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sabato 25 ottobre 2014

30° domenica del tempo ordinario / A



Una delle preoccupazioni del popolo d’Israele era di fare la volontà di Dio, in modo che la propria condotta fosse sempre gradita a Lui. Era perciò necessario sapere con grande precisione come comportarsi in tutte le circostanze, per non dimenticare qualcosa. Ecco allora il  moltiplicarsi di precetti: si era arrivati a 613 precetti da osservare e a 365 proibizioni negative. In questo cumulo di leggi e divieti, molti avvertivano l’esigenza di fissare una gerarchia di comandamenti, cercando di determinare il più grande, il primo tra tutti. Rimanevano tuttavia parecchie incertezze in questa ricerca e la discussione era aperta tra le varie scuole rabbiniche.
Il brano di oggi muove appunto da un dottore della Legge che vuole tentare Gesù su questo argomento, per metterlo ancora una volta alla prova. Ma la questione circa cosa fosse più importante osservare, riguardava anche la prima comunità cristiana a cui Matteo scrive; riguarda anche noi oggi, che rischiamo di disperderci in una molteplicità di devozioni, pratiche, precetti, perdendo di vista l’essenziale, il cuore stesso della vita cristiana.
L’amore: è questo il ‘cuore’ di tutto. E Gesù lo ripropone con chiarezza, ricavando l’indicazione proprio dai testi dell’antico testamento - da quel Codice dell’Alleanza (nel libro dell’Esodo) che elencava quella molteplicità di precetti che, pur dispersivi, tuttavia erano per il popolo prezioso aiuto per la sua crescita e la sua capacità di convivenza sociale - , ma arrivando anche ad evidenziarne il primato assoluto.
Amare Dio, amare il prossimo. Primo e secondo in ordine di presentazione, ma unico comandamento, inscindibile. Uno “simile” all’altro, di pari valore, della stessa importanza. Strettamente collegati al punto che uno non può esistere senza l’altro, perché si tratta non di due, ma di un unico amore. L’amore di Dio senza quello del prossimo cade nel sentimentalismo; quello del prossimo senza l’amore di Dio scade in semplice filantropia e nel facile rischio della ricerca di interessi e gratificazioni. L’amore del prossimo è come uno specchio del nostro amore per Dio. Insieme si sostengono e ci sostengono nel realizzare la nostra vita.
Di più: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”; è l’amore, nella sua totalità, ciò che dà senso, significato, orientamento a tutte le altre osservanze, tradizioni, precetti. Essi risultano come svuotati di senso, di contenuto e valore, se non vengono attuati nella luce e nella prospettiva dell’amore. L’amore di Dio e del prossimo sono come due ali che fanno volare tutta la Legge e la fanno volare in alto verso Dio.
Amare dunque con tutto noi stessi: corpo, mente, anima. Fare dell’amore il perno, il punto unificante di tutta la nostra vita. Un amore innanzitutto ricevuto gratuitamente (siamo amati per primi da Dio: “ricordati” – ammonisce l’antico testamento – di tutto quello che Dio ha fatto per te).
A sua volta questo amore è chiamato a riversarsi sul prossimo; e non dobbiamo pensare che si tratti solo del vicino, bensì di ogni persona, in particolare del debole e del povero, come già chiedeva il libro dell’Esodo (prima lettura) invitando a prestare attenzione e amore concreto agli stranieri, alle vedove e agli orfani, agli indigenti.
Gesù poi apre a dimensioni di universalità questo invito di amare il prossimo abbracciando in esso anche il pagano, il peccatore, il nemico. Un amore che prende quindi le misure dall’amore di Dio che è amore senza misura e per tutti; ma prende anche le misure dal nostro volerci bene (“ama il prossimo tuo come te stesso”). Un’espressione questa che dice da una parte che bisogna amare il prossimo perché egli è come “un altro te stesso”. Ma invita anche ad amare con la misura del bene che ci vogliamo: non si può amare l’altro se non ci si vuole bene. Come volere il bene altrui se non si è capaci di volere il proprio bene? Oggi c’è in alcuni il rischio di un altruismo nevrotico che porta a voler amare gli altri disprezzando se stessi e ritenendo indegno del cristiano l’amore per sé. Ma agli occhi di Dio anche io sono un essere amato da Lui e non ho alcun diritto di disprezzare ciò che Dio stesso ama; anzi: solo potenziando in me l’amore di Dio, realizzando in me il bene in pienezza, le mie capacità e i doni ricevuti, ho la possibilità, la forza di donare agli altri un amore profondo e vero.
Questo unico amore, che deve innervare tutta la nostra esistenza, è chiamato a farsi diffusivo: testimonianza prima e unica del nostro essere figli di Dio, cristiani. “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. Paolo, nella seconda lettura, elogia la comunità di Tessalonica, proprio perché, con la loro vita sono diventati “modello per tutti i credenti”; “per mezzo vostro la parola del Signore risuona… si è diffusa dappertutto”.
E’ la missione affidata alla Chiesa, a ciascun battezzato.
Dal Battesimo nasce infatti il nostro essere missionari e nel vivere l’amore di Dio e del prossimo si compie questa missione di testimonianza e di annuncio

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