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sabato 24 febbraio 2024

"Montagne e nubi" - Seconda domenica di Quaresima

Salire su un monte è sempre fatica. Non importa la sua altezza geografica. Ogni monte chiede fatica. E la montagna è forte simbologia della vita. Sono tante le montagne da affrontare lungo il cammino della vita. Non hanno altezza geografica, ma sono a volte assai ripide e scivolose. Sono le montagne della prova, del dolore, delle ingiustizie, delle pene e delle fatiche, delle delusioni e delle incomprensioni, della morte.
Davanti a queste salite ci manca spesso il fiato e sovente ci troviamo immersi nella nube oscura, nelle nebbie dell’incomprensione.
Come fu per Abramo davanti all’insensata, assurda (almeno all’apparenza) richiesta di Dio di immolare il suo unico figlio. Come è possibile? Come può venire una discendenza da me se questo mio unico figlio debbo sacrificarlo a Lui? Ma anche se non capisce, non si ferma, si fida e sale il monte Mòria.
Come per i discepoli, amareggiati dall’annuncio di sofferenza e di morte che Gesù, da poco, aveva loro fatto. Salgono con Lui, delusi e tristi sul monte Tabor.
Tuttavia se si ha il coraggio di salire e si fa la fatica di affrontare la prova, l’incomprensione, ecco che le nebbie si diradano e si apre uno spiraglio di luce. Come quando si arriva alla cima, la fatica è subito dimenticata davanti allo spettacolo che ti affascina e ti conquista.
Una luce si apre per Abramo, un intervento di Dio che apre a speranza, che parla di vita e non di morte e rinnova la promessa.
Una luce si apre ai tre discepoli che sul monte vengono abbagliati e sorpresi dal volto luminoso di Gesù, che anticipa il suo destino: non di morte, ma di vita, di trasfigurazione.
Una luce che fa capire che per Dio l’orizzonte, la meta è la vita, la bellezza, non la prova, non la morte. Queste sono solo passaggio, spesso dovuto e inevitabile, ma solo passaggio.
La vita è cammino e continuo passaggio verso una bellezza luminosa che possiamo solo appena intuire, ma che tuttavia già brilla dentro ciascuno di noi.
E proprio dentro di noi sta la forza, la capacità per questo continuo “passare”, camminare, affrontare montagne e prove.
Paolo – nella seconda lettura – lo ricorda: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”. Lui che ci ha amati nel suo Figlio ci offre la mano per salire le nostre montagne, affrontare le nostre prove e fatiche.
Ma più ancora c’è una Voce che proprio nel mezzo della nube ci indica la strada: “Ascoltatelo”. Nell’ascolto di Gesù noi possiamo trovare l’indicazione giusta per muovere i nostri passi, per passare sempre oltre in una continua trasfigurazione.
E’ l’esempio che ci viene da Abramo: nonostante l’assurdità di quanto è chiamato a vivere, lui ascolta, obbedisce (ascoltare-audire trova la sua risonanza nel latino obaudire-obbedire: quell’obbedire che consiste nel credere). E questo ascoltare con fiducia, nel cuore, anche se gli occhi vedono solo buio, lo porta alla luce, al compimento di ogni promessa.
Anche i discepoli dal monte Tabor, anche noi dai monti che la vita ci chiama ad affrontare, viene l’invito: “Ascoltatelo”.
Ancora una volta questo invito a lasciarci guidare dalla Parola del Figlio amato. Non più Mosè e Elia, non più cioè l’antica legge e i profeti sono la guida, ma Gesù stesso, la Parola fatta carne. Solo Lui resta: “non videro più nessuno se non Gesù solo”. Resta solo Lui come unico riferimento. Uomo come noi chiamato a passare attraverso il monte della sofferenza e della croce. Dio con noi e per noi che apre tuttavia spiragli di luce, ci fa passare, con lui, per giungere alla risurrezione, alla piena trasfigurazione della nostra vita, per realizzare in noi quella bellezza luminosa che è anticipata sul suo volto splendente.
Cosa decidiamo di fare? Fermarci davanti ad ogni montagna e prova e chiuderci nella tristezza e nell’angoscia, oppure accettare la sfida, ascoltare la Sua Parola, fidarci di Lui e così tendere alla trasfigurazione, alla bellezza, alla vita?
A ciascuno di noi la scelta.


sabato 17 febbraio 2024

"Tra deserto e arcobaleno" - Prima domenica di Quaresima

 

Quaresima: un tempo di quaranta giorni.

