LA TENDA DI MAMRE, un luogo di silenzio e di ascolto, di ricerca e di incontro, di preghiera e di pace.
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mercoledì 31 maggio 2017
sabato 27 maggio 2017
Ascensione del Signore
La festa dell’Ascensione oggi, e
della Pentecoste domenica prossima, portano a pieno compimento la Pasqua di
Gesù, morto e risorto.
Soffermiamoci su alcuni aspetti che
la Parola ascoltata richiama.
Si parla – nella prima lettura degli
Atti - di elevazione e di
allontanamento: “mentre lo guardavano, fu
elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi”. E’ così che anche
noi siamo abituati a immaginare questo avvenimento dell’ascensione.
Aiutiamoci a comprendere il
significato di queste espressioni, anche attraverso quanto abbiamo ascoltato
nelle altre letture.
Innanzitutto “fu sottratto”. Un’espressione che non indica separazione,
allontanamento. Si dice infatti che “fu
sottratto ai loro occhi” e cioè non lo videro più, ma questo non significa
che si è allontanato, se ne è andato. Anzi. Proprio il vangelo si chiude con le
parole di Gesù stesso che afferma: “Io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Dunque siamo davanti a un modo
nuovo, diverso, di essere sempre presente e accanto a noi. Non più visibile ai
nostri occhi umani, ma tuttavia visibile agli “occhi del nostro cuore”, come afferma Paolo. L’invisibilità non
significa assenza. Anche l’aria è invisibile tuttavia c’è, ci avvolge. Il
Signore Gesù non è andato lontano, ma è vicino più di prima. Prima era
‘insieme’, ‘con’ i suoi discepoli, ora invece è ‘dentro’, ‘in’ ciascuno di noi.
C’è poi l’altra espressione che va
chiarita: “fu elevato in alto”.
Questa ‘elevazione’, sulla base di quanto abbiamo detto prima, non è tanto un
fatto fisico, materiale (una persona che sale verso il cielo), bensì il
riconoscimento della riuscita di questa persona, della sua gloria, della sua
vittoria, del suo essere ‘in alto’ sopra tutto e tutti. Come un atleta che al
termine del confronto sportivo sale sul primo posto del podio. Esprimerà bene
questa consapevolezza Paolo riconoscendo che Gesù “tutto ha messo sotto i suoi piedi”.
Gesù stesso nel vangelo afferma “A me è stato dato ogni potere in cielo e
sulla terra”. E’ il potere-forza dell’amore che ha portato Gesù a vincere
sul male, sulla sofferenza, sulla morte stessa. Gesù dunque è colui che ha
realizzato pienamente la sua vita e lo ha fatto proprio con una vita spesa
nell’amore. Abbassato fino alla morte di croce, viene elevato fino alla gloria
di essere uno col Padre (questo sta a significare “siede alla destra del Padre”), vivente per sempre.
Cosa vogliono dire a noi oggi queste
riflessioni che forse possono sembrarci un po’ teoriche e dottrinali?
Credo che il messaggio splendido di
questa festa si orienta sulla capacità di comprendere “con gli occhi del nostro cuore” proprio questi due aspetti.
Il primo. Lui è con noi sempre. Mai
soli. “Vicinissimo a te è Dio, più intimo
a te di te stesso. E poi è dentro tutte le cose. La terra è allora un immenso santuario,
un immenso cielo. E la Parola di Dio è seminata come lievito dentro ogni cosa.
Il Signore, io non devo raggiungerlo: è già qui; è lui che è venuto. Il
Signore, non devo conquistarlo: è già dentro; è lui che si è dato e che rimane.
Mentre tutto passa, lui rimane: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine
del mondo”. (E.Ronchi)
Il secondo. In Lui ci è indicata la
meta. Una meta di speranza e di piena realizzazione. Elevato, riuscito,
realizzato: questi è Gesù.
E come Gesù così può e deve essere
anche per ciascuno di noi.
Lui che “è il perfetto compimento di tutte le cose”, come scrive Paolo,
chiama tutti noi e la creazione tutta al pieno compimento. Non vuole che
nessuno di noi si perda. Vuole che tutti abbiamo a realizzare in pienezza la
nostra vita.
E per questo ci ha indicato la
strada proprio con la sua vita tra noi. La strada dell’amore che si dona;
strada di croce, di fatica, di prova ma che porta, se la seguiamo con fiducia
in Lui e nella sua Parola, al passaggio, alla Pasqua, che ci realizza e ci dona
una vita piena.
