Info

venerdì 7 marzo 2025

"Camminiamo insieme nella speranza" - Prima domenica di Quaresima

Quest’anno – anno del Giubileo – la Quaresima siamo chiamati a viverla come “cammino insieme nella speranza”, così ci suggerisce papa Francesco nel suo messaggio e il nostro vescovo Oscar.

I quaranta giorni – da cui deriva la parola quaresima - sono numero che richiama il cammino di quarant’anni del popolo di Israele nel deserto, ricordato e descritto nella prima lettura. Quel popolo che esce da una dura schiavitù e, trasformato dall’esperienza del deserto, giunge alla terra promessa, capace di riconoscere che è Dio, e solo Lui la sua speranza, la guida che porta a libertà e a vita nuova.

Anche Gesù nel deserto per quaranta giorni vive il suo cammino di lotta contro la tentazione. Lui, come noi, soffrì il morso di tutte le tentazioni. Essa in particolare si manifesta come invito a lasciare la via indicata dal Padre per seguire altre strade più facili e mondane. E’ proprio nel suo affidarsi al Padre, alla sua Parola e sostenuto e guidato dallo Spirito Santo, come ricorda l’inizio del vangelo, che ne esce vincitore.

Ecco che ora il prezioso tempo dei quaranta giorni si apre anche per noi, per le nostre comunità, quale occasione per affrontare la tentazione che ci spinge a fare a meno di Dio e rimettere Lui, nostra unica speranza, al centro della nostra vita.

Il maligno ci inganna facendoci credere che tutta la nostra vita consista in un po’ di pane, un po’ di potere e un po’ di successo che possiamo ottenere contando su noi stessi. Quanto è forte anche per noi e per le nostre comunità la tentazione di metterci al centro di tutto; di mettere i nostri calcoli, il nostro benessere, il nostro affermarci come scopo primo del nostro vivere. Così facendo Dio viene messo da parte; se non proprio del tutto - perché il suo nome torna sulle nostre labbra, nei nostri riti e gesti di culto - tuttavia, Lui resta fuori dal nostro cuore e dalla nostra vita.

Tuttavia, come Gesù, anche noi possiamo vincere questa tentazione, non certo per la nostra bravura ma sotto l’azione e la guida del suo Spirito che solo può trasformare e rinnovare cuore e vita.

Occorre lasciare che sia Dio a guidare la vita di ciascuno e della chiesa e non noi. Ecco cosa concretamente significa rimettere Dio al centro, dare a Dio il primo posto. E’ il vero impegno del cammino quaresimale.

Questo significa dare il primato alla sua Parola. Così ha fatto Gesù per vincere le tentazioni: “Sta scritto”, così risponde alla voce del maligno, riferendosi appunto alla Parola di Dio. Così siamo chiamati a fare tutti noi perché questo significa vivere nella fede in Lui. Quella fede di cui parla Paolo nella seconda lettura. “Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la parola della fede”. 

Fede è fare spazio a questa Parola in tutta la nostra vita. ‘Bocca e cuore’: cioè in tutto noi stessi. Una fede da vivere non solo con la bocca, esteriormente, ma soprattutto con il cuore, interiormente, con il coinvolgimento di tutta la nostra vita che si fa così testimonianza del nostro credere in Lui.

Una fede che si fonda su una certezza: “Gesù è il Signore”, non altri, non altro. Solo Lui deve stare al centro del nostro vivere di ogni giorno. Solo con Lui e con la sua Parola possiamo vincere la tentazione di mettere noi stessi al centro del mondo.

Ecco il cammino che insieme nella speranza siamo invitati a intraprendere. Cammino che ci porta a fondare la nostra vita su Cristo Gesù, che nella sua Pasqua apre anche a noi il passaggio verso una speranza certa: la vita nuova dei figli di Dio che già con il Battesimo è iniziata per ciascuno di noi. Vita nuova che attende di essere ancora una volta rinnovata (lo faremo nella veglia pasquale), attuata e testimoniata nell’oggi così da essere insieme coraggiosi e perseveranti portatori di speranza dentro questa nostra storia disperata e continuamente tentata di fare a meno di Dio.

