Non basta aver
celebrato la Pasqua per aver fatto Pasqua…
Pasqua significa
‘passaggio’; e fare questo ‘passaggio’ non è gesto di un momento, ma frutto di
un cammino.
Per questo ci è ora
offerto il ‘tempo pasquale’, questi cinquanta giorni che ci porteranno alla
Pentecoste. Per questo anche noi, come i primi discepoli, il primo giorno della
settimana e otto giorni dopo, cioè ogni domenica, ci ritroviamo per aiutarci a
fare Pasqua.
Abbiamo
continuamente bisogno di ‘passare oltre’, di passare con Lui il risorto, verso
la vita nuova che Lui stesso ci ha reso possibile con la sua risurrezione.
Passaggi che siamo
chiamati a compiere sia personalmente, come pure dentro le nostre famiglie, in
ogni nostra comunità.
Dobbiamo aiutarci a
passare innanzitutto dall’incredulità alla fede.
Non è difficile
specchiarci nella figura di Tommaso. Certo noi diciamo di credere; ma in chi?
come crediamo? Non siamo forse anche noi alla ricerca di sicurezze, di prove,
di garanzie, sulle quali far poggiare ciò che diciamo essere fede?
“Beati quelli che non hanno visto e hanno
creduto” afferma Gesù, ‘beati voi non vedenti’, si potrebbe meglio
tradurre. Beati voi che non pretendete visioni, che non correte dietro
apparizioni, che non avete la pretesa di afferrare, di trattenere, di
possedere, di avere certezze.
La fede è buttarsi
con fiducia in Lui pur senza vederlo. Buttarsi tra le braccia del suo amore
misericordioso.
La fede è imparare
a leggere e riconoscere questo amore dentro le piaghe delle mani, dei piedi,
del costato; piaghe sempre presenti nel corpo vivente del Cristo che sono i
nostri fratelli e sorelle segnati dalla croce. Saper vedere in esse e oltre
queste piaghe, la presenza di amore di un Dio che condivide, porta su di sé e
salva ciascuno di noi.
Ecco la fede “che vince il mondo” come dice Giovanni
nella seconda lettura; che vince l’incredulità, il peccato, il male, la morte.
Dobbiamo aiutarci
insieme a crescere verso questa fede matura in un cammino di ricerca e
soprattutto di ascolto di quella Parola che sola può illuminare i nostri occhi
e riscaldare il nostro cuore aprendolo così al riconoscere e credere nella Sua
presenza, al suo “stare in mezzo” a
noi. Quella Parola che ci è data appunto – come conclude il brano del vangelo -
“perché crediate che Gesù è il Cristo, il
Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.
Dobbiamo anche
aiutarci a passare dalla paura, dal timore, alla pace, alla serenità interiore.
Non è difficile specchiarci nel gruppo dei discepoli chiusi dentro nel
cenacolo. Porte chiuse, cuori sbarrati. La paura degli altri, la paura generata
da una mente che vede tutto negativo, la paura del cosa diranno, cosa ci
faranno. Quella paura che rende ciechi, incapaci di saper riconoscere e vedere
il bene.
E’ la paura che
chiude, che sbarra porte e finestre, che soffoca cuore e anima. Passare oltre
la paura. Non da soli. Ma con Lui.
Lui che non ha
paura, che attraversa le porte delle nostre chiusure, entra senza paura nelle
nostre paure e dice “Pace a voi”, e
alita l’aria nuova, il soffio del suo Spirito, che ricrea, rigenera l’uomo come
in quel primo giorno della creazione. Un soffio nuovo che scioglie la paura, i
calcoli, le discussioni, i conflitti. Il Signore entra a porte chiuse, entra in
mezzo alla paura e offre un’opportunità, offre se stesso, il suo Spirito, per
affrontare e vincere la paura, ogni paura, per sempre.
Un’opportunità che
non dobbiamo lasciar cadere, ma saper accogliere, proprio qui, nel nostro
ritrovarci insieme. Proprio da qui dobbiamo ripartire con rinnovato slancio,
liberi dalla paura, aperti e spinti dal Suo Soffio: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. Mandati ad
annunciare che ogni paura può essere sciolta attraverso Lui, che la pace può
essere ritrovata e costruita con Lui. Quello “Spirito che è verità” è “lo
Spirito che dà testimonianza” e liberandoci dalla paura ci rende capaci di
testimoniare la verità del suo amore misericordioso.
Dobbiamo inoltre
aiutarci a passare dall’isolamento alla comunione, dal rancore al perdono,
dalla dispersione al diventare “un cuore
solo e un’anima sola”.
Ancora una volta
non ci è difficile specchiarci in questo gruppo di discepoli. Tuttavia da come
li osserviamo dentro nel cenacolo -
impauriti, isolati, chiusi - arriviamo poi a rivederli fuori, tra la
gente. Una comunità rinata, così negli Atti degli Apostoli ci viene presentata.
Una comunità che è riuscita a ‘venir fuori’, a superare l’isolamento, a vincere
la logica del mondo, del pensare a sé, del vivere con il rancore nel cuore, per
tendere, attraverso quel perdono, ricevuto in dono da Gesù, alla
riconciliazione, alla comunione fraterna, fino alla condivisione effettiva dei
beni, a quel pensare a tutti, soprattutto a chi fa più fatica, perché a nessuna
venga a mancare il necessario.
Vediamo qui con
chiarezza dove anche noi, come chiesa, dobbiamo tendere, passare… oggi più che
mai. Cristiani che non si chiudono a difesa, ma sanno aprirsi con atteggiamenti
di misericordia, di bontà, di condivisione, per dare “con grande forza… testimonianza della risurrezione del Signore Gesù”.
Dobbiamo ritrovare questo coraggio di una testimonianza data con scelte
coraggiose di perdono, di condivisione, di profonda comunione fraterna, così da
essere realmente “un cuor solo e un’anima
sola”.
E’
la Pasqua che dobbiamo vivere, sono i passaggi che dobbiamo costantemente
compiere. Non con uno sforzo di applicazione e di eroica volontà, ma lasciando
che Lui “stia in mezzo a noi”, al
centro della nostra vita e delle nostre comunità. E’ Lui solo che può renderci
capaci di passare verso una fede matura che arrivi al riconoscimento, umile e
sincero, che solo Lui è il “Mio Signore e
mio Dio”. E con Lui allora passare dalla paura alla pace, dal rancore al perdono,
dalla chiusura alla comunione e condivisione fraterna. Allora avremo fatto
Pasqua!
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