Qui, in Gesù, sta la speranza che ci
dà coraggio sempre.
In Lui è la meta verso la quale
dobbiamo non tanto guardare – “perché
state a guardare il cielo?” è il rimprovero ai suoi discepoli -.
E’ piuttosto la meta che dobbiamo
annunciare, testimoniare, verso cui tutti insieme camminare, tendere.
“Andate”,
“di me sarete testimoni”. A questo porta la festa dell’Ascensione. Una duplice
consapevolezza e un comune impegno: siamo in cammino con Gesù e verso Gesù,
verso la sua pienezza che sarà anche la nostra. Di questo noi “siamo testimoni”. E’ il compito, la
missione che ci affida: “fate discepoli,
battezzandoli, insegnando loro quanto vi ho comandato”. E ci ha comandato
una cosa sola: “Questo vi comando: amatevi
come io vi amo”.
Siamo chiamati allora a far sì che
tutti possano essere immersi in questo amore che Dio ci ha rivelato in Gesù
(questo è il senso del battezzare: immergere in Gesù); che tutti possano
scoprirsi e sentirsi mai soli: accompagnati da Colui che è la Presenza che ci
abita, la meta cui tende il cammino di ciascuno e di tutta l’umanità.
Non ci resta che vivere con gioia e
responsabilità, collaborando con tutti per costruire una storia come piace a
Dio, a immagine di Cristo. E pregando ogni giorno: “Donaci la certezza forte e inebriante che nel cuore di ogni essere Tu
sei Amore e Luce crescenti”. (Vannucci)
lunedì 22 maggio 2017
sabato 20 maggio 2017
Sesta domenica di Pasqua
E’
l’ultima domenica del tempo pasquale prima delle feste dell’Ascensione e della
Pentecoste. La Parola ascoltata sembra voler mettere in evidenza Colui che è il
protagonista di questo tempo della Pasqua: lo Spirito santo.
Nel
vangelo – siamo nel contesto dell’ultima cena – Gesù afferma di voler pregare
il Padre perché conceda anche a noi lo Spirito: “io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito”.
Questo
ci fa comprendere innanzitutto che lo Spirito santo è un dono; il dono del
Padre e del Figlio. Dono che nella preghiera va chiesto al Padre che lo effonde
gratuitamente su quanti lo invocano.
In
cosa consiste questo dono?
Gesù
definisce lo Spirito “un altro Paraclito”.
Paraclito è Colui che sta vicino per difendere, custodire. Un “altro” perché prende il posto di Gesù
stesso pastore e custode delle nostre anime. Lo Spirito dunque continua in noi “per sempre” la presenza di Gesù
rimanendo “con noi”.
E’
poi chiamato “lo Spirito della verità”:
Colui cioè che illumina e dà orientamento alla nostra vita aprendola a ciò che
è vero, buono e bello. Chi si chiude a Lui – il mondo, cioè chi lo rifiuta –
non lo può ricevere e conoscere.
Ma
soprattutto lo Spirito è Colui che “rimane
presso di voi e sarà in voi”. E’ la vita stessa del Padre e del Figlio che
è posta in noi, nei nostri cuori. Nel nostro cuore non scorre solo sangue, ma
lo Spirito consolatore di Dio.
Per
questo Gesù può affermare: “Non vi
lascerò orfani”.
Si
resta orfani quando muore un padre. La morte in croce di Gesù non lo allontana
da noi, anzi, attraverso di essa il Padre gli dona la vita senza fine così che “io vivo e voi vivrete”.
Con
la Pasqua si attua una comunione così profonda tra Gesù e noi che viene
realizzata dallo Spirito dato in dono. Mai orfani: sempre abitati e amati da
Dio in ogni momento della nostra vita, anche nelle prove, nelle sofferenza, nel
momento stesso della morte; Lui è Padre che non ci abbandona; anzi ha posto in
noi la sua stessa vita, lo Spirito d’amore.
Questo
dono d’amore cosa chiede a noi? Solo accoglienza.
Il
vangelo si apre e si chiude con un duplice richiamo a un amore accogliente. “Se mi amate osserverete i miei
comandamenti”, e alla fine del brano: “Chi
accoglie i miei comandamenti e li osserva questi è colui che mi ama. Chi ama me
sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. Questo
manifestarsi altro non è che il dono dello Spirito.
Un
amore che si traduce in ascolto della sua Parola e nel seguire giorno dopo
giorno la sua strada, ci rende sempre più pronti ad accogliere il dono dello
Spirito del Padre e del Figlio.
