sabato 29 gennaio 2022

"Profeti" - IV° domenica del tempo ordinario

Mi sembra opportuno oggi fermarci a riflettere sul tema della profezia richiamato nella Parola ascoltata che ci presenta il profeta Geremia nella prima lettura, i profeti Elia e Eliseo citati da Gesù, e lui stesso Gesù profeta incompreso.

E’ un tema che ci riguarda: il Concilio infatti definisce i cristiani un popolo di profeti. Nella L.G. al n.35 si afferma: “Cristo, il grande profeta, il quale con la testimonianza della sua vita e con la potenza della sua parola ha proclamato il regno del Padre, adempie il suo ufficio profetico fino alla piena manifestazione della gloria… anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni provvedendoli del senso della fede e della grazia della parola perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale”.

Certo occorre subito mettere in chiaro cosa si intenda per profeta; non certo un indovino che anticipa il futuro. La parola profeta, così come è usata nella Bibbia, sta per colui che parla a nome di Dio. Ogni profeta è portavoce di Dio dentro una precisa situazione storica. E Gesù si manifesta come il profeta definitivo venuto a dirci tutto di Dio; così nella sinagoga di Nazaret si presenta ai suoi compaesani annunciando il volto di un Dio che si prende a cuore la vita del suo popolo e in particolare dei piccoli, dei deboli, dei poveri; un Dio misericordioso e consolatore, che vuole portare un lieto annuncio di speranza ed offrire liberazione e salvezza. Questo è il compito del profeta.

Tuttavia il rischio che ogni profeta corre è quello di essere rifiutato. Così fu per Geremia, come ci ricorda la prima lettura e per tutti i profeti fino a Giovanni Battista. Così per Gesù; lui stesso ne è consapevole “Nessun profeta è ben accetto nella sua patria” Si alzarono e lo cacciarono fuori..”. E sulla scia di Gesù così sarà per ogni suo discepolo, per ogni cristiano che vive il suo essere profeta dentro la storia del suo tempo.

Perché questo rifiuto e questa incomprensione? Perché la gente cerca un Dio su misura e non vuole invece prendere la misura di Dio annunciata dal profeta. Così gli abitanti di Nazaret che pretendono segni e miracoli, che vogliono che il profeta faccia come dicono e non accolgono ciò che di fatto è venuto a dire e annunciare.

Gesù tuttavia non cambia messaggio: fa capire loro che Dio non è il Dio di alcuni ma di tutti, anche dei lontani, degli stranieri; che non è il Dio dei miracoli a pioggia ma Colui che ti è vicino, ti sostiene e ti dona forza in ogni momento perché tutta la tua vita sia un miracolo.

Oggi abbiamo di nuovo l’urgenza di riscoprire questa nostra vocazione profetica. Urgenza di cristiani e di una chiesa profetica dentro la storia che fa sentire la voce di Dio, il suo messaggio di speranza e di salvezza, messaggio controcorrente alla logica del mondo, a costo dell’incomprensione e del ritrovarsi in minoranza.

E la via per essere profeti è quella seguita da Gesù: dare concretezza alla Parola di Dio, compierla dentro il nostro oggi. Le modalità ci vengono indicate da Paolo nella seconda lettura dove l’apostolo indica ai cristiani “la via più sublime”: la carità. Perché Dio è carità e se il profeta è colui che parla a nome di Dio lo può fare solo se annuncia e vive la carità.

E’ la sfida del nostro tempo. Un tempo segnato da tensioni, da individualismi, da crescenti contrasti e liti; diventare profeti del Dio carità, di quella carità che è la vita stessa di Dio, generando relazioni, scelte, atteggiamenti che trovano in essa la sorgente e diventino di essa la testimonianza.

Fede, speranza e carità, ricorda Paolo, sono i doni che Dio ha fatto a noi fin dal Battesimo, rendendoci così profeti del suo amore. Con essi possiamo vivere da profeti dentro il nostro quotidiano, con coraggio davanti al male, con perseveranza davanti alle incomprensioni, con carità davanti a tutti.

 

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