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venerdì 6 ottobre 2017

Ventisettesima domenica del Tempo ordinario



Isaia e vangelo: due testi che si richiamano e che hanno in comune il tema della vigna… Due brani che sono soprattutto un canto d’amore. Il canto dell’amore deluso.
“Voglio cantare per il mio diletto il mio canto d’amore per la sua vigna”. In questo canto è descritta tutta la cura, l’attenzione che viene riservata alla vigna. Si descrive nei dettagli tutto quello che il vignaiolo fa, rivelando così tutto l’amore che nutre per quella vigna: “piantò, circondò, scavò, costruì…”.
Questo amore descritto e cantato non trova tuttavia risposta; diventa così canto dell’amore deluso. “Aspettò che produsse uva; essa invece produsse acini acerbi”. All’amore del vignaiolo si contrappone la sterilità, la negligenza, la presunzione, la chiusura, il rifiuto di chi ha ricevuto in dono questa vigna.
Quale reazione? Quale conseguenza? Ci aspetteremmo – come anche capi del popolo e gli anziani rispondono al termine della parabola – un’azione di giustizia e di risarcimento (“li farà morire miseramente…”) verso coloro che non hanno fatto fruttificare la vigna. E invece la preoccupazione non è tanto quella di vendicarsi con chi è stato mancante, ma di far rifiorire la vigna.
Emerge così il secondo aspetto, la seconda parte di questo canto d’amore: una passione mai spenta, un amore più forte di ogni delusione. Emerge il desiderio di Dio: far fruttificare la vigna, farle portare frutti buoni. E così Dio rilancia…: altri operai, altri profeti, altro popolo, altra gente, fino a far dono del suo Figlio amato.
E’ descritta tutta la passione d’amore di Dio per noi; una passione d’amore che lo porta al dono del Figlio stesso. Un Dio che non si lascia fermare dalle delusioni e dal rifiuto, ma per amore continua a prendersi cura di questa vigna. E con Gesù, il Figlio amato, pietra angolare, nuova vigna, Dio da tutto, il massimo dell’amore.
Accogliere Lui diventa allora possibilità di portare finalmente i buoni frutti attesi. Quei frutti di giustizia, di pace, di riconciliazione, di rettitudine; perché è questo che il Signore si aspetta, non altro.
Questo si aspetta dalla vigna. Quella vigna che è figura  della casa di Israele: “La vigna del Signore è la casa di Israele”. Essa è immagine del popolo, dell’umanità intera, non solo della chiesa; è immagine di ciascuno di noi, delle nostre famiglie e comunità.
Questa vigna è la mia vita, la vita della mia famiglia, dell’umanità di cui sono parte. Quale frutto stiamo portando? Quali frutti maturano dalla mia vita, dalle mie scelte?
Il grosso rischio, oggi come allora, è la sterilità; non c’è nulla di peggio di una vita sterile, che non produce nulla di buono, soprattutto se questa vita è stata curata e custodita da sempre dall’amore di Dio.
C’è anche un altro rischio: è l’inganno. L’illudersi, il pensare di produrre frutti, ma alla fine sono solo i frutti del nostro egoismo, della ricerca di noi stessi – come i vignaioli di cui parla la parabola; produco solo per me, per il mio star bene, per il mio tornaconto, rifiutando di aprirmi agli altri, alla condivisione e alla solidarietà, al confronto e al dialogo. Ne scaturisce una vita altrettanto sterile perché egoistica. Rischio presente a volte nelle nostre comunità dove si fa e si opera ma senza amore e solo per affermare se stessi o i propri punti di vista.
Siamo invece chiamati a una vita che genera frutti veramente buoni; a costruire famiglie e comunità che portino dentro la società una fecondità di bene e di amore. Quel bene e quell’amore che hanno in Gesù la loro sorgente. Questo dunque può avvenire solo se lavoriamo con Gesù e per Gesù. Se ci lasciamo guidare da Lui e lo accogliamo come Figlio mandato dal Padre, dono del suo amore per noi. Il frutto che dobbiamo far maturare altro non è che la sua presenza in noi e attorno a noi; una presenza che arrivi ad abbracciare l’intero campo del mondo.
E’ la sfida e la missione che noi cristiani sentiamo come primo compito. Missione che si muove nel saper vivere ogni cosa e ogni momento con lui. Missione che a tutti ci è affidata. E’ l’invito che Paolo rivolgeva ai suoi amici Filippesi: “Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile e quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. E la pace di Dio custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù”.

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