sabato 30 novembre 2024

"Risollevatevi e alzate il capo" - Prima domenica di Avvento

Avvento: annuncia una venuta, risveglia un’attesa. Attesa e venuta trovano la loro sintesi in una invocazione che ripeteremo ogni giorno in questo tempo: “Vieni Signore Gesù”.

Gesù è colui che viene sempre. E’ venuto nel passato, verrà in futuro, viene e si fa presente ogni giorno.

Noi siamo il popolo che invoca questa venuta, che vive in attesa di incontrarlo, di accoglierlo, di seguirlo ogni giorno, sempre.

Il tempo dell’Avvento allora diventa tempo per riaccendere questo desiderio di Lui, unico necessario; per risvegliare in noi l’attesa così che non ci lasciamo addormentare e “appesantire in dissipazioni e affanni della vita”.

Perché attenderlo? Come attenderlo?

Perché abbiamo bisogno di liberazione, di giustizia, di essere risollevati. E solo Lui noi crediamo essere il liberatore, il giusto, il salvatore. Così lo annuncia la Parola: “Signore nostra giustizia” è il suo nome; “risollevatevi e alzate il capo perché la vostra liberazione è vicina”.

Immersi in una storia lacerata e fragile, carica di ombre di morte e di distruzione rischiamo di lasciarci abbattere e chiudere in noi stessi, nell’angoscia e nell’ansia, nella paura e nello sgomento per quanto accade attorno a noi. Questo rende ancor più urgente l’invocazione “Vieni Signore Gesù”, rende più forte l’attesa della sua venuta.

Ma come attenderlo?

Come ultima disperata possibilità di riscatto? Come pretesa che sia Lui a sistemare tutto ciò che non va? Come pretesa che punisca chi se lo merita e chi fa il male? Oggi rischiamo più che di attendere di pretendere. Sia nei confronti di Dio come pure nelle nostre relazioni umane. Siamo pieni di pretese verso tutti e tutto; e queste pretese ci impediscono di attendere e accogliere quanto di buono e di liberante la vita e le persone, Dio stesso, ci offrono. Sì perché attendere non è pretendere. 

Attendere chiama in gioco il vegliare, il vigilare, come ricorda Gesù nel vangelo, il non lasciarsi assopire e addormentare dalle nostre pretese, il tenere alto lo sguardo per saper vedere orizzonti nuovi dentro scenari oscuri. Attesa è sapere che Lui è già venuto e continuamente viene, è qui. E’ sapere tuttavia che la sua presenza è nascosta ai più. Solo chi sa vigilare sa riconoscerla. La sua presenza infatti è silenziosa, quasi invisibile, come un germoglio che non si fa notare portando tuttavia vita, fecondità, novità. “Farò germogliare un germoglio giusto” annuncia il profeta. Questo germoglio che spunta sul tronco secco della nostra storia e della nostra vita è Lui, Gesù.

Sappiamo riconoscerlo? Sappiamo vederlo veniente e presente in mezzo a noi? Sappiamo accoglierlo?

Ecco l’avvento: il tempo della venuta e dell’attesa perché abbiamo ad aiutarci insieme a vivere il nostro tempo presente con occhi vigilanti, con sguardi attenti capaci di vedere oltre le apparenze, con un cuore caldo capace di amore. “Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti per rendere saldi i vostri cuori, alla venuta del Signore” ricorda Paolo ai primi cristiani messi alla prova da persecuzioni, fatiche, dubbi.

Tempo dunque carico di speranza e di gioia perché ci annuncia che Dio non ci abbandona in mezzo a una storia che sembra crollare ma anzi viene e continua a camminare con noi perché abbiamo, con Lui, a risollevarci e lavorare insieme per far maturare tutti i germogli di bene, di giustizia, di pace, di amore che sono seminati dentro i solchi di questa nostra storia.

Camminiamo insieme allora invocando “Vieni Signore Gesù”, “vegliando in ogni momento pregando” per riconoscerlo e lavorando con Lui per generare gesti, relazioni, novità dentro questa storia sconvolta e decadente ma pur sempre amata e abitata dalla Sua Presenza.

 

sabato 23 novembre 2024

"Un re altro" - Gesù Cristo, Signore e re dell'universo.

