Il brano di vangelo presenta il ritorno dei
discepoli dal loro viaggio missionario. Gesù li aveva mandati, due a due. Ora
tornano affaticati e si ritrovano con Lui in mezzo alla folla.
Gesù lo vediamo quindi alle prese da una
parte con i discepoli stanchi “per quello
che avevano fatto” seppur entusiasti e dall’altra con la folla che lo
assedia, anch’essa bisognosa e soprattutto disorientata.
In mezzo a queste persone e situazioni
diverse Gesù è presentato e descritto come Colui che è capace di prendersi cura
di chi ha accanto.
Si prende cura dei discepoli: “venite in disparte in un luogo deserto e
riposatevi un poco”.
Si prende cura della folla: “ebbe compassione di loro perché erano come
pecore che non hanno pastore”.
Gesù si manifesta come il vero pastore
proprio perché, a differenza di quanti si ritenevano pastori del popolo ma solo
per fare i propri interessi, Lui invece si prende cura. Già il profeta
ammoniva: “guai ai pastori che fanno
perire e disperdono il gregge… Radunerò io stesso il resto del mio gregge”.
In Gesù dunque il volto del vero pastore
che agisce non per proprio interesse, ma per il bene del gregge, del popolo.
Agisce non per disperdere, ma per unire; il prendersi cura porta a unificare,
armonizzare. “In Gesù”, ricorda Paolo
nella seconda lettura, “siete diventati
vicini… egli è venuto ad annunciare pace”, a unificare ciò che era diviso,
ad avvicinare ciò che era lontano, “ad
abolire la Legge fatta di prescrizioni e decreti per creare in se stesso un
solo uomo nuovo”: l’uomo fatto a immagine di Dio, capace di amare, di
muoversi a compassione, di prendersi cura.
In Gesù brilla dunque il volto stesso di
Dio; “ebbe compassione di loro”: è
un’espressione usata nella Bibbia solo in riferimento all’agire di Dio. Solo
Lui è capace di autentica compassione, cioè di un amore che condivide,
com-patisce con noi, fa sue le nostre fatiche e pene e di noi si prende cura.
Lo vediamo nel Vangelo.
Davanti ai discepoli rientrati stanchi e
affannati dal viaggio li invita al riposo, li porta nel deserto, nell’eremo (=
luogo deserto) perché si ricarichino interiormente, possano recuperare non solo
energie, ma soprattutto motivazioni, ricchezza interiore; possano ritrovare se
stessi e la presenza di Dio in loro. Questo è il senso vero del riposo: non
tanto evasione e distacco, quanto interiorità e autenticità recuperata nel
silenzio, nel deserto, in quell’eremo interiore che è il nostro cuore, la
nostra interiorità.
Davanti alle folle poi il suo prendersi
cura si traduce invece nel “si mise a
insegnare loro molte cose”. Può sembrare strano che davanti a bisogni, alle
necessità, al disorientamento, uno si metta a insegnare. Tuttavia per Gesù, il
primo modo di prendersi cura dell’altro è rivolgere una parola di speranza, di
fiducia. Una Parola che possa illuminare il buio in cui è avvolto, far
ritrovare un orientamento, ridonare la pace interiore. Poi, certo, Gesù
arriverà anche a sfamare questa folla (lo vedremo in seguito), ma prima è la
Parola, che offre una boccata di ossigeno e fa sentire accolti, amati, appunto
oggetto di cura e di attenzione.
Da Gesù vorremmo anche noi, come discepoli,
cristiani, imparare a prenderci cura.
Nel mondo agitato, carico di paure e di
problemi, dominato dalla fretta e dalla superficialità, occorre imparare di
nuovo a prenderci cura di noi, degli altri, delle cose.
Prenderci cura altro non è che fare nostro
l’atteggiamento stesso di Dio: “ebbe
compassione”.
Torniamo a prenderci cura.
Innanzitutto di noi stessi: troviamo tempo
per entrare nel nostro eremo interiore e nel silenzio trovare quel riposo che
altro non è che la Presenza stessa di Dio che ci dona pace, ci ridà forza, ci
arricchisce interiormente e ci aiuta a tener viva in noi la consapevolezza di
chi siamo e a cosa siamo chiamati.
Prendiamoci di nuovo cura di quella “folla” che sono le tante persone, vicine
e lontane, che la vita ci porta ad incontrare. Torniamo a prenderci cura delle
scontate relazioni quotidiane: tra marito e moglie, genitori e figli… Nel
dialogo, nella parola che risana, ricostruiamo rapporti e legami. Impariamo
soprattutto ad aprirci a tutti con parole di speranza, parole che trasmettano
fiducia, che incoraggino al bene, che aprono vie di perdono e di pace. Parole
che trovano nella Sua Parola la sorgente e la forza per seminare nel cuore di
chi incontriamo la certezza del Suo Amore.
L’estate che stiamo vivendo, con le sue opportunità
di incontri diversi, di tempi più tranquilli, sia occasione per ritornare a una
vita più attenta, meno superficiale; sia decisione per ritrovare tempo per il
silenzio e l’ascolto; sia opportunità per imparare di nuovo a prenderci cura
della natura (è invito di papa Francesco nella sua recente enciclica), di noi
stessi, delle persone. Così che questo diventi l’atteggiamento costante che
contrassegna sempre la nostra vita quotidiana. E così facendo i nostri gesti
umani allora avranno tutta la carica e la forza dell’amore di Dio.
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