La
vita cristiana è entrare in questa relazione d’amore che ci assicura che non
siamo mai soli, mai orfani, ma sempre abitati dalla presenza dello Spirito.
Ecco
perché Pietro nella sua lettera ci invita: “adorate
il Signore, Cristo, nei vostri cuori”. Adorare è riconoscere con umiltà e
gioia una Presenza d’amore che ci supera e che ci avvolge.
Tuttavia
aggiunge subito: “pronti sempre a
rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”.
E’
un chiaro invito alla testimonianza, al comunicare a tutti Colui che abbiamo
conosciuto, amato e accolto nella nostra vita.
E’
la testimonianza che Filippo e i primi apostoli portano in mezzo alla gente,
così come ci ricorda la prima lettura, e che diventa la via che apre la strada
perché lo Spirito si effonda su tutti. Nel libro degli Atti c’è una diffusione
dello Spirito santo proprio grazie all’annuncio e alla testimonianza del
Vangelo.
Anche
noi come loro oggi siamo chiamati – personalmente e come comunità – a testimoniare
“la speranza che è in noi”, quella
speranza che è Gesù stesso che abita in noi attraverso il dono dello Spirito.
E’
il pressante invito che papa Francesco non si stanca di rivolgere alla chiesa
tutta: uscire, portare tra la gente, soprattutto tra chi è più piccolo, povero,
disperato, la bella notizia di un Dio che non ci vuole orfani, ma figli amati
per sempre e abitati dalla sua presenza.
E’
una testimonianza che va offerta certo con le parole, ma soprattutto con la
nostra vita attraverso uno stile di “dolcezza
e rispetto” verso tutti, anche verso coloro che non ci capiscono, ci
oltraggiano e ci deridono.
Come
possono capire le persone che incontriamo che sono amate da Dio? Solo
attraverso parole e gesti che sappiano dire loro questo amore concreto. Solo
attraverso la nostra vita che si apre alla solidarietà, all’attenzione per
l’altro, alla condivisione di ciò che siamo e abbiamo; solo con gesti di
perdono e di pace, di riconciliazione e di amore concreto.
Adora
Cristo che abita nel tuo cuore con il suo Spirito; porta Cristo ovunque e a
chiunque diventando testimone della sua presenza nella tua vita.
Questa la vita cristiana; questa la missione della
chiesa.
sabato 13 maggio 2017
Quinta domenica di Pasqua
Ancora
una volta Gesù fa uso di immagini per aiutarci a capire qualcosa di più di Lui,
del Padre, della nostra vita di cristiani.
Dopo
essersi paragonato alla porta e al pastore buono, oggi fa uso dell’immagine
della casa: “nella casa del Padre mio vi
sono molte dimore… vado a prepararvi un posto…”
Teniamo
presente che questo brano si colloca negli ultimi
momenti che Gesù trascorre con i suoi discepoli. Loro sono turbati perché sanno
di doversi separare da lui e per l’annuncio dell’imminente morte. Ma Gesù li
vuole rassicurare, tranquillizzare: “Non
sia turbato il vostro cuore”. Vuol far loro comprendere un paradosso: che
la sua morte non sarà una perdita per loro, ma un guadagno; che la sua morte
non sarà un’assenza, ma una presenza ancora più intensa. Li rassicura che Dio è
con lui. Ecco perché dice: “Abbiate fede in
Dio e abbiate fede anche in me”. E poi
rassicura sull’effetto della sua partenza e dice appunto che “nella casa del Padre vi sono molte dimore”.
Qui bisogna comprendere bene questo versetto alla
luce di quanto segue: “Vado a prepararvi
un posto e… verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate
anche voi”. E poi nel versetto 24 Gesù dirà: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il
Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui”.
Con l’immagine della casa Gesù dunque non pensa a
una dimora fisica, concreta, dove arriveremo dopo la morte. Pensa invece a ciò
che la casa esprime: comunione, intimità. Essa è il luogo privilegiato
dell’incontro, dello stare insieme, dove ognuno ha il suo posto, il suo spazio.
Non si tratta quindi di una dimora presso il Padre ciò a cui allude Gesù, ma del Padre che
viene a dimorare tra gli uomini. Questa è la novità, la grande novità proposta da Gesù: non c’è più un
santuario dove si manifesta Dio, ma in ogni persona che lo accoglie, lì Dio si manifesta. Noi possiamo
diventare, proprio grazie alla sua ‘partenza’, al suo ‘tornare al Padre’ cioè entrare
nella comunione intima con Lui, il luogo, la casa dove Lui si fa presente, dove
vivere una comunione intima e permanente nella sfera della dimensione divina,
nella sfera dell’amore.
