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mercoledì 31 ottobre 2018

"La santità è il volto più bello della chiesa" (p.Francesco)

Di seguito i paragrafi conclusivi del Documento finale del Sinodo dei Giovani:


Chiamati a diventare santi
165. Tutte le diversità vocazionali si raccolgono nell’unica e universale chiamata alla santità, che in fondo non può essere altro che il compimento di quell’appello alla gioia dell’amore che risuona nel cuore di ogni giovane. Effettivamente solo a partire dall’unica vocazione alla santità si possono articolare le differenti forme di vita, sapendo che Dio «ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente» (FRANCESCO, Gaudete et exsultate, n. 1). La santità trova la sua fonte inesauribile nel Padre, che attraverso il suo Spirito ci invia Gesù, «il santo di Dio» (Mc 1,24) venuto in mezzo a noi per renderci santi attraverso l’amicizia con Lui, che porta gioia e pace nella nostra vita. Recuperare in tutta la pastorale ordinaria della Chiesa il contatto vivente con l’esistenza felice di Gesù è la condizione fondamentale per ogni rinnovamento.

Risvegliare il mondo con la santità
166. Noi dobbiamo essere santi per poter invitare i giovani a diventarlo. I giovani hanno chiesto a gran voce una Chiesa autentica, luminosa, trasparente, gioiosa: solo una Chiesa dei santi può essere all’altezza di tali richieste! Molti di loro l’hanno lasciata perché non vi hanno trovato santità, ma mediocrità, presunzione, divisione e corruzione. Purtroppo il mondo è indignato dagli abusi di alcune persone della Chiesa piuttosto che ravvivato dalla santità dei suoi membri: per questo la Chiesa nel suo insieme deve compiere un deciso, immediato e radicale cambio di prospettiva! I giovani hanno bisogno di santi che formino altri santi, mostrando così che «la santità è il volto più bello della Chiesa» (FRANCESCO, Gaudete et exsultate, n. 9). Esiste un linguaggio che tutti gli uomini e le donne di ogni tempo, luogo e cultura possono comprendere, perché è immediato e luminoso: è il linguaggio della santità.

Trascinati dalla santità dei giovani
167. È stato chiaro fin dall’inizio del percorso sinodale che i giovani sono parte integrante della Chiesa. Lo è quindi anche la loro santità, che in questi ultimi decenni ha prodotto una multiforme fioritura in tutte le parti del mondo: contemplare e meditare durante il Sinodo il coraggio di tanti giovani che hanno rinunciato alla loro vita pur di mantenersi fedeli al Vangelo è stato per noi commovente; ascoltare le testimonianze dei giovani presenti al Sinodo che nel mezzo di persecuzioni hanno scelto di condividere la passione del Signore Gesù è stato rigenerante. Attraverso la santità dei giovani la Chiesa può rinnovare il suo ardore spirituale e il suo vigore apostolico. Il balsamo della santità generata dalla vita buona di tanti giovani può curare le ferite della Chiesa e del mondo, riportandoci a quella pienezza dell’amore a cui da sempre siamo stati chiamati: i giovani santi ci spingono a ritornare al nostro primo amore (cfr. Ap 2,4). 


sabato 27 ottobre 2018

XXX° domenica del tempo ordinario.