Un tempo da vivere per…? Ce lo suggerisce la Parola ascoltata.

La Quaresima è tempo per saper affrontare la vita. La vita non è una tranquilla passeggiata ma il campo della nostra responsabilità, dove attraverso le nostre scelte decidiamo di noi stessi e degli altri. E questa vita spesso è come un deserto dove si incontrano angeli e fiere, dove siamo chiamati a stare immersi con coraggio e discernimento tra bene e male. E’ quanto anche Gesù ha sperimentato e vissuto e che il racconto del vangelo oggi mette in evidenza: nel deserto, tra fiere e angeli, fu tentato, lottò e vinse. La Quaresima allora diventa tempo privilegiato per guardare alla nostra vita, renderla capace di affrontare le prove, per compiere le scelte più vere. Per fare questo occorre vivere  la vita come sfida; ma non con la mentalità del super eroe che si crede capace di affrontare e risolvere tutto. Bensì con l’umiltà di chi riconosce di essere creatura fragile, di essere mancante, peccatore, di essere cenere (con questo gesto di imposizione sul nostro capo della cenere abbiamo iniziato il cammino quaresimale). Cenere-polvere tuttavia abitata dal soffio dello Spirito. La nostra capacità e forza ci vengono da Lui e non da noi. E’ lo “Spirito che spinge Gesù nel deserto per essere tentato”; ed è lo Spirito di Dio che lo rende capace di vincere, di superare la prova, di compiere le scelte vere.

La Quaresima diventa allora tempo per rafforzare l’alleanza, il patto di amore con Dio stesso. Dio è per sempre nostro alleato, come ci ha ricordato la prima lettura. La suggestiva immagine dell’arcobaleno che splende, dopo il diluvio, quale segno di un’alleanza di amore tra Dio e l’umanità, ci è presentata nella prima lettura di oggi. Un’immagine bella che ci ricorda come tutta l’umanità, tutti noi siamo dentro questo patto d’amore che Dio ci svela e che Lui stesso si impegna a rispettare: la terra non sarà più distrutta. Questo patto, come ci ricorda l’apostolo Pietro, nella seconda lettura, per noi si è compiuto attraverso il nostro Battesimo. Lì siamo stati immersi nella vita stessa di Dio attraverso le acque del Battesimo, definitiva alleanza d’amore che ci rende figli amati. E’ la vita nuova, la risurrezione già avvenuta, la nostra Pasqua. Da quel giorno lo Spirito Santo ci abita e ci guida sempre per affrontare il cammino della vita. Nel Battesimo, ricorda Pietro, siamo stati resi partecipi della vittoria di Cristo “morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio”. Dunque la sua presenza ci accompagna e sostiene.

La Quaresima diventa così anche tempo per camminare con coraggio nella vita nuova dei figli di Dio. Due le indicazioni per questo cammino: “Convertitevi” e “Credete”. Rinuncia alla tua mentalità e credi, aderisci completamente con il tuo spirito, con il tuo cuore al vangelo. Nel Vangelo è tracciata la strada per la nostra felicità e realizzazione. Occorre riempire la mente e il cuore di Vangelo, di bella notizia, di Parola vera, la Parola di Dio. E viverla, attuarla, ogni giorno. Solo così si metterà ordine nella nostra mente e pace nel nostro cuore. Solo così la tentazione è affrontata e superata. Solo così ci si realizza e si diventa capaci di costruire con gli altri nuove relazioni fraterne e solidali.  