Per questo Pietro nella seconda lettura ricorda
ai cristiani: “Voi siete costruiti come
edificio spirituale… avvicinandovi al Signore pietra viva”. Voi siete ora
la sua casa! Quindi il Dio
di Gesù è un Dio che chiede di essere accolto per fondersi con la persona e
dilatare la sua capacità d’amore. Questa sarà la sua dimora.
Ecco tuttavia che i suoi discepoli fanno fatica a
capire; e così anche noi. Sia Tommaso, prima, che Filippo, poi, pongono a lui
una domanda. “Non sappiamo dove vai, come possiamo
conoscere la via?”. Sembra dire Tommaso: ma quale via dobbiamo seguire
per arrivare a questo incontro, a questa comunione, a questo stare insieme? Anche
Filippo manifesta esitazione: “Mostraci
il Padre e ci basta”, mostraci Colui con il quale ci inviti a vivere
insieme, chi è questo Padre?
Le risposte di Gesù fanno chiarezza. “Io sono”: rivendica la sua condizione
divina, affermando che solo Lui è “la via,
la verità, la vita”. E poi aggiunge: “Se avete
conosciuto me, conoscerete anche il Padre”. “Da tanto tempo sono con voi e tu
non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre”.
Ecco l’importante rivelazione di Gesù: “Io sono” il manifestarsi del Padre; io
via che conduce alla verità su Dio e all’incontro di vita in Lui. Via che
conduce alla ‘casa’, alla comunione d’amore.
Gesù è manifestazione visibile di Dio, ha
mostrato chi è Dio con tutta la sua vita: amore che si fa servizio e si dona a
noi.
Gesù è il manifestarsi del Padre; Dio è uguale a
Gesù. Gesù è molto chiaro: “Chi ha visto
me ha visto il Padre”.
E
stranamente non dice “lo conoscerete nel futuro”,
ma Gesù afferma: “Fin da ora lo conoscete e lo avete
veduto”. Questa
comunione con il Padre alla quale Gesù ci invita dunque avviene già ora: “Fin
da ora lo conoscete”, cioè siete in relazione con Lui.
Già ora siamo
nella casa del Padre se siamo con Gesù, nel suo amore. C’è un vincolo, un
legame personale strettissimo che ci rende partecipi della stessa vita di Dio,
attraverso quella via che è Gesù stesso, venuto a svelarci la verità su Dio e
su noi stessi.
“In verità, in verità vi dico: chi crede
in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più
grandi di queste, perché io vado al Padre”. Così poi si chiude
il brano. Come si fa a compiere azioni più grandi di Gesù? Non certo da soli. Gesù
non ha potuto rispondere a tutti i bisogni dell’umanità. E’ nella comunità dei
discepoli che oggi continuano le opere dell’amore, le opere del Padre. La
relazione d’amore col Padre non è solo fatto personale, ma è chiamata a
riflettersi nella vita della comunità. Una comunità tuttavia, come ci ricorda
la prima lettura, che deve superare ogni forma di divisione e litigio e
lasciarsi guidare solo dalla Parola di Gesù e dal suo Spirito. Solo così, se la
comunità si rifà al suo nome e si edifica su Lui pietra angolare, diverrà
capace di essere casa di comunione e di pace, “edificio spirituale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato
perché proclami le opere ammirevoli di Lui, che ci ha chiamati dalle tenebre
alla sua luce meravigliosa”.
sabato 6 maggio 2017
Quarta domenica di Pasqua
“Io sono venuto
perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Bastano queste
parole per dire tutto l’amore di Dio per noi.
Parole
che evidenziano l’unica grande vocazione alla quale tutti siamo chiamati: la
vocazione alla vita, a una vita abbondante, significativa, realizzata.
Davanti
a questa chiamata tuttavia dobbiamo interrogarci e chiederci: cosa e chi mi fa
vivere sempre meglio? cosa e chi invece mi inganna e distrugge la mia vita?
Gesù
parla chiaro infatti. Ci sono persone o cose che sono “ladri e briganti” che ingannano la gente; entrano nella loro vita
con astuzia e creano scompiglio, portano divisione, tolgono la pace dal cuore.
Queste persone o cose non entrano dalla porta, cioè apertamente ma come ladri
con astuzia vengono ad occupare la nostra mente, i nostri pensieri e infine le
nostre scelte, fino a diventare loro i padroni di noi stessi, riducendoci a
schiavi del loro volere. Se ci fermiamo a riflettere riusciamo sicuramente a
dare un nome e un volto a questi “ladri”:
a volte persone reali che ci ingannano e ci spingono a scelte disoneste, al
male e alla maldicenza…, altre volte si tratta di cose o atteggiamenti: brama
di possedere, orgoglio, egoismo, se non violenza e cattiveria…
Non
sono certo queste persone o cose che possono donarci una vita bella; anzi
lentamente la frantumano e distruggono, portandoci a una vita assurda e vuota.
Sempre
con chiarezza Gesù afferma invece che lui vuole entrare nella nostra vita non
con inganno e malizia, ma dalla porta; perché lui non è ladro, ma “pastore”, perché “chi entra dalla porta è il pastore”. Per questo porta pace,
pienezza e armonia di vita. Non si fa padrone, ma custode, rendendoci così
figli liberi e amati.
Come
e quando avviene questo? Quando ”ascoltando
la sua voce” e “seguendo le sue orme”
facciamo spazio a Lui nella nostra vita come si fa spazio a un amico, a una
persona amata. Più lo accogliamo e più la nostra vita cresce, si rafforza, si
unifica, si fa bella e feconda.
E
più Lui “pastore e custode delle nostre
anime” ci libera, ci strappa fuori… Lui che ci conosce per nome “conduce fuori”, dice il vangelo. Anzi: “spinge fuori”; fuori da ogni recinto e
chiusura, perché sa bene che non si può avere vita abbondante se ci si chiude
in se stessi e nei propri recinti. Così facendo si soffoca, ci si impoverisce,
si diventa sterili. Ecco perché “spinge
fuori”, invita a uscire da ogni recinto mentale, relazionale, di gruppo o
di casta, di idee… Quanti recinti innalziamo pensando di salvarci, difenderci,
custodirci, ma di fatto questi recinti ci isolano, ci chiudono, ci
impoveriscono.
Quanti
recinti ancora oggi possono tenerci fermi in una religiosità più pagana che
cristiana, più superstiziosa che autentica. E questo anche nelle nostre
comunità: il recinto della propria piccola parrocchia, il recinto di tradizioni
e usanze vissute senza più convinzione; il recinto fatto di calcoli, di
critiche, di giudizi che ci chiudono gli uni agli altri…
Occorre
veramente osare con coraggio passare oltre, uscire per quella porta giusta che
è Gesù.
Se
vogliamo la vita in abbondanza occorre lasciar entrare Gesù per poi con Lui
uscire verso gli altri, verso il mondo, verso ogni uomo e donna per condividere
la vita stessa e insieme crescere, camminare, portare frutti abbondanti di
bene. “Io sono la porta: se uno entra
attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”.
E’
tempo di imparare a cacciare dal cuore, dalla mente e dalla vita coloro che ci
derubano della vita stessa, ne vogliono essere i padroni, impoverendoci e
chiudendoci dentro i nostri piccoli e sterili recinti. Cacciare chi ci deruba
la vita, per lasciar entrare Colui che invece è la porta stessa della vita, e
ce la dona in abbondanza. Questa è la conversione che Pietro indicava a quanti
domandavano: “Che cosa dobbiamo fare,
fratelli?” cercando di dare una svolta nuova alla loro vita. “Convertitevi” a Gesù, “ciascuno di noi si faccia battezzare nel nome di Gesù
Cristo”, si lasci immergere nella sua vita e troverà vita in abbondanza, “riceverà il dono dello Spirito Santo”,
la vita stessa del Padre e del Figlio.
E’
tempo dunque di imparare a distinguere una voce dall’altra. Di imparare a
seguire quella voce che ci riconduce dall’essere “erranti” all’incontro con “il
pastore e il custode” della nostra vita.
Giornata
di preghiera per le vocazioni oggi: perché impariamo a riconoscere la Voce che
ci conduce alla Vita; perché con Gesù impariamo a uscire verso gli altri a fare
della nostra vita un dono generoso a servizio del vangelo e della chiesa.
Così
diventeremo anche comunità ricche di vita, della vita dello Spirito capaci di
suscitare nuove energie a servizio del vangelo. Lo ricorda papa Francesco
nell’Evangelii Gaudium “In molti luoghi scarseggiano le
vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Spesso questo è dovuto
all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso, per cui esse
non entusiasmano e non suscitano attrattiva. Dove c’è vita, fervore, voglia di
portare Cristo agli altri, sorgono vocazioni genuine”.
Sia così la
nostra vita e la vita delle nostre comunità.