Tre i personaggi che animano questo racconto.
Sono presentati nel primo versetto del brano: Gesù, in cammino con i discepoli, la molta folla e il cieco Bartimeo.
E’ interessante notare come questi personaggi interagiscono tra loro nei momenti diversi che caratterizzano l’episodio.
C’è un primo momento che è fatto di voci.
La prima voce è quella del cieco che sapendo che c’è Gesù inizia a gridare; una supplica esce dalla sua bocca “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.
Un grido tuttavia che viene messo a tacere da un’altra voce, quella della folla che “lo rimproverava perché tacesse”. Dà fastidio chi grida; quella folla che sente il cieco gridare il suo dolore vuole ignorarlo. Immagine attuale di una società che mette spesso a tacere i tanti che nella loro povertà e miseria stanno ai bordi della vita e gridano il loro dolore; immagine anche della comunità cristiana che può diventare ostacolo verso coloro che sono alla ricerca di Gesù pur con le loro miserie e i loro limiti. Queste persone a volte ci danno fastidio perché il loro grido ci interpella, ci scomoda…
Davanti alle grida da una parte e all’imposizione del silenzio dall’altra, emerge però un’altra voce, quella di Gesù:  “Gesù si fermò e disse: Chiamatelo”. Una voce che chiama: chiama i piccoli, i miseri, gli ultimi; chiama tutti e tutti accoglie così come siamo. Chiama, accoglie, si prende cura.
Dopo questo intreccio di voci ha inizio una serie di movimenti.
Il primo lo compie proprio quella folla che voleva far tacere il cieco: “lo chiamarono dicendogli Coraggio! Alzati, ti chiama”. Una folla che passa dal rimprovero all’incoraggiamento. C’è un movimento di conversione provocato – è probabile - dal modo di agire di Gesù. Fino ad aiutare – possiamo immaginarlo – il cieco ad alzarsi. E’ la conversione che è chiesta anche a noi davanti ai tanti bisognosi che in un primo tempo vorremmo tacitare e invece, spronati dall’agire di Gesù, comprendiamo che possiamo e dobbiamo essere per loro di incoraggiamento e di aiuto.
E davanti a questo incoraggiamento ecco il movimento del cieco: “Gettò via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. Un movimento che è uno slancio: pur camminando nel buio si fida, ne ascolta la voce, si lascia guidare con il coraggio di staccarsi da tutto ciò che possiede (il mantello bene prezioso per un mendicante…).
E infine ecco il movimento di Gesù, forse il più impercettibile sebbene il più efficace. “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Parole che descrivono un movimento, un andare incontro all’altro, un mettersi a sua disposizione; Gesù chiede, così come fa un servo davanti al suo padrone: cosa devo farti? Una domanda che rivela l’atteggiamento di disponibilità e di servizio tipico di Gesù.
Dopo questo intrecciarsi di voci e di movimenti ecco la conclusione: “Và, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”. L’incontro con Gesù apre nuovi cammini, nuove possibilità.
Inizia una storia nuova per Bartimeo: ritrova luce e questa luce è data dalla fede in Gesù di cui ha ascoltato la voce, la Parola, trovando così guarigione. Da mendicante seduto ai bordi della strada a discepolo in cammino sulla strada con Gesù, alla luce della sua Parola. La nuova svolta che la vita di Bartimeo prende è la svolta che anche la nostra vita è invitata a prendere.
Nel brano sembrano essere scomparsi i discepoli, di cui all’inizio si dice che erano insieme a Gesù. Non sono più apparsi nella scena, sono rimasti silenziosi spettatori di quanto accaduto. Quasi per guardare e imparare, così come è chiamato a fare ogni discepolo, così come siamo chiamati anche noi a fare. Guardare e imparare da una parte quella misericordia che deve animare il discepolo rendendolo capace di ascoltare il grido di coloro che soffrono e di infondere ad essi coraggio e aiuto. Dall’altra per riscoprire ancora una volta che essere discepoli altro non è che lasciarsi di nuovo guidare dalla luce della Parola di Gesù, riponendo in essa tutta la fiducia, così da non sedersi scoraggiati e delusi davanti alla fatiche e al buio che incontriamo, ma trovando in essa il coraggio di staccarsi dalle proprie sicurezze, di alzarsi e rialzarsi ogni volta che si cade per rimettersi sempre in cammino con Gesù lungo le strade della vita a servizio di ogni uomo e donna, di ogni mendicante di luce, di amore, di vita.