Che la Quaresima sia occasione per questo lavoro inrteriore: svuotare la mente di pensieri inutili, falsi, ingannatori e fare spazio alla Parola di Dio che è luce, verità, gioia. Ad essa aderiamo giorno dopo giorno, per un cammino verso una Pasqua di novità. "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino": Lui è qui dentro i nostri deserti con il soffio del suo Spirito e la luce del suo vangelo per trasformare ogni deserto in giardino.

 

martedì 13 febbraio 2024

sabato 10 febbraio 2024

"La relazione che salva" - Sesta domenica del tempo ordinario

 

Per capire la novità che l’episodio del vangelo di oggi annuncia occorre conoscere come ci si poneva nei confronti dei lebbrosi al tempo di Gesù. La prima lettura ricorda che queste persone erano considerate impure: si pensava che la lebbra fosse conseguenza del peccato, castigo di Dio, e quindi queste persone venivano allontanate, segregate; non potevano avvicinare alcuno né potevano essere avvicinate, pena il contagio non solo fisico (così si pensava) ma soprattutto morale: chi li toccava si contagiava, diventava di fatto lui pure emarginato. Insomma i lebbrosi erano totalmente esclusi dalla vita sociale e religiosa del tempo.

Ed ecco la novità introdotta da Gesù. Lui non si preoccupa della vicinanza del lebbroso, anzi gli si fa incontro “ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò”. Di fatto non c’era alcun bisogno che lo toccasse; bastava, come già aveva fatto altrove, una sua parola; e invece vuole toccare, anche se questo era proibito dalla Legge. Vuole farsi vicino. Vuole concretamente manifestare che non ci sono barriere per Dio rivelando così il Suo vero volto: relazione. Dio è relazione, relazione d’amore che risana. “Non è bene che l’uomo sia solo”: sono le prime parole che la Bibbia mette sulla bocca di Dio creatore. Sono le parole scelte da papa Francesco nel suo messaggio per la giornata del malato he oggi, memoria dell’apparizione della Madonna a Lourdes, la chiesa celebra. Cito dal messaggio: ”Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria”. Ecco la grande novità che non può essere taciuta. Ecco il manifestarsi dell’autentico volto di Dio. Lui non esclude nessuno; nessuno deve essere considerato impuro davanti a Lui. Ognuno per lui è figlio anche se segnato dal male, dal peccato. A lui si avvicina si muove a compassione, per tendere la mano, toccare e reintegrare in una relazione d’amore. Nel Vangelo ogni volta che Gesù si commuove, tocca. Tocca l’intoccabile, toccando ama, amando lo guarisce.

E’ questa la buona notizia che oggi dobbiamo annunciare e manifestare con i nostri gesti, le nostre azioni: “ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò”.

Quel lebbroso innominato e sconosciuto altro non è che il simbolo di tutti coloro che, ancor oggi, vengono emarginati, esclusi nella società e a volte anche nella stessa chiesa.

Possiamo dirci cristiani atteggiandoci in questo modo?

Essere cristiani è diventare “imitatori di Cristo” come ci ricorda Paolo nella seconda lettura, imparando a fare tutto “per la gloria di Dio” e non secondo le nostre misure e regole umane.

Imitare Cristo è credere che la relazione è la prima medicina, è la strada che apre a una vita carica di senso anche nei momenti del dolore. E’ fare come ha fatto Lui: “ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò”.

In questo cambiamento d’epoca che viviamo, - scrive ancora papa Francesco - specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.

Prendere il vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo, genera speranza e fecondità, apre strade di pace. La forza della relazione che il vangelo annuncia mette in circolo amore gratuito capace di risanare ferite e accogliere tutti senza barriere. Diventiamo sempre più uomini e donne capaci di coltivare e custodire relazioni autentiche e feconde.

 

sabato 3 febbraio 2024

"La forza della vita ci sorprende" - Quinta domenica del tempo ordinario

 

Gesù si immerge totalmente nella vita degli uomini: è nella sinagoga, va nella casa di Pietro, sta presso la porta della città, va in ogni luogo, ovunque c’è vita.

Questa sua immersione ha un unico scopo: annunciare che Dio, il Padre, ama la vita, ogni vita, ed è qui accanto all’uomo che vive con tutte le sue fatiche.

