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sabato 14 ottobre 2017

Ventottesima domenica del Tempo ordinario



Siamo invitati oggi a uno sguardo alto, a uno sguardo di speranza.
A lasciar risuonare tra noi le stesse parole del profeta: “Si dirà in quel giorno: ‘Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato… questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo….”
Il nostro sguardo è invitato a posarsi sul volto di Dio per ritrovare speranza e coraggio. E qual è questo volto di Dio? “Ecco il nostro Dio…” dice il profeta. Un Dio che prepara un banchetto di festa per tutti, che vuole per tutti vita piena. Un Dio che dona e non chiede, non pretende. “Eliminerà la morte… asciugherà le lacrime su ogni volto”. E’ il Dio della vita, della gioia, della festa, della consolazione il Dio in cui crediamo e speriamo.
Credere e sperare in Lui dunque è avere uno sguardo che sa intravvedere sempre questa meta di realizzazione e di novità. E’ camminare nella vita portando nel cuore la certezza che siamo amati e accompagnati da un Dio che vuole condurci all’incontro con Lui, incontro di nozze, di gioia, dove la vita tutta trova la sua pienezza.
Gesù, nella parabola che parla del Regno di Dio -“Il Regno dei cieli è simile a…”-, riprendendo queste immagini di festa, di convivialità, di vita, vuol farci comprendere come tutto ciò riguarda non solo la meta finale che ci attende oltre questa esistenza, bensì la realtà presente, il nostro oggi dove il regno di Dio già è presente e cresce. Questo per ricordarci che la vita già ora deve esprimere tutta la sua bellezza e capacità di promuovere speranza, gioia, convivialità. Questa nostra vita, oggi deve essere già un banchetto di nozze, una festa carica di gioia e di convivialità.
L’esperienza quotidiana sembra invece smentire tutto ciò.
La vita ci appare ben altro, contrassegnata da morte, lacrime, violenza, delusione, male. Perché?
E’ forse tutto un inganno ciò che la Parola ci annuncia? Solo illusione e poesia? Hanno allora ragione quelli che dicono che la fede è qualcosa che ci estranea dalla vita e dalla realtà e che serve solo a dare una illusoria e vana consolazione?
La parabola del vangelo, con molta lucidità, ci porta a comprendere che non si tratta di un’illusione l’annuncio del banchetto di nozze. Il suo non potersi ancora compiere in pienezza dipende da noi, dalla nostra indifferenza.
La parabola, nei diversi personaggi, raffigura tutti noi che, davanti alla chiamata, più volte ripetuta, “venite alle nozze”, in modi diversi rispondiamo all’invito. E’ vero che il racconto vuole evidenziare il rifiuto del popolo di Israele, i “molti chiamati”, e la scelta degli ultimi, i “pochi eletti”, (i pagani, i peccatori, i lontani). Ma è anche vero che parlando a noi oggi il racconto ci costringe a rivedere il nostro modo di rispondere alla chiamata che Dio rivolge, a tutti e a ciascuno.
Davanti a un Dio che vuole per noi vita piena, che strappa veli di non senso e di paura, che asciuga lacrime e vince la morte, occorre lasciarci coinvolgere. Non basta sapere che Lui è così, se poi rifiutiamo di entrare in quella relazione che sola può permetterci di fare già ora l’esperienza di una vita che tende alla pienezza.
Purtroppo all’invito alla festa, all’occasione unica che può darci realizzazione e vita si accampano scuse e rifiuti..
E’ il rischio di ieri e di oggi. L’indifferenza: uno dei nemici più insidiosi e diffusi della fede, più temibile dell’ateismo e dell’opposizione aperta. L’indifferenza che porta a trovare scuse: ‘non ne ho voglia’; a pensare solo ai nostri affari: “non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari”. Indifferenti all’invito e protesi solo su noi stessi. E’ così quando pensiamo che la questione Dio e la fede in Lui, siano fattore secondario della vita, quasi un di più… se c’è tempo bene altrimenti pazienza… Quando chiudiamo la nostra vita dentro gli stretti confini di una visione materialistica, lasciando Dio ai margini.
Dobbiamo re-imparare a vivere dentro la realtà, con i piedi per terra certo, affrontando problemi e fatiche, ma pur con uno sguardo oltre, uno sguardo alto, fisso su quel Dio che, proprio dentro e in mezzo alla vita di tutti i giorni ci rivolge la sua chiamata a partecipare a una relazione d’amore con Lui, al banchetto delle nozze.
La parabola poi ci mette in guardia anche da un altro rischio. E’ rappresentato nell’immagine di colui che accetta l’invito, ma si presenta senza l’“abito nuziale”. Cosa indica questo “abito nuziale” dimenticato?. Sta a significare che costui ha risposto all’invito, ma con superficialità, senza convinzione, senza amore, senza partecipazione, con freddezza. E’ il rischio che possiamo correre tutti noi; vivere sì una relazione con Dio, ma superficiale, senza il coinvolgimento dell’amore, più per abitudine che per convinzione, senza quell’abito nuziale che è la vita nuova (la veste bianca) ricevuta fin dal Battesimo.
Dono e responsabilità dunque. In queste due parole si riassume il messaggio di oggi. Un  Dio che desidera farci dono della sua stesa vita. Noi chiamati ad aprirci con responsabilità a questo splendido dono, a non accampare scuse, a venir fuori dall’indifferenza, a liberarci da una religiosità solo apparente che alla fine soffoca la fede e ci rende privi di quell’abito nuziale che deve invece contrassegnare la nostra vita facendo risplendere in noi la novità dell’essere figli amati di Dio. 
Sull’esempio di Paolo, rimettiamoci anche noi in cammino imparando a stare dentro alla realtà quotidiana -“so vivere nella povertà come nell’abbondanza”- sapendo che “tutto posso in colui che mi dà forza”. Sapendo che Colui che ci chiama a una vita piena, alla festa di nozze, è anche Colui che, se ne accogliamo l’invito e viviamo nel suo amore, ci darà la capacità di rispondere alla sua chiamata e di realizzare pienamente la nostra vita.

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