domenica 14 ottobre 2018

XXVIII° domenica del tempo ordinario


La lettera agli Ebrei – seconda lettura di oggi – risuona come invito a lasciarci guidare dalla Parola di Dio: essa è viva, efficace, tagliente. Penetra nel profondo dell’animo e ci aiuta a discernere i sentimenti e i pensieri del cuore.
E proprio il vangelo diventa invito a discernere la strada della vita. “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”: la domanda è anche nostra. Quale strada stiamo percorrendo per avere la vita?
L’incontro con Gesù oggi ci aiuti a sentire il suo sguardo d’amore su ciascuno di noi: “fissò lo sguardo su di lui, lo amò”; Gesù ci guarda, ci ama, ci parla: “Una cosa sola ti manca…”.
La sua Parola discerne e apre a ulteriori passi. Quasi volesse dirci: non accontentarti di quello che sei e fai, non accontentarti di sentirti giustificato perché osservi regole e tradizioni, pur anche i comandamenti… Non accontentarti, altri passi occorrono per arrivare a una vita piena, bella, felice.
E non esita a indicare questi passi: “vendi quello che hai” alleggerisci la tua vita, liberati dalla schiavitù delle cose; “e dallo ai poveri”, apriti alla condivisione, alla fraternità “e avrai un tesoro in cielo”, perché sarai felice se farai felice qualcuno; “vieni! Seguimi!”, cammina, vivi con me e come me per portare nel mondo l’amore del Padre, per far crescere il suo Regno.
Ecco i passi che conducono a una vita piena, felice, eterna!
Sono anche i nostri passi? I passi che stiamo percorrendo? Oppure siamo anche noi frenati, come quel tale, dalla tentazione e dall’ostacolo della ricchezza, della nostre sicurezze umane? Perché non è tanto l’avere dei beni che impedisce il cammino, quanto il riporre ogni fiducia su questi beni, finendo per credere che nel denaro, nella sicurezza materiale, nelle cose che abbiamo, consista la strada della vita. Ma così facendo cadiamo nell’idolatria. Sostituiamo, senza accorgercene, Dio con la ricchezza.
Papa Francesco lo ha rimarcato più volte: “Dove si pone la speranza nel denaro, lì non c’è Gesù”.
L’attaccamento idolatrico alla ricchezza alla fine ci fa perdere tutto.
Ci fa perdere Gesù, la fede-fiducia in Dio; ci fa perdere le sane relazioni con gli altri perché ci si chiude a riccio su noi stessi e l’altro diventa nemico, antagonista; ci fa perdere soprattutto la gioia: “se ne andò rattristato, possedeva infatti  molti beni”.
Purtroppo è sotto i nostri occhi: con il denaro e per il denaro si calpestano le persone, si imbroglia il prossimo, si dividono e si odiano le famiglie, si sfrutta la natura…
La strada che conduce alla vita allora chiede a noi il coraggio, e un po’ di fatica anche, per non diventare schiavi dei beni; chiede una conversione che umanamente può apparire impossibile, “quanto è difficile” ricorda Gesù ai suoi.
“Chi può essere salvato?” si chiedono i discepoli.
Ma “tutto è possibile a Dio”, alla sua grazia, alla forza del suo Spirito. Per questo la strada resta quella dalla preghiera e dell’ascolto, per attingere a quella sapienza del cuore che ci rende capaci di discernere ciò che veramente conta.
“Pregai mi fu elargita la prudenza, venne a me la sapienza. Stimai un nulla la ricchezza al suo confronto. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni”, osserva l’autore del libro della Sapienza nella prima lettura.
Questo, “mi sono venuti tutti i beni”, a confermare a noi che ne vale la pena di compiere i passi che Gesù ci propone.
Anche i primi discepoli avevano qualche dubbio: “noi abbiamo lasciato tutto, ti abbiamo seguito”, sembra dire Pietro “che ne avremo in cambio?”.
“Non c’è nessuno che abbia lasciato… che non riceva già ora” conferma Gesù. E lo confermano anche la vita, l’esempio di tanti, santi o meno, che si sono fidati di Lui.
Oggi in particolare abbiamo davanti agli occhi diverse testimonianze: da Paolo VI° al vescovo Oscar Romero; da padre Spinelli (fondatore delle suore presenti anche qui a Lenno) alle altre persone che Papa Francesco propone alla chiesa come modelli di santità, cioè di una vita piena, riuscita, felice. Perché la santità altro non è che la nostra umanità portata a pienezza; e questa pienezza sta nel seguire Gesù.
Essi sono la prova provata della verità della parola di Gesù.
Cosa aspettiamo dunque a percorrere la stessa strada? 