E allora, buon cammino insieme nella speranza.

 


 

mercoledì 5 marzo 2025

sabato 1 marzo 2025

"E' tempo di interiorità" - VIII domenica del tempo ordinario

 

Si avvicina la primavera e gli alberi iniziano a mettere gemme e fiori in vista di portare frutti nella prossima estate.

E’ questa l’immagine che oggi la Parola di Dio ripropone più volte. Gesù ci ricorda appunto che come gli alberi anche noi siamo chiamati, con la nostra vita, a portare frutti buoni.

E i frutti buoni nascono dal tesoro del cuore, dall’interno: “l’uomo buono dal tesoro del suo cuore trae fuori il bene”. Tuttavia Gesù ci avverte che permane la possibilità che il cuore sia malato così da portarci a produrre sì frutti ma cattivi. Un avvertimento da non lasciar cadere a vuoto.

Quale può essere questa malattia che incattivisce il cuore?

Ad esempio un linguaggio smodato e superficiale, come ci ricorda la prima lettura tutta incentrata sul tema del come parlare, può fare del male e nel contempo rivelare quello che siamo e abbiamo dentro perché la parola rivela i pensieri del cuore”. “la bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.

I detti di Gesù nel vangelo lasciano intuire ancor più chiaramente ciò che rende l’animo umano cattivo: presunzione e giudizio.

La presunzione di “vederci bene”, di sapere già tutto, di essere già bravi abbastanza…; ma “può forse un cieco guidare un altro cieco? Un discepolo non è più del maestro”. Questa malattia porta a “cadere in un fosso” e non da soli ma anche con chi abbiamo la presunzione appunto di voler aiutare e guidare.

Il giudizio poi è la seconda malattia che rende cattivo il cuore facendoci portare frutti cattivi. “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Giudicare gli altri è un maledetto vizio che è difficile vincere. Non c’è come il giudicare le persone che genera cattiveria, discriminazioni, lotte, astio, odio.

Tutti frutti cattivi che poi spuntano sull’albero della nostra vita se il nostro cuore si ammala di presunzione e del vizio di giudicare o se da esso esce un linguaggio velenoso. Questo maledetto pungiglione del male ci segna e ci rende incapaci di fecondità positiva.

Che fare allora? Rassegnarci? Accontentarci? Scoraggiarci? No. C’è una via. Paolo nella seconda lettura la annuncia. “Dov’è o morte il tuo pungiglione? Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. E poi continua: “Perciò rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore”.

Gesù è colui che solo può vincere quel male che si nasconde nel cuore dell’uomo e donarci quella linfa vitale che ci rigenera e ci rende capaci di diventare alberi buoni portatori fecondi di ogni bene.

Attingiamo da Lui questa linfa: essa ci è data attraverso la sua Parola che è sempre linguaggio creatrice e fecondo perché abitata dal Suo Spirito di vita.

Il cammino quaresimale, che a giorni inizieremo, sia occasione favorevole per attingere da Gesù e per portare con Lui e grazie a Lui frutti di vita nuova, per trasformare il nostro cuore e renderlo sempre più simile al suo. Ci aiuterà ogni giorno la Parola di Dio che siamo chiamati ad ascoltare con maggior attenzione e anche gli incontri domenicali sull’enciclica di papa Francesco “Dilexit nos” – “Ci ha amati”.

Camminiamo con Gesù, cuore a cuore, sapendo che Lui solo può guarire il nostro linguaggio, i nostri gesti, i nostri pensieri e il nostro cuore e renderci così fecondi di bene.

 


sabato 22 febbraio 2025

"I passi dell'Amore" - VII domenica del tempo ordinario

 

Abbiamo ascoltato una Parola che chiede, più che di essere archiviata come ‘modi di dire eccessivi’, di essere assimilata e meditata; più che di essere spiegata chiede di essere vissuta. Convinti che Gesù non ci chiede l’impossibile, crediamo che quanto ci dice sia realizzabile, a partire dal fatto che Lui per primo ha fatto quanto ci ha detto.

