Chiamati sul monte, anche noi come i discepoli “sul monte che Gesù aveva loro indicato”, dopo i quaranta giorni dalla Pasqua.
Guardando a quei discepoli ci chiediamo come noi siamo qui oggi. Com’erano quei discepoli? Perfetti, preparati, sicuri?
Il brano evidenzia due fragilità. Innanzitutto erano 11 e non più dodici: manca un pezzo, c’è stata una defezione. Inoltre si dice che “si prostrarono. Essi però dubitarono”.
Con loro ci siamo anche noi, con i nostri cammini imperfetti. Ci prostriamo, un po’ perché siamo convinti, un po’ perché lo fanno gli altri, un po’ perché lo sentiamo. Ma mentre ci prostriamo, stiamo già dubitando. Non ci fidiamo di noi stessi, non ci fidiamo di Dio. Vuoti e defezioni si registrano anche in mezzo a noi…
Siamo imperfetti. Noi che oggi ci scopriamo malati di perfezione. E’ sempre più diffusa infatti l’ossessione per la propria immagine, che si traduce in un’illusoria ricerca della perfezione. L’episodio di oggi può essere al contrario un invito a riconoscere il nostro valore e le nostre potenzialità anche quando non siamo perfetti, quando ci rendiamo conto che abbiamo dei limiti.
In questa festa ci viene infatti consegnata l’immagine di Dio che si fida di noi così come siamo, anche con le nostre imperfezioni. Ciò che colpisce è che il Signore affidi comunque a questi discepoli, a questa comunità traballante, incredula, diffidente, la missione di annunciare il Regno di Dio.
L’imperfezione diventa il vuoto che lo Spirito santo riempie.
Quando ci riteniamo perfetti, ci illudiamo di bastare a noi stessi, il nostro io pervade ogni spazio, non c’è posto per lo Spirito. Quando ci riconosciamo limitati, inadeguati e incapaci, il cuore si apre ad accogliere la forza che viene da Dio.
Gesù lo disse ai suoi: (1 lettura) “sarete battezzati in Spirito Santo… riceverete la forza dello Spirito Santo”.
L’imperfezione si affronta lasciandosi riempire dallo Spirito.
Se fossimo perfetti e autosufficienti non avremmo bisogno di essere accompagnati da Gesù. Con noi il Signore non avrebbe nulla da fare. E invece è proprio la nostra inadeguatezza che fa pronunciare a Gesù parole rassicuranti: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo». Egli è l’Emmanuele, colui che non ci lascia mai, come una mamma che accompagna la mano del figlio, perché sa che, qualora togliesse quella mano, il figlio farebbe solo scarabocchi. L'ascensione è dunque la festa di Lui diversamente presente: Gesù non è andato lontano, ma avanti e nel profondo. Se prima era con i discepoli, ora sarà dentro di loro con il suo Spirito. E così ora i discepoli possono andare ad annunciare, perché sono diventati consapevoli della loro imperfezione. Andranno a raccontare come il Signore ha operato nelle loro vite storte e traballanti. Non annunciano se stessi e i propri meriti o le proprie capacità, ma testimoniano la grandezza di Dio, che sarà tanto più evidente quanto più povere saranno state le loro vite.
Questa dovrebbe essere la consapevolezza nostra, delle nostre comunità: inviati con i nostri limiti, affidati per sempre a Colui che cammina con noi, per essere di Lui testimoni, annunciatori della sua misericordia, costruttori di relazioni nuove (battezzate nel nome della Trinità: che vuol dire immergete nella vita nuova di Dio, nella relazione con Lui che ci fa figli e fratelli).
«Andate!» è l’invito che viene dato ai discepoli sul monte. Andate, non per arruolare devoti, non per far crescere i numeri del gruppo. No. Andate, e “insegnate a vivere bene” (S. Bernardo), mostrate il mestiere del vivere buono secondo il vangelo, costruite relazioni vere, fraterne, con tutti, così come l'avete visto da me. Questa la missione di ogni battezzato, delle nostre comunità, della chiesa tutta che Lui oggi ci affida e ci rende capaci di realizzare con la Sua continua presenza.
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