Spiace constatare come i compilatori del
lezionario, riportando il brano di Vangelo per la solennità dell'Ascensione, in
questo anno B, abbiano omesso proprio quel versetto in cui si dice che Gesù,
prima di lasciare definitivamente i suoi discepoli, li rimprovera «per la loro incredulità e durezza di cuore»,
in quanto «non avevano creduto a quelli
che lo avevano visto risorto» (Me
16, 14). Mentre proprio questo è
significativo: che Gesù dia l'incarico di parlare di lui, di predicarlo a
tutti, a persone che faticano molto a credere! Come può essere valutato questo
modo di fare di Gesù: incoscienza o fiducia? Sembra di poter ragionevolmente
escludere l'incoscienza, in quanto Gesù conosceva molto bene i suoi discepoli:
erano stati insieme, notte e giorno, per tre anni; lo avevano seguito ovunque
e lui li aveva visti nelle più diverse situazioni. Dobbiamo dunque dire che è
fiducia quella che Gesù nutre per loro, in maniera veramente generosa.
Ecco: l'Ascensione dice la grande fiducia
che Cristo ha anche per noi che oggi siamo la sua Chiesa. Egli se ne va e
lascia a noi la sua opera da continuare. Ora, la sua opera era
consistita proprio in quel compito che ora egli affida ai suoi discepoli, e a
noi: «predicare il Vangelo»; ovvero
annunciare la buona notizia della vicinanza e della disponibilità di Dio nei
confronti dell'uomo, di ogni uomo. Un annuncio che Gesù ha compiuto in maniera
molto semplice: per dirla con Pietro, negli Atti degli apostoli, Egli «passò
facendo del bene a tutti» (At
10, 38). E quando venne respinto,
trasformò quel rifiuto in un bene ancora più grande, mostrando con il dono
della sua stessa vita quanto fedele e tenace sia la disponibilità di Dio nei
confronti dell'uomo. Oltre il rifiuto, oltre il male, perfino oltre la morte.
La buona notizia che ora spetta a
noi, in suo nome e con il sostegno della sua presenza, è dire a tutti quanto
più grande del male sia il bene, quanto più forte dell'odio sia il perdono, la
vita della morte. Come? A parole, forse? Nient'affatto, o non in primo luogo.
Un'altra sintesi della vicenda e dell'opera di Gesù è quella che troviamo nel
brano di apertura degli Atti
degli Apostoli, che
costituisce anche la prima lettura di questa solennità: «Gesù fece e insegnò» (At
1,1). Prima
fece, poi disse.
Di nuovo, vale, questo, anche per noi. Prima fare e poi eventualmente dire,
quel minimo che possa evitare alla sinistra di sapere ciò che ha fatto la
destra. E proprio in questi termini Gesù si rivolge ai discepoli affidando
loro la continuazione della sua opera: non semplicemente dire qualcosa, ma...
scacciare demoni, sconfiggere i veleni, guarire la gente.
Ora, dovremmo cominciare a riflettere,
innanzitutto, per verificare se non ci capiti di fare addirittura il contrario.
Ossia: dare spazio ai demoni (il dèmone della prepotenza, dell'invidia, della
brama di possedere, della superbia). E i veleni... I veleni materiali che
spargiamo a larghe mani o che consentiamo che altri spargano; cementificando
per ogni dove, distruggendo con prepotenza pari alla stupidità i luoghi più
incantevoli del nostro territorio. E i veleni immateriali ma non meno dannosi:
i veleni della denigrazione, della calunnia, con i quali possiamo addirittura
distruggere una persona; eppure li spargiamo con grande abbondanza, e ne
facciamo il contenuto di gran parte dei nostri discorsi. I veleni della
cattiveria, dell'esclusione, del pregiudizio verso coloro che non sono uguali a
noi: nel colore della pelle, nel modo di vestire, di pensare, di vivere, di
credere.
E oggi che
le persone sono così spesso ferite, o indebolite da tante sconfitte, o
intristite nella solitudine, possiamo dire, noi cristiani, di essere gente che
guarisce o, almeno, medica queste ferite, sorregge queste debolezze,
si accorge di queste solitudini? Oppure ci facciamo ammalare gli uni gli altri, ci distruggiamo, ci deprimiamo
gli uni gli altri? Non collaboriamo
forse un po' tutti a mantenere questo ritmo e sistema di vita disumano e
insostenibile, che tritura le persone, dilania gli affetti, schiaccia i più
deboli? Non portiamo forse tutto questo perfino dentro le mura di casa?
Cristo si è fidato di noi, e noi come corrispondiamo? Di più: Cristo
oggi agisce con noi, in noi: che figura facciamo fare a Cristo? La gente
che incontriamo ogni giorno, può trovare in noi qualcosa (una scintilla, una
briciola, almeno) della sua
generosità, della sua dolcezza,
della sua limpidezza, in una parola, del suo rispetto e del suo affetto per
ogni persona umana?
Cristo si
è fidato, si fida di noi. Dipende da noi fare in modo che egli non venga
considerato come un incosciente.
Testo di
Saverio Xeres, in L’albero della vita – Vita e Pensiero.
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