Sarebbe veramente limitativo ridurre il
brano di oggi a una questione se pagare le tasse o meno, o a una infinita
discussione sul rapporto tra politica e religione.
L’insegnamento di Gesù va ben oltre e ci spinge
a una visione nuova dell’esistenza che impara a trovare in Dio, che tutto guida
e sorregge il riferimento primo e ultimo, il riferimento esistenziale.
Affermando: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”,
Gesù rivela da una parte come occorre non farsi schiavi di Cesare, restituendo
quello che gli è dovuto, dall’altra che è solo a Dio che dobbiamo far
riferimento per essere veramente liberi, riconoscendo in Lui l’unica signoria
da cui tutto e tutti ricevono vita.
Già il profeta Isaia, nella prima lettura,
sottolinea come “non c’è nulla fuori di
me; io sono il Signore e non c’è alcun altro”. Nelle sue mani la storia e
ogni uomo, ogni autorità. Lui tutto guida, anche chi non lo conosce (è il caso
di Ciro, re pagano qui presentato quasi come il Messia liberatore): è Dio che
lo guida nella realizzazione dei suoi disegni di salvezza.
Senza Dio noi non siamo. Solo con Lui noi
possiamo tutto. Perché tutto è di Dio. E tutto a Lui dobbiamo allora rendere,
di tutto dobbiamo imparare a riconoscere il riferimento a Lui se vogliamo
veramente realizzare noi stessi. Di
Dio è la terra e quanto contiene; l'uomo e la donna sono dono che proviene da
oltre, cosa di Dio. Restituiscili a Lui onorandoli, prendendotene cura come di un
tesoro.
Il primato di Dio deve essere assoluto.
Tutto ci viene da Lui e tutto deve essere vissuto con Lui e per Lui. A Lui
tutto è destinato a tornare.
Questo non sminuisce il valore di ciò che è
umano e terreno. Anzi, lo arricchisce. Ogni aspetto della vita, il lavoro e il
divertimento, ogni istante che passa, ogni ruolo che esercitiamo, autorità e
potere umano, solo in Lui possono trovare il giusto orientamento e la giusta
realizzazione. Al contrario: tutto ciò che viviamo senza Lui o contro di Lui alla
fine si muta in fallimento nostro, in vanità e vuoto, in vita che si disperde
nel nulla.
Con Lui invece deriva una vita non più
frammentata (qualcosa a Cesare, a ciò che è umano, terreno, e qualcosa a Dio, a
ciò che è spirituale), bensì una vita unificata, che trovando nel riferimento a
Lui il suo senso, diventa capace di realizzare in pienezza il nostro essere
umano-spirituale, capace così di esprimere il meglio. Capace di realizzare
quell’immagine che da sempre portiamo impressa, non su moneta di metallo, ma
nella carne viva dei nostri cuori, quell’immagine e somiglianza nella quale
siamo stati creati e che attende di essere pienamente realizzata.
Questa la grande missione della Chiesa:
portare il singolo uomo e l’umanità intera a riconoscere in Dio Colui che è il
tutto, sorgente della vita e dell’amore, il Padre che in Gesù ci dona lo
Spirito che ci trasforma a immagine dell’unico Figlio e ci rende tutti figli
amati.
A questa missione siamo tutti chiamati: a
partire dal nostro Battesimo siamo stati inseriti in Gesù e abbiamo ricevuto lo
Spirito del Padre e del Figlio che ci fa consapevoli di chi siamo e da dove
veniamo. Da quel giorno nostro unico riferimento è il Dio di Gesù, il nostro
tutto e a Lui dobbiamo “rendere” ogni
cosa. Vivere è “rendere a Dio” questa
vita che ci ha donato realizzandola a immagine di Gesù, vivendola nell’amore
che tutti ci abita e ci unisce.
Come ricorda Paolo per questo siamo stati
scelti: “siete stati scelti da lui. Il
nostro Vangelo non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche
con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione”. Mossi da
questo Spirito, illuminati dal vangelo della gioia ora siamo i missionari che
continuano nel tempo e nella storia la bella notizia che Dio è il tutto perché
è la vita, è l’amore, è la sorgente e il fine di tutto.
Missione che dobbiamo vivere, come ricorda
ancora Paolo “nell’operosità della vostra
fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel
Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro”.
E’ l’esempio che abbiamo davanti a noi dai
tanti fratelli e sorelle che in territori di prima missione testimoniano questa
operosità,fatica e fermezza.
E’ l’esempio che brilla nei santi e oggi in
particolare ci viene proposta nella figura di papa Paolo VI oggi riconosciuto
dalla chiesa tutta beato. E’ stato definito primo papa missionario e
sull’esempio dell’apostolo di cui portava il nome ha iniziato a viaggiare nel
mondo aprendo così le porte della chiesa alle periferie dell’umanità.
Oggi papa Francesco, in questa giornata
missionaria mondiale, ci invita a fare altrettanto; ad essere chiesa in uscita,
capaci tutti, in quanto battezzati di portare Gesù e il vangelo della gioia
ovunque. Lo facciamo quando con la nostra vita testimoniamo che Dio è veramente
il nostro tutto, il primo, il più importante e a lui sappiamo rendere, donare
la nostra vita come atto di amore e di servizio per il bene di tutti, senza
diventare schiavi del potere e dell’avere.
Così ci invita a pregare papa Francesco: A
Maria, modello di evangelizzazione umile e gioiosa, rivolgiamo la nostra
preghiera, perché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i
popoli e renda possibile la nascita di un nuovo mondo.
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