 

E’ certamente un processo strano quello che ci racconta il vangelo oggi, pieno di incomprensioni e di equivoci.

Pilato esprime subito la sua sorpresa con quell’espressione - “Sei tu il re dei Giudei?” - che più di un prendere atto di chi ha davanti, è piuttosto un rivolgersi con ironia a una persona: ‘proprio tu, un re?”.  Gesù non risponde, ma fa a sua volta una domanda a Pilato. “Dici questo da te oppure altri ti hanno parlato di me?”  Gesù lo invita a ragionare con la propria testa e non sotto l’influsso di quello che gli hanno detto le autorità religiose. E Pilato chiede: “Che cosa hai fatto? Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo”.

Un dibattito serrato dove emerge il vero significato della regalità di Cristo e di conseguenza la decisione di stare con lui o contro di lui. Vediamone i passaggi.

Innanzitutto Gesù, che si definisce re – “io sono re” - con l’espressione - “Il mio regno non è di questo mondo” - non sta contrapponendo il cielo alla terra, ma due mondi differenti: il mondo del potere e il mondo dell’amore. Nel regno del potere sono presenti il dominio, la menzogna, che causano morte negli uomini, nel regno dell’amore il servizio e la verità che invece comunicano vita. Quindi il regno di Gesù non è secondo la prassi del mondo, ma è in questo mondo, dentro e presente nella storia degli uomini.

Gesù insiste su questa differenza: “il mio regno non è di quaggiù”. Quindi Gesù esclude che il suo regno abbia qualche somiglianza con i regni dove si fa violenza, dove si abusa, dove il potere, il denaro sono il fine. Gesù dice: non passa di qui il mio regno.

Dopo questa precisazione Gesù conduce Pilato al cuore di questo Regno nuovo che Lui è venuto a portare. “Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”.

È re, cioè il primo di tutti, ma come aveva detto Lui stesso: il primo è colui che si fa servo di tutti. Un re altro! Questa è la regalità che caratterizza Gesù. La sua regalità non è imitata dai governanti del mondo: essi coltivano interessi e ambizioni personali che non sono compatibili con l’idea di amore e quindi di servizio.

Il regno di Dio invece viene con l’arrivo di Gesù, suo Figlio, che ci rivela la verità. “Sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità”. E verità è appunto quella luce che ci fa vedere la nostra vita come frutto dell’amore del Padre e come dono di amore. Gesù testimonia la verità diventando egli stesso dono per tutti, servo di tutti, diventando garanzia di perdono con la sua morte in croce.

Quando si accoglie Lui, e si fa come Lui, si fa visibile il regno nuovo, il regno di Dio Padre, dove tutti sono fratelli. E questi fratelli sanno chi ascoltare perché “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Ascoltano con amore Gesù, ritenendolo unico re della loro vita, dei loro pensieri, del loro cuore.

Qui sta la decisione che si è chiamati a prendere.

La festa di oggi, a chiusura dell’anno liturgico, vuole condurci a riconoscere in Gesù colui che ci svela e testimonia la verità su Dio, su noi stessi, sulla storia, sull’Universo.

Una storia “guidata” e in buone mani, dentro un disegno d’amore. Questa verità è l’amore stesso di Dio che si attua in Gesù e che vuole conquistare il mondo intero per renderlo un mondo unito e fraterno, per fare di noi “un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre” (2 lettura).

Per noi cristiani allora non può esserci altro riferimento, altro punto fondamentale di orientamento per la nostra vita personale e comunitaria se non Gesù Cristo.

Questo significa fare di Gesù, della sua vita, la verità per la nostra vita. “Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.

Ascoltandolo diventiamo parte del suo regno, della sua famiglia, capaci di esserne anche i costruttori dentro questo mondo, ma non secondo la logica del mondo.

A ciò siamo chiamati: non ad adeguarci alla logica del mondo, bensì a costruire dentro il mondo, nella storia, un modo di vivere nella verità, che è Gesù. Un vivere secondo il vangelo affinché cresca come seme e lievito quel Regno che Lui è venuto a portare e a testimoniare e che si compirà un giorno in tutta la sua pienezza.

 

sabato 16 novembre 2024

"Speranza e responsabilità" - XXXIII domenica del tempo ordinario

 

Quale reazione dopo l’ascolto della Parola di Dio oggi? Cosa ha suscitato in noi? Paura, angoscia, perplessità, oppure fiducia, speranza?

