sabato 15 luglio 2017

Quindicesima del Tempo ordinario



Il seme è la Parola di Dio. Essa viene dall’alto, come la pioggia e la neve. Ha efficacia sicura: “non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. E’ il messaggio ascoltato nella prima lettura e nel vangelo.
Questa Parola “uscita dalla bocca di Dio” arriva a noi attraverso Gesù, il seminatore. Lui semina la Parola con abbondanza tale da poter essere ritenuto sciocco; perché sprecare tanto seme su terreni che difficilmente porteranno frutto? Ma non si tratta di sciocchezza, bensì di generosità, gratuità, fiducia. E’ la certezza che questa Parola ha in sé stessa forza ed efficacia; è la fiducia che nutre in ciascuno di noi, sapendo che ognuno, prima o poi, può cambiare se stesso e farsi accogliente verso di essa. Questo è il motivo che spinge il seminatore a tanta abbondanza: semina senza risparmio, né calcolo, ovunque. Nessuno dunque può dirsi estraneo al seme della Parola; così come la terra non può dirsi estranea alla pioggia e alla neve.
Se questo è il primo aspetto che le letture oggi vogliono richiamarci - il dono e l’efficacia della Parola di Dio offerta a tutti - si aggiunge tuttavia anche un secondo richiamo. L’invito a saper accogliere la Parola stessa, a non chiudersi ad essa.
Le immagini dei diversi terreni stanno a simboleggiare ciascuno di noi, o meglio, il cuore, cioè il centro della nostra persona, dove prendiamo le nostre decisioni e facciamo le nostre scelte. E’ lì che avviene o l’accoglienza e il rifiuto. Come ricorda il profeta Isaia, citato da Gesù stesso, si possono avere occhi e non vedere, orecchie e non udire “perché il cuore è diventato insensibile”.
Ciò che ci è chiesto è un cuore accogliente e cioè capace di un ascolto attento della Parola così da superare ogni superficialità (l’immagine della strada) e saper interiorizzare la Parola, radicarla in noi; un cuore capace di vincere ogni durezza (immagine dei sassi) sapendo perseverare nella Parola anche nei momenti più difficili; un cuore infine capace di lottare interiormente contro false preoccupazioni e seduzioni (immagine delle spine) così da non lasciare che siano loro a soffocare in noi la Parola, a spegnerne la sua forza di novità. Ecco allora che da questo ascolto che porta alla comprensione della parola nasceranno i frutti attesi; frutti di una vita cristiana vera, di un’esistenza trasformata e rinnovata dalla Parola stessa. Ecco che allora la Parola “non ritornerà … senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”, il renderci conformi all’immagine del Figlio Gesù. A questo deve portarci la Parola di Dio, questo è il suo scopo, il motivo per cui viene seminata nei nostri cuori.
Siamo chiamati quindi ad essere terreni buoni che producono frutti. Ma in cosa consiste l’essere terreni buoni? Esiste un terreno buono? Buono non è il terreno senza limiti, ostacoli, fragilità; piuttosto è il terreno che si lascia fecondare e trasformare dalla potenza stessa del seme che accoglie in sé. Buono non è il terreno senza difetti, ma colui che si lascia ‘convertire’ dalla parola stessa di Gesù, accogliendola così come è capace.
Lasciarci convertire dalla Parola è lasciare che sia essa a plasmare il nostro cuore e renderlo accogliente, pronto all’ascolto, capace di comprendere e vivere quanto seminato.
Ecco allora che la Parola si fa luce e guida in quel cammino dell’esistenza che ci conduce alla “redenzione del nostro corpo… verso la rivelazione dei figli di Dio” come ci ricorda Paolo nella seconda lettura. Le “sofferenze del tempo presente” di cui parla altro non sono che la fatica e la lotta per liberare il  nostro cuore, convertirlo, affinché guidato dalla Parola di Dio sia sempre più proteso “alla gloria futura”, al diventare figli di Dio. Anche noi dunque “gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli”, aspettando che la Parola compia in noi ciò per cui è stata mandata: renderci figli nel Figlio, in una comunione di vita senza fine.
Questo è l’orizzonte verso cui noi e tutto la creazione ci stiamo muovendo, come dentro “le doglie del parto”. E la Parola non fa che orientarci ad esso, trasformarci in esso, sostenerci nella speranza.
Impariamo a ridare spazio, tempo, importanza alla Parola di Dio che continuamente viene seminata in noi. Essa non è altro che Dio stesso, il suo Spirito, che desidera mettere radici in noi. Non è altro che il Figlio fatto uomo, Gesù, verbo-parola fatta carne che oggi, come allora, chiede di essere accolto, ascoltato, amato. E’ Lui che si fa compagno di viaggio, ci parla, ci indica la strada. 
Chi è assiduo all’ascolto della Parola sente crescere la familiarità con la persona di Gesù e si rende conto che a poco a poco questa lo trasforma. L’esperienza della Parola è fondamentale: contribuisce a plasmare la vita della chiesa e di ciascuno di noi. “Nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della chiesa, e per i figli della chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale” (Dei Verbum 21).

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