La tentazione è di partire subito dai fatti
di cronaca di cui parla il vangelo e attualizzarli con altri fatti: dai Galilei
massacrati da Pilato alla strage in Nuova Zelanda; dalla torre di Siloe
crollata sulle diciotto persone al ponte di Genova crollato piuttosto che
all’uragano o al terremoto che distrugge città e miete vittime… Potremmo
continuare all’infinito e soprattutto far riemergere tutte quelle domande che
questi fatti suscitano in noi, così come in quella gente che interrogava Gesù:
perché? di chi è la colpa? cosa hanno fatto di male per finire così? Domande
vecchie e sempre nuove come la cronaca di sempre.
Ma il messaggio che la Parola oggi ci offre
va ben oltre a questa pur importante riflessione. Lo scopo è di ripresentarci
ancora una volta (e non basta mai!) il vero volto di Dio; il Dio che Gesù è
venuto a faci conoscere.
E’ un volto che si è manifestato nel tempo
fin dagli inizi della storia del popolo di Israele. Già con Mosè Dio si fa
conoscere. Il suo volto e il suo nome sono Misericordia sempre presente: “Io sono colui che sono”. Un Dio che
brucia di amore per l’umanità tutta, che osserva, ascolta, conosce la
sofferenza e il grido dei piccoli, dei deboli. “Ho osservato la miseria del mio popolo… sono sceso per liberarlo… per
farlo salire verso una terra bella e spaziosa”. Un Dio dunque che è Padre, “io sono il Dio di tuo padre”, Dio di
Abramo, Isacco e Giacobbe, di ciascuno di noi, di tutti, e non vuole per
nessuno il male, anzi suo desiderio, sua volontà è la vita dei suoi figli. E
per questo di ciascuno di noi si prende cura come buon agricoltore: ci zappa
attorno con smisurata pazienza, ci nutre con i segni del suo amore e con la
ricchezza della sua Parola proprio perché abbiamo a portare questi frutti di
vita, come ci ricorda Gesù nella parabola del vangelo.
Allora l’invito per noi oggi è evidente:
rispondere al suo amore con la nostra vita. Non lasciarci sgomentare e
scoraggiare dal male; non farci intimorire e bloccare dalla paura di punizioni
o castighi. Lasciarci invece plasmare dalla sua misericordia e coltivare dal
suo amore, perché la nostra vita fiorisca nel bene, nella bellezza, nella
carità.
Questo suo amore per noi e così anche i
fatti della vita, quello che avviene attorno a noi, in positivo e in negativo,
tutto deve essere occasione, stimolo a una vita diversa, a un cambiamento: “se non vi convertirete, perirete tutti allo
stesso modo”. Parole forti non per farci paura ma per renderci più
responsabili. Questa la conversione che ci è chiesta.
E’ invito pressante, che nasce dal cuore
paziente e buono di Dio che, vedendo le nostre opere, non trovando in esse
frutti buoni, non può che, nel suo amore, sollecitare tutti noi a un
cambiamento: “convertitevi”.
Leggevo tra i titoli di giornale in questi
giorni: “Strage in Nuova Zelanda: serve una conversione”. E’ proprio questo il
punto: serve una conversione per cambiare noi stessi, la società, le relazioni,
la politica, l’ecologia… E’ tutto un mondo che deve cambiare direzione. Un
cambiamento di mente e di cuore.
Questo è possibile se ci lasciamo
‘coltivare’ da questo Dio Padre e agricoltore. Se lasciamo che lui trasformi
pazientemente il nostro cuore così che tutta la nostra vita possa portare
frutti nuovi di giustizia, di rispetto per le persone, di solidarietà, di pace.
Fino al frutto più grande: fare della vita
un dono d’amore. E’ quanto ci ricordano oggi i missionari martiri e la
splendida figura di san Oscar Romero. Chi si lascia coltivare dal Signore
diventa capace di fare come ha fatto Lui: dare la vita.
A questo tutti siamo chiamati. Usciamo
dalla nostra sterilità guidati sostenuti dall’amore di un Dio che si prende
cura di noi per essere, cristiani generativi, capaci di dare vita a una umanità
diversa, pronti e disposti a vivere il vangelo, a testimoniarlo anche a costo
della vita.
Non continuiamo a rimandare. Non aspettiamo
giorni migliori. Iniziamo subito a mettere mano alla nostra vita.
Lui, il Padre-agricoltore continua a
concimare, seminare, zappare questo nostro arido terreno. Non si stanca di
credere in noi. Oggi e sempre.
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