Amare ed essere amati è quanto ogni creatura desidera. Tuttavia sperimentiamo quanta fatica a vivere relazioni autentiche di amore. E’ un cammino da compiere, passo dopo passo. Paolo nella seconda lettura lo descrive come passaggio da: “uomo terrestre, animale a uomo celeste, spirituale” a immagine di Cristo.  E noi per grazia di Dio siamo stati resi da terrestri a celesti, da animali a spirituali, grazie all’azione del Suo Spirito d’amore, grazie alla Sua misericordia infinita.

Quali passi compiere allora per diventare sempre più capaci di un amore autentico?

Da sempre filosofie e religioni hanno indicato una regola d’oro per imparare ad amare; essa risuona così: “Non fare agli altri quello che vuoi non sia fatto a te". E’ indubbiamente un primo passo per relazioni positive, tuttavia la sua espressione negativa (non fare) rischia di chiuderci nel nostro io, isolandoci dagli altri e rendendoci passivi: non ho fatto niente di male, non ho ucciso, non ho rubato, sono tranquillo con la mia coscienza.

Gesù nella sua predicazione riprende questa regola d’oro ma la capovolge: dal negativo al positivo: “come volete gli uomini facciano a voi, così anche voi fatelo a loro”. E’ un passo in più che ci è suggerito ma anche questo passo rischia di farci cadere nella ricerca interessata dell’altro, nel fare calcolando i benefici che posso ottenere; è un muoversi verso l’altro spinti tuttavia da interesse personale.

Ecco allora che Gesù apre davanti ai discepoli un ulteriore passo: amatevi “come io amo voi”, senza misura, gratuitamente, disinteressatamente, senza calcolo.

Gesù ci propone di vivere come Lui, amare come Lui se siamo suoi discepoli, se in Lui crediamo. Ci invita a fare come ha fatto Lui: che ha amato i nemici, ha fatto del bene e chi lo odiava, ha benedetto chi lo malediceva, ha pregato per i coloro che lo trattavano male. Ha offerto l’altra guancia, ha dato, donato a tutti gratuitamente. Dimostrando che amare così non è debolezza, ma forza che spiazza l’altro costringendolo a deporre ogni resistenza.

“Come io, anche voi”. Così amatevi.

Questa la novità che supera totalmente le nostre cosiddette ‘giuste misure’, il nostro non andare oltre il dovuto.

“Se amate quelli che vi amano cosa fate di straordinario?”. E’ umano fare così. Lo fanno tutti, lo fanno anche solo per interesse, per comodità.

Al discepolo è chiesto il passo in più, la novità appunto di un amore che non ha misura, se non quella di Gesù stesso. Siamo chiamati ad amare in modo nuovo, oltre l’umano, perché così “sarete figli dell’Altissimo”, “misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”. E’ la novità del vangelo.

Quanto è di estrema attualità e urgenza questo messaggio. Come cristiani pare che abbiamo relegato queste parole del vangelo come fossero ‘modi di dire’, ‘generiche e esagerate indicazioni’, mentre sono il cuore del nostro essere figli di Dio, discepoli di Cristo. Tradire queste parole o anche solo minimizzarle è tradire Lui. Certo non è facile metterle in pratica. Ma finché le riteniamo semplici bonarie indicazioni non sentiremo nemmeno l’urgenza di tentare di viverle.

Oggi in particolare, in un clima sociale sempre più segnato da tensioni, conflitti, odio verso tutto e tutti, dove l’altro, soprattutto se diverso da me, è subito indicato come nemico, si pone urgente per noi cristiani, per le nostre comunità, offrire una testimonianza nuova, incisiva, forte, di relazioni diverse fondate su un amore vero, un amore ‘divino’.

Chiediamo allora al Padre che ci doni un cuore nuovo, capace di arrivare, passo dopo passo, a quell’amore che Gesù ha vissuto e ci ha donato e comandato: “come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.”


sabato 15 febbraio 2025

"Di chi ti fidi?" - Sesta domenica del tempo ordinario

 

Le Beatitudini risuonano nei vangeli come proposta di vita per il discepolo, per la comunità e direi per tutta la folla che assediava Gesù, così come racconta il brano di oggi.

Le beatitudini non sono parole consolatorie e utopiche. Luca – a differenza di Matteo che nel suo vangelo ne presenta otto – vuole rimarcare come le beatitudini siano fortemente alternative e controcorrente alla logica del mondo. Per questo oppone il “beati” al “guai” per distinguere modi diversi di vivere. Quattro beatitudini provocatorie che spingono a diventare segni di contraddizione proprio con uno stile di vita che sa porre in Dio la sua fiducia totale e non nel proprio io.

Abbiamo ascoltato Geremia nella prima lettura “Maletto l’uomo… Benedetto l’uomo…”. Parole riprese nella preghiera del salmo: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia”.

Questa è la via che Gesù indica ai suoi discepoli: confida nel Signore e non nella logica umana. Il brano delle beatitudini di Luca vuole svegliare i discepoli dal pericoloso inganno dell’egoismo che appunto la logica del mondo propone.

Il senso profondo dell’aver fede consiste nel fidarci totalmente del Signore e non degli idoli che ingannano e illudono.

E oggi sono tanti, ogni giorno, i dispensatori di felicità, proponendola e offrendola nel successo e nell’affermazione di sé, nel facile guadagno, nella soluzione ad ogni problema.

L’idolo del denaro, del piacere, dello star bene, del pensare a sé oscura spesso anche il nostro sguardo e ci tenta, illudendoci che sia proprio lì la strada per la felicità.

Certo che siamo chiamati alla felicità e che è giusto cercarla, raggiungerla, tuttavia noi sappiamo che solo Dio può donarcela, nessun altro. Essa ci è data nella misura in cui ci mettiamo dalla parte di Dio, di ciò che non è effimero, apparente, ingannevole. Lì sta di casa la felicità autentica e duratura che è data a coloro che fidandosi di Dio sanno aprirsi a Lui e al prossimo. E tu di chi ti fidi?

E’ un testo allora che ci provoca, ci interroga, ci chiama a una verifica e nel contempo ci offre già una risposta/giudizio: beati/guai. Felicità o fallimento sono il risultato di come scegliamo di vivere, sono il frutto di dove è riposta la nostra fiducia/speranza.

Cosa vuol dire confidare in Dio? Significa semplicemente fidarsi che, in un modo o nell’altro ce la manda buona? No certo, sarebbe assurdo questo atteggiamento.

Il Dio in cui confida il discepolo, il cristiano, è Colui che Gesù stesso ci ha rivelato come Padre e si prende cura di noi così come si è preso cura del Suo Figlio Gesù e non lo ha lasciato in potere del male e della morte. Gesù infatti è stato il povero, l’affamato, l’afflitto, il perseguitato fino alla morte, ma non è stato abbandonato dal Padre in cui ha riposto tutta la sua fiducia. Il segno di questa vicinanza è stata la sua risurrezione.

Fidarci di Dio è credere che Lui è capace di dare vita a noi come l’ha data al figlio. Per questo, Paolo nella seconda lettura insiste dicendo “se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati… ma Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Con Lui anche noi possiamo confidare nella vita nuova, nella beatitudine che ci è data, perché Gesù è vivo, Lui la primizia di tutti noi.

Concretamente questo significa oggi per noi non temere di fare scelte cha vanno al contrario della mentalità corrente. In ogni ambito: sia riguardo all’accoglienza e al rispetto della vita, sia nell’uso del denaro e dei beni, capaci di essenzialità e semplicità, di condivisione e di solidarietà; sia riguardo l’impegno nella comunità e nella società di cui si è parte senza rinchiudersi nel privato ma collaborando per il bene comune e così via…

Ecco allora che le Beatitudini non sono un buon ‘suggerimento’ ma indicazione precisa del nostro seguire Gesù. Su di esse dobbiamo conformarci, in esse rispecchiarci (singoli e comunità) perché solo attraverso la loro attuazione il Regno dei cieli matura e cresce in mezzo a noi.