi possiamo trovare l’indicazione giusta per muovere i nostri passi, per passare sempre oltre in una continua trasfigurazione.
E’ l’esempio che ci viene da Abramo: nonostante l’assurdità di quanto è chiamato a vivere, lui ascolta, obbedisce (ascoltare-audire trova la sua risonanza nel latino obaudire-obbedire: quell’obbedire che consiste nel credere). E questo ascoltare con fiducia, nel cuore, anche se gli occhi vedono solo buio, lo porta alla luce, al compimento di ogni promessa.
Anche i discepoli dal monte Tabor, anche noi dai monti che la vita ci chiama ad affrontare, viene l’invito: “Ascoltatelo”.
Ancora una volta questo invito a lasciarci guidare dalla Parola del Figlio amato. Non più Mosè e Elia, non più cioè l’antica legge e i profeti sono la guida, ma Gesù stesso, la Parola fatta carne. Solo Lui resta: “non videro più nessuno se non Gesù solo”. Resta solo Lui come unico riferimento. Uomo come noi chiamato a passare attraverso il monte della sofferenza e della croce. Dio con noi e per noi che apre tuttavia spiragli di luce, ci fa passare, con lui, per giungere alla risurrezione, alla piena trasfigurazione della nostra vita, per realizzare in noi quella bellezza luminosa che è anticipata sul suo volto splendente.
Cosa decidiamo di fare? Fermarci davanti ad ogni montagna e prova e chiuderci nella tristezza e nell’angoscia, oppure accettare la sfida, ascoltare la Sua Parola, fidarci di Lui e così tendere alla trasfigurazione, alla bellezza, alla vita?
A ciascuno di noi la scelta.
Davanti a queste salite ci manca spesso il fiato e sovente ci troviamo immersi nella nube oscura, nelle nebbie dell’incomprensione.
Come fu per Abramo davanti all’insensata, assurda (almeno all’apparenza) richiesta di Dio di immolare il suo unico figlio. Come è possibile? Come può venire una discendenza da me se questo mio unico figlio debbo sacrificarlo a Lui? Ma anche se non capisce, non si ferma, si fida e sale il monte Mòria.
Come per i discepoli, amareggiati dall’annuncio di sofferenza e di morte che Gesù, da poco, aveva loro fatto. Salgono con Lui, delusi e tristi sul monte Tabor.
Tuttavia se si ha il coraggio di salire e si fa la fatica di affrontare la prova, l’incomprensione, ecco che le nebbie si diradano e si apre uno spiraglio di luce. Come quando si arriva alla cima, la fatica è subito dimenticata davanti allo spettacolo che ti affascina e ti conquista.
Una luce si apre per Abramo, un intervento di Dio che apre a speranza, che parla di vita e non di morte e rinnova la promessa.
Una luce si apre ai tre discepoli che sul monte vengono abbagliati e sorpresi dal volto luminoso di Gesù, che anticipa il suo destino: non di morte, ma di vita, di trasfigurazione.
Una luce che fa capire che per Dio l’orizzonte, la meta è la vita, la bellezza, non la prova, non la morte. Queste sono solo passaggio, spesso dovuto e inevitabile, ma solo passaggio.
La vita è cammino e continuo passaggio verso una bellezza luminosa che possiamo solo appena intuire, ma che tuttavia già brilla dentro ciascuno di noi.
E proprio dentro di noi sta la forza, la capacità per questo continuo “passare”, camminare, affrontare montagne e prove.
Paolo – nella seconda lettura – lo ricorda: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”. Lui che ci ha amati nel suo Figlio ci offre la mano per salire le nostre montagne, affrontare le nostre prove e fatiche.
Ma più ancora c’è una Voce che proprio nel mezzo della nube ci indica la strada: “Ascoltatelo”. Nell’ascolto di Gesù noi possiamo trovare l’indicazione giusta per muovere i nostri passi, per passare sempre oltre in una continua trasfigurazione.
E’ l’esempio che ci viene da Abramo: nonostante l’assurdità di quanto è chiamato a vivere, lui ascolta, obbedisce (ascoltare-audire trova la sua risonanza nel latino obaudire-obbedire: quell’obbedire che consiste nel credere). E questo ascoltare con fiducia, nel cuore, anche se gli occhi vedono solo buio, lo porta alla luce, al compimento di ogni promessa.
Anche i discepoli dal monte Tabor, anche noi dai monti che la vita ci chiama ad affrontare, viene l’invito: “Ascoltatelo”.
Ancora una volta questo invito a lasciarci guidare dalla Parola del Figlio amato. Non più Mosè e Elia, non più cioè l’antica legge e i profeti sono la guida, ma Gesù stesso, la Parola fatta carne. Solo Lui resta: “non videro più nessuno se non Gesù solo”. Resta solo Lui come unico riferimento. Uomo come noi chiamato a passare attraverso il monte della sofferenza e della croce. Dio con noi e per noi che apre tuttavia spiragli di luce, ci fa passare, con lui, per giungere alla risurrezione, alla piena trasfigurazione della nostra vita, per realizzare in noi quella bellezza luminosa che è anticipata sul suo volto splendente.
Cosa decidiamo di fare? Fermarci davanti ad ogni montagna e prova e chiuderci nella tristezza e nell’angoscia, oppure accettare la sfida, ascoltare la Sua Parola, fidarci di Lui e così tendere alla trasfigurazione, alla bellezza, alla vita?
A ciascuno di noi la scelta.
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