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sabato 28 novembre 2020

Lui accorcia le distanze...e tu fai attenzione! - I domenica di AVVENTO

Sembra assurdo ma il problema di questi giorni, su stampa e mass media, è il Natale, il cenone, le feste, e anche il quando far nascere Gesù… “Fanno nascere Gesù prematuro”. Così scrive in prima pagina un quotidiano sulla questione della messa a mezzanotte.

Veramente Gesù è già nato, una volta per tutte! Se siamo ridotti così è perché ce ne siamo dimenticati ed è segno del livello assai basso di maturità cristiana.

Prepararsi al Natale, attraverso questo tempo di Avvento che oggi iniziamo non è tanto prepararci alla sua nascita ma piuttosto il riconoscere la sua venuta e la sua presenza in mezzo a noi. Ricordiamo che è venuto un giorno nascendo tra noi, per non dimenticarci che viene oggi, ogni giorno, e verrà sempre fino alla fine dei tempi, perché Egli è il Dio che viene, il Dio che si fa presente, il Dio che “squarcia i cieli e scende” in mezzo a noi.

Questi cieli oscuri, di una notte che ci sembra soffocare e non finire mai, sono squarciati dalla Sua venuta, oggi e sempre.

Il Vangelo oggi racconta di una notte, delle sue faticose tappe: «non sapete quando arriverà, se alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, o al mattino»… Non sappiamo quando, ma siamo certi che viene ancora oggi, perché è venuto un giorno per essere sempre con noi tutti i giorni fino al fine del mondo!

E proprio quando è notte, dentro il nostro buio, viene come luce per ridare luce alla nostra vita, per ridare speranza ai nostri giorni, per ridare forza ai nostri passi, per “arricchirci di tutti i doni” – come ricorda Paolo – allo scopo di “renderci saldi sino alla fine”.

Avvento dunque è ben più che preparazione al Natale; è assumere uno stile di vita che ci porti sempre a riconoscere i segni di questa sua venuta, ad accoglierla, fino al punto di riconoscere il suo volto: “fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (salmo 79).

Avvento è allenarci a vivere in modo tale che “non ci trovi addormentati”. E di questo modo di vivere Gesù stesso ci offre le indicazioni: “Fate attenzione, vegliate!”.

Fare attenzione: significa vivere con consapevolezza e non con superficialità. Capaci di scorgere e riconoscere i segni di un Dio vicino. Attenzione ad ogni cosa, alla parola come al silenzio, al gesto come allo sguardo: i segni della presenza di Dio passano proprio attraverso la nostra capacità di prenderci cura della vita in tutte le sue espressioni. Se imparo a vivere con attenzione, il mondo si popola di infinite presenze di Dio e la mia e la nostra notte si accende di tante luci di speranza.

Vegliate: è più che non dormire, è mettersi in ascolto, è cercare, è saper leggere tra le righe. Veglia chi vive ogni avvenimento rimanendo ancorato alla realtà con sapienza, senza paure, ma con l’infinita meraviglia per quello che accade. “Vegliate e custodite tutti i germogli, tutto ciò che nasce e spunta porta una carezza e una sillaba di Dio”. (E.Ronchi) Per vegliare è necessario non addormentarsi proprio come chi è di guardia alla porta. La notte la passa sulla soglia, senza stancarsi di attendere e di riconoscere i passi del padrone di casa che ritorna.

Chi sa fare attenzione e vegliare diventa capace di riconoscere, di accogliere, quel Dio che, venuto in Gesù, continuamente viene, ci visita, ci accompagna come Padre nel buio delle nostre notti. E come Padre plasma la nostra vita per renderla sempre più a sua immagine, vita di figli amati, come annuncia il profeta Isaia: “Signore , tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo pera delle tue mani”.

L’avvento sia da tutti noi vissuto come cammino di vigilanza, ridando ‘spessore’ alla nostra vita di cristiani: preghiera, ascolto della Parola, carità fraterna, segnino le nostre giornate.

Allora faremo la felice esperienza di scoprire che già oggi è Natale, ogni giorno, se Gesù lo accogliamo in noi e in mezzo a noi, nelle nostre case, nelle nostre comunità.

Sia questa un tempo di speranza e di ripartenza per un cammino che ci renda capaci di attraversare le nostre notti di paura e di dolore verso quella luce che non smette di splendere per chi la sa riconoscere ed accogliere.

sabato 21 novembre 2020

"Un Regno per una storia nuova" - Gesù, re e signore dell'universo.

Inizierei col fare subito chiarezza sui termini: regno di Dio o regno dei cieli. Di che si tratta? Non di un sogno futuro, di un’utopia, bensì della nuova società che Dio vuole realizzare qui su questa terra. Regno ci parla di terra, di una realtà terrena, umana, di una modalità di vivere in società. Cielo ci parla di Dio. Ebbene terra e cielo sono un tutt’uno: è l’annuncio che viene dalla Bibbia. Dio è colui che scende dal cielo e viene sulla terra, viene in mezzo al suo popolo, all’umanità. Questo diventa realtà in Gesù, il Dio fatto uomo, l’uomo-Dio, venuto non solo a rivelarci il volto di Dio ma anche a dare inizio al suo regno, cioè a quel modo nuovo di vivere insieme, di costruire insieme le relazioni, la vita sociale, l’umanità. Gesù annuncia, fin dall’inizio della sua missione che “il regno dei cieli è vicino”, nella parabole ne illustra il dinamismo, le modalità, con la sua vita ne manifesta i contenuti e con la sua morte e risurrezione ci svela che questo regno non avrà fine e si compirà in pienezza oltre questa vita terrena, proprio come ci annuncia Paolo nella 2 lettura: “in Cristo tutti riceveranno la vita”. Per questo lo riconosciamo, e oggi lo celebriamo, quale re dell’universo.

Non solo: Lui il vivente ci fa dono dello Spirito santo che pone come seme, le potenzialità e la capacità di realizzare il regno di Dio, dentro di noi, perché “il regno di Dio è dentro di voi”.

Comprendiamo allora che in questo regno siamo tutti coinvolti e invitati a riconoscerne le caratteristiche di novità e a farlo crescere dentro la storia.

Innanzitutto si tratta di costruire una società che include e non esclude nessuno. Tutti sono chiamati a partecipare al regno di Dio; nessuno deve rimanere escluso. Questo evidenzia il primato della persona. Ogni uomo e donna sono importanti, sono un dono, sono il luogo stesso della presenza di Dio e del suo regno fino al punto che “tutto quello che avete fatto a  uno solo di questi piccoli lo avete fatto a me”.

Allora significa che il regno di Dio porta a relazioni nuove che ci rendono capaci di riconoscerci tutti fratelli, proprio come papa Francesco ci dice nella sua ultima enciclica, tutta da leggere, meditare e vivere. Una fraternità che si pone quale fondamenta per costruire insieme un mondo più giusto, nel rispetto della dignità di ogni persona e nella creazione di condizioni di giustizia, uguaglianza, solidarietà, a partire dagli ultimi, dai piccoli, dagli esclusi.

Di questo regno, di questa nuova società che deve crescere nella storia coinvolgendo l’umanità tutta, la chiesa si pone a servizio. Essa non è il regno di Dio, ma è chiamata a costruirlo insieme a tutti gli uomini di buona volontà, esercitando il suo servizio attraverso un’azione pastorale, fatta cioè di cura, di attenzione, di sostegno, di incitamento e profezia, sulle stile di Dio, pastore del suo popolo, come annuncia la prima lettura: “cercherò… radunerò…. condurrò… farò riposare… fascerò… curerò… pascerò con giustizia…”, verbi che descrivono con efficace chiarezza il modo di essere della chiesa.

Comprendiamo allora come sia importante, in questi tempi, sentirci tutti partecipi nel cammino della comunità cristiana. Oggi in particolare il nostro vescovo ci invita a pregare per il Sinodo in atto nella nostra Diocesi. E questa preghiera deve tradursi in concreta collaborazione e partecipazione al fine di discernere i passi necessari per costruire qui e ora quel regno che chiede il nostro apporto e impegno.

Il tutto con la consapevolezza che questo regno potrà compiersi in pienezza oltre questo pellegrinaggio terreno. Questo è motivo di fiducia e di speranza che sostiene il nostro lavorare al di là dei risultati che ancora non vediamo.

La festa di oggi allora, che fa da passaggio tra un anno liturgico che si chiude e quello nuovo che inizieremo con l’avvento, rinnovi in noi la gioia di sentirci collaboratori del Regno di Dio e la quotidiana capacità di collaborare alla sua edificazione attraverso i piccoli ma concreti gesti dell’amore misericordioso. Sì, perché alla fine fondamento di questa nuova società, di queste nuove relazioni, è l’amore. Come il vangelo oggi proclama: alla fine della nostra vita, saremo giudicati solo sull’amore concreto che abbiamo saputo realizzare, imparando a vedere l’altro, ogni altro senza esclusione, come fratello e sorella, come figlio dell’unico Padre, come presenza di Lui dentro la nostra umanità.

sabato 14 novembre 2020

"Non mani in tasca ma mani tese" - Trentatresima domenica del Tempo ordinario.

Parabola attuale, per questo nostro tempo di pandemia, di sfide, di nuove povertà. Tempo in cui l’interrogativo che risuona è: “che fare?, come agire?”. Sono domande che si pongono anche i protagonisti della parabola. Che fare dei doni e dei beni ricevuti? che fare di questa mia vita?

Nell’atteggiamento di questi servi si evidenziano due risposte: amministrare al meglio quanto possiedo e sono, oppure difendere, proteggere, conservare il tutto.

Sono le due strade che si aprono anche davanti a noi. Possiamo affrontare la vita in questo tempo di fatica e di prova amministrando al meglio, con creatività e generosità, noi stessi oppure chiudendoci in atteggiamento di difesa.

La parabola ci dice: non vivere per mettere al sicuro te stesso, le cose e i doni che hai, ma rischia, impiega, mettiti in gioco. Non chiuderti ma piuttosto impiega bene i doni che hai ricevuto, amministra al meglio la tua vita.

Non conta se hai poco o tanto, non conta quanto produci e rendi, conta che tu metta in gioco la tua vita, le tue capacità, il tuo tempo fino a condividerli con gli altri con generosità.

Per riuscire in questo tuttavia dobbiamo compiere tre  passi.

Il primo sta nel vincere la paura. E’ la paura che blocca il terzo servo della parabola. Paura del ’padrone’ (di Dio), paura di fallire (di sé stesso). Una paura che alla fine immobilizza. La paura spinge a chiudersi e a conservare quanto ricevuto in dono e porta al fallimento: “Servo malvagio e pigro”. Anche oggi c’è il rischio che sia la  paura a dettare legge portandoci, oltre che allo scoraggiamento, anche all’isolamento, alla chiusura verso gli altri, verso la vita. Il risultato sarebbe solo il fallimento per tutti.

Secondo passo è saper vedere i bisogni degli altri di chi vive attorno a noi, vicini e lontani. E’ quanto Paolo suggerisce nella seconda lettura: richiama i cristiani a quella vigilanza che deve tradursi in un saper vivere con responsabilità. “Non dormiamo, vegliamo, siamo sobri”. Dice papa Francesco: “Questo è un tempo favorevole per «sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi.” E’ invito a una vita capace di riconoscere “i tempi e i momenti”, i bisogni, le occasioni che ci vengono date, una vita capace di responsabilità.

Terzo passo allora diventa il tendere la mano. E’ l’immagine che la prima lettura ci presenta: la donna, che rappresenta il popolo, capace di mettere se stessa e i suoi beni a servizio in particolare dei poveri. “Stende la mano al povero”: è la frase scelta da papa Francesco per questa giornata mondiale dei poveri. Tendi la tua mano ai poveri: amministra i tuoi beni e la tua vita nella condivisione che genera giustizia e fraternità.

“Tendi la mano al povero”. Tendere la mano è un segno: un segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà, all’amore. Quante mani in questi mesi (medici, infermieri, volontari, missionari…) hