Il brano del Vangelo è un crescendo
continuo; un dialogo intenso, coraggioso, che sfocia in quel “Donna, grande è la tua fede!”.
Fermiamoci innanzitutto a vedere
dove e con chi avviene questo dialogo. Siamo si dice nella “zona di Tiro e Sidone”, cioè fuori dai confini della Palestina, in
territorio straniero e qui Gesù entra in contatto e in dialogo con una donna,
straniera appunto e pagana. Tre requisiti che a quel tempo indicavano questa
persona come una persona da tenere ben lontana oltre che disprezzarla come “cagna”, perché così tutti pagani
venivano chiamati… Eppure di questa donna straniera e
pagana Gesù arriva a dire “grande è la
tua fede!”. Provate a immaginare: come se il Papa si affaccia alla finestra
di s.Pietro e dice “Ieri ho ricevuto in udienza una donna musulmana. Ebbene vi
devo confessare che, tra i cattolici, una fede come la sua non l’ho mai
trovata!”; Immaginate lo sconcerto.
Come è possibile? Come può esserci
fede in una donna che è definita pagana? L’episodio ci sconcerta e mette in
crisi le nostre certezze e sicurezze. Noi pensiamo infatti che una donna, un
uomo di fede è colui che partecipa alle pratiche religiose, conosce la
dottrina… Non c’è nulla di tutto questo nella dona cananea.
La fede che Gesù elogia allora è
altro; non consiste tanto in cose da fare o da credere, ma nel suo stesso modo
di essere, nel suo atteggiamento puramente umano ma aperto, coraggioso,
insistente che mette in luce il cuore di questa donna; un cuore angosciato che
non vuole arrendersi, non vuole rassegnarsi, che cerca, che ha fiducia, tanta
fiducia da credere appunto che se un Dio c’è non può essere insensibile nei
suoi confronti, che prenderà a cuore la sua sofferenza.
Questa la fede che Gesù elogia:
questo grido di fiducia, questo abbandono a Lui con tutto il cuore.
La fede è dunque s-confinata! Non la
possiamo chiudere dentro i nostri criteri e le nostre misure. La fede va oltre
i confini, le barriere, le differenze che noi ci costruiamo, fino al punto che
si può trovare più fede in chi noi riteniamo ‘lontano’. Perché Dio non ha
misura: è misericordia smisurata – lo ricorda Paolo – e avvolge tutti con la
sua misericordia, Israeliti o pagani, senza distinzioni; lui vuole “essere misericordioso verso tutti”.
Già il profeta Isaia proclamava
questo amore s-confinato di Dio che accoglie tutti nella sua casa; per lui non
esiste il termine ‘straniero’ perché
ogni uomo e donna sono suoi figli amati.
Ma perché allora Gesù si è
comportato con tanta freddezza e durezza verso quella donna, quasi rivendicando
i privilegi del suo popolo? E’ l’obiezione che può nascere davanti alle
risposte da Lui date. Comprendiamo tuttavia che questo suo modo di fare non
esprime il suo modo di essere; si tratta piuttosto di un atteggiamento
provocatorio, e non tanto verso la donna per spingerla ad essere insistente,
quanto piuttosto verso la gente e i discepoli. Gesù dice a voce alta quello che
la gente e i discepoli (a cui la donna dava fastidio per la sua insistenza)
pensavano e così facendo scardina quella mentalità chiusa e educa, loro e noi
oggi, a compiere questo passaggio, ad aprire occhi, mente e cuore per imparare
a guardare agli altri senza etichette. Ci fa comprendere che occorre buttare alle
spalle ogni pregiudizio, ogni etichetta se vogliamo arrivare a scoprire la
grande fede che abita il cuore di tante donne e uomini di oggi, al di là del
loro credo e della loro etnia. Togliere le distanze, guardare, ascoltare: a
questo Gesù ci educa perché abbiamo a comprendere che davanti a Dio non c’è
l’ebreo o lo straniero, il credente o il pagano. C’è un essere umano, un uomo,
una donna; soprattutto c’è la sofferenza dell’altro. Quella sofferenza che
tocca il suo cuore e lo apre alla richiesta di quella donna. Quella sofferenza
che tutti ci deve interpellare e che viene prima di ogni religione e
distinzione. E davanti alla sofferenza dell’altro non ci si può, non ci si deve
chiudere. Quante mamme e donne, quanti popoli ancora oggi invocano, implorano le
briciole, le briciole dell’amore, della solidarietà, della giustizia. Siamo
tutti ‘cagnolini’ in cerca di briciole d’amore, siamo tutti suoi figli.
Queste considerazioni allora devono alimentare in noi
atteggiamenti diversi: dal non crederci migliori degli altri solo per il fatto
di dirci cristiani, fino ad arrivare a uno sguardo nuovo sulle persone
togliendo ogni maschera e pregiudizio. Come comunità e chiesa poi non ritenerci
dei privilegiati, ma dei chiamati a portare a tutti, con parole e gesti, la bella
notizia di un Dio che ama ogni uomo e donna così come sono. Arrivare allora a
ripensare alla missione superando l’idea che “Noi siamo i vasi pieni, gli altri i vasi vuoti da riempire”, ma
andando alla ricerca di ogni segno di quella fede grande che sta già dietro e
dentro il cuore di tante persone. Solo così diventeremo quella “casa di preghiera e di incontro per tutti”
come già annunciava il profeta nella 1 lettura. Quella famiglia che anticipa e
inaugura quella umanità nuova dove, abbattuto ogni muro e barriera, tutti
possiamo riconoscerci figli dell’unico Dio e insieme, nel rispetto di ogni
diversità, lavoriamo per costruire una fraternità universale fondata sulla
giustizia e la pace.
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