domenica 7 ottobre 2018

XXVII° domenica del tempo ordinario


La lettera agli Ebrei –la seconda letturadi oggi-, parlando di Gesù e di noi, afferma: “provengono tutti da una stessa origine”, al punto che possiamo riconoscerci fratelli.
Anche la prima lettura e il vangelo rimandano alla “stessa origine”.
“Dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina” afferma Gesù, rispondendo ai farisei che lo interrogavano in merito al tema del ripudio della moglie da parte del marito.
C’è un inizio, un’origine comune da cui noi tutti, come da sorgente, veniamo. La pagina della Genesi, in modo poetico, la descrive. Dal pensiero, dal cuore, dalle mani, dal soffio di Dio: e di lui siamo “immagine e somiglianza”, uomo e donna insieme, perché “non è bene che l’uomo sia solo”.
Noi uomini e donne veniamo da un’unica origine: l’amore stesso di Dio. Quel Dio che Gesù ci rivela come comunione di persone, unità di Padre, Figlio e Spirito. Quel Dio che non può stare solo e chiama l’umanità intera a entrare in comunione con Lui. Chiama l’uomo insieme alla donna a diventare segno, anticipo, immagine di questa comunione che è non solo l’origine ma anche la meta, il destino dell’umanità.
Siamo stati fatti per la comunione, per l’unità nell’amore. Fatti per amare, che appunto significa diventare uno, “una sola carne”, una sola persona, una sola umanità. 
E solo così si è immagine di Lui. Uomo e donna voluti l’uno per l’altro uguali in dignità, chiamati ad essere l’un per l’altro “aiuto”: “Voglio fargli un aiuti che gli corrisponda”. E da sempre la donna diventa per l’uomo aiuto, salvezza possibile e vicina, al suo fianco per vivere. E da sempre l’uomo trova nella donna parte di se stesso per poter arrivare a vivere nell’amore. E’ il disegno splendido di Dio, il suo progetto. “L’uomo dunque non divida quello che Dio ha congiunto”. Ciò significa che allora tutto quello che contrasta questo progetto, tutto quello che chiama in gioco divisione, lotta, sopraffazione, diversità, è male.
“Per la durezza del vostro cuore” dice Gesù si è arrivati a leggi che giustificano il ripudio, ma ciò è contrario al disegno di Dio che chiama all’unità, alla comunione di vita.
“Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio” certo, ma perché l’uomo, a causa del cuore di pietra, si scopriva incapace di un amore vero. Ma la strada da seguire non è capire se è lecito o meno ripudiare l’altro (come chiedono i farisei), ma bensì imparare ad amare per saper vivere relazioni profonde, vere, che portino a una comunione totale così che “i due diventeranno una carne sola”, cioè una sola nuova persona, non più due, ma uno.
Il vero male è la divisione: in ogni ambito, non solo nel matrimonio. La divisione è contro Dio, perché Dio è comunione, unità. La divisione invece è diabolica (diavolo significa appunto colui che divide) e quando noi siamo istigatori di divisione, siamo diavoli, contrari al progetto di Dio.
Tutti siamo invece chiamati a vivere il progetto di Do, in ogni situazione in cui la vita ci pone, tutti siamo chiamati a diventare uno. Certamente il matrimonio in primo luogo chiama a vivere questa unità e a manifestarla, ma è anche quanto dobbiamo realizzare tra le famiglie, nella comunità, tra i popoli. E’ l’intera umanità, fatta di uomini e donne che  “provengono tutti da una stessa origine” che è chiamata a diventare “una sola carne”, una sola famiglia.
Oggi conosciamo tutti la fatica di tante coppie nel vivere un matrimonio di comunione. Come cristiani e come chiesa siamo chiamati a seguire l’esempio di Gesù: non emette sentenze né leggi, ma compie un annuncio, l’annuncio bello sebbene esigente che viene “dal principio”, dalla volontà di Dio. E’ questo annuncio che dobbiamo saper ripetere a quanti fanno fatica e sono in situazioni di fallimento nel vivere le loro relazioni; senza giudicare, senza emarginare, ma solo offrendo misericordia e ricordando al cuore di ciascuno la sorgente e la meta, la comunione d’amore per cui siamo fatti, affinché, anche davanti agli sbagli, che tutti possiamo compiere, non si spenga la fiducia e la speranza di poter ricomporre o ricostruire relazioni nuove, sempre più vere e profonde.
Perché questo sia possibile occorre tornare al principio e al cuore. Tornare bambini perché “a chi è come loro appartiene il regno di Dio”. Curioso questo finale tra Gesù e i bambini. E’ un’indicazione preziosa. Solo tornando a un cuore di bambino, ciò pronto a fidarsi totalmente dell’altro, di Dio, del fratello, della sorella che abbiamo accanto, possiamo ritrovare la capacità di essere costruttori di unità e di comunione ovunque.