Sicuramente emerge un forte richiamo alla fragilità e alla provvisorietà del mondo, dell’universo intero, di ciascuno di noi. Tutto muove verso una fine, così ci viene da pensare. Ma di fatto la Parola parla, più che di una fine, di un fine, una mèta dove, tutto ciò che è destinato a passare, troverà il suo compimento. Si prospetta una mèta di comunione (radunerà i suoi eletti) e di maturazione, di piena realizzazione (dalla pianta imparate), un fine di vita.

Questo il messaggio carico di speranza. Se ogni giorno facciamo esperienza di un mondo che sembra crollarci addosso (fatiche, delusioni, fallimenti, guerre, violenze) tuttavia ogni giorno proprio da lì possiamo sempre ripartire verso nuove mete e orizzonti. Importante oggi accogliere e fare nostro questo messaggio. In questo “tempo di angoscia” come dice il libro di Daniele (1 lettura) occorre che apriamo la nostra vita alla speranza e di conseguenza anche a una rinnovata responsabilità.

Questa responsabilità si declina nel saper vedere il positivo, nel coltivare i germogli che ci sono e stanno maturando, di lavorare per una storia diversa nella consapevolezza del Suo ritorno pur non sapendo né il giorno né l’ora.

C’è poi un avvenimento, che siamo invitati a celebrare e vivere in questa domenica, che sollecita questa nostra responsabilità carica di speranza. Papa Francesco ci invita oggi a celebrare per l’ottava volta la Giornata mondiale dei poveri. Scopo non è la raccolta di offerte, ma la riflessione, la sensibilizzazione, la responsabilità da risvegliare.

Nell’anno dedicato alla preghiera, in preparazione dell’ormai imminente anno santo del giubileo, l’invito è appunto quello di pregare: “La preghiera del povero sale fino a Dio” (Siracide). E “tutti siamo poveri e bisognosi. Tutti siamo mendicanti, perché senza Dio saremmo nulla. Non avremmo neppure la vita se Dio non ce l’avesse donata”. Riconoscendoci così poveri con i poveri come cristiani “siamo chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società”. E’ la responsabilità di una carità solidale che può trovare solo nella preghiera la sua sorgente e forza; significativo l’esempio di Madre Teresa di Calcutta che il papa propone, che proprio dalla preghiera trovava le energie per vivere la carità verso i poveri.

Ecco dunque l’invito: “Esorto ognuno a farsi pellegrino di speranza ponendo segni tangibili per un futuro migliore. Non dimentichiamo di custodire ‘i piccoli particolari’ dell’amore’: fermarsi, avvicinarsi, dare un po' di attenzione, un sorriso, una carezza, una parola di conforto…” Non sono forse questi i piccoli germogli da imparare a vedere e da coltivare che ci parlano dell’”estate vicina”, della speranza in un futuro diverso? Certo, ricorda il papa, “questi gesti non si improvvisano; richiedono piuttosto una fedeltà quotidiana spesso nascosta e silenziosa, ma resa forte dalla preghiera”. E la preghiera è invocare il dono dello Spirito proprio per imparare a leggere i segni, a vedere e toccare con mano i germogli di quel mondo nuovo che cresce in mezzo a noi, di quel regno di Dio che è già qui, tutto da scoprire e costruire insieme attraverso i piccoli dettagli del quotidiano. “Quando vedrete accadere queste cose (e si tratta di cose positive: germogli di bene, foglie e frutti che spuntano e maturano…) sappiate che egli è vicino”.

Speranza e responsabilità da coniugare insieme dunque.

Non noi da soli. Ma tutti sotto la guida di Gesù stesso e della sua Parola che da sempre e per sempre illumina i passi e scalda il cuore. Ridà speranza e sostiene il nostro impegno di responsabilità. “Le mie parole non passeranno” afferma Gesù. E queste parole allora non devono mancare mai nella nostra vita di ogni giorno, trovando concretezza dentro le nostre comunità. Sono il tesoro prezioso che ci accompagna per aiutarci insieme a tendere verso quel fine di pienezza, di comunione, di vita, mèta finale del cammino di ciascuno e dell’umanità intera.