Certo, perché la vita, come già urlava Giobbe (prima lettura), è fatica, prova, precarietà. Lo sperimentiamo ogni giorno. La fatica di vivere è evidente attorno a noi: nei giovani disorientati, negli anziani provati dalla solitudine, nelle famiglie segnate da divisioni e liti, nei malati senza speranza, in coloro che sono provati da difficoltà economiche e dalla mancanza di lavoro. E poi quelli che non hanno cibo, non hanno patria, non hanno nulla, vivono esposti a violenze e guerre assurde.

La Parola oggi ci parla di un Dio che in Gesù si immerge in questa vita. Per amarla. Per sostenerla. Perché abbiamo a comprenderne tutta la sua dignità.

E’ un Gesù che tocca, parla, prende le mani. Non fa discorsi; non dice: ‘poverino sopporta, rassegnati, offri la tua sofferenza’. No: parla con i gesti. Con i gesti accompagna l’annuncio che è possibile vivere una vita buona, dignitosa, trovare vita in pienezza.

Non cerchiamo di fronte al dolore risposte che non ci sono, ma cerchiamo i gesti di Gesù. Lui ascolta, si avvicina, si accosta, e prende per mano. Mano nella mano: così davanti alla suocera di Pietro. E la rialza. È quello che fa il Cristo: per tutta la giornata a Cafarnao, immerso nella vita, combatte la sofferenza e il male e ci aiuta a riconoscere che ogni vita, anche quella sofferente, piccola, indifesa, è preziosa davanti a Dio. Ogni vita ha bisogno di una mano che accompagni, risollevi, accarezzi, aiuti. Perché la vita è sacra, sempre. Dal suo concepimento al suo naturale fine. Lo sappiamo bene e la scienza lo conferma: già l’embrione umano è vita. Volerlo eliminare con l’aborto in nome di una libertà malintesa è omicidio. Questa è la base di partenza se si vuole la pace: riconoscere il valore della vita sempre. Altrimenti si arriverà a giustificare ogni aggressione, uccisione e violenza. Della vita “non ne siamo padroni né possiamo mai diventarlo; non è ragionevole e non è giusto, in nessuna occasione e con nessuna motivazione” – scrivono i nostri Vescovi per questa giornata per la vita che oggi celebriamo.

Gesù poi trova anche il tempo per un’altra immersione. Marco ci dice che “si ritirò in un luogo deserto e la pregava”. E’ l’immersione nella preghiera, nella relazione d’amore col Padre. Senza questa relazione d’amore con Dio non può esserci vera relazione d’amore con i fratelli. Senza l’immersione nella vita di Dio non può esserci autentica immersione nella vita dell’umanità. Se non circola amore nelle nostre vene, possiamo si sopravvivere, ma non vivere in pienezza.  Senza guardare il volto del Padre, saremo incapaci di riconoscere il valore della vita – nostra e di ogni creatura che ci circonda -, di vedere in ogni volto il Suo, la Sua Presenza di Vita. L’amore per la vita matura nella relazione d’amore con Dio, sorgente della vita stessa. E da Lui ci viene la forza, la capacità di affrontare con coraggio la vita anche nei momenti più difficili. Ecco dove Gesù attinge la sua forza, la pazienza, la dedizione, la capacità di spendersi, di servire.

“Guai a me se non annuncio il Vangelo!” esclama Paolo (2 lettura). Guai se non trasmetto, con le parole e i gesti, quella bella notizia che la vita è il dono più grande, perché essa è la vita stessa di Dio ed è da Lui amata, sostenuta, accolta e destinata a trovare, grazie a Lui, la sua pienezza e bellezza definitiva.

Il Vangelo oggi ci invita ad accompagnarci, gli uni gli altri, a guarirci dalle nostre ferite, a darci la mano e ad alzarci in piedi per servire ogni fratello e sorella che condivide accanto a noi il cammino della vita. Papa Francesco ricorda che «il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili» (Discorso all’associazione Scienza & Vita, 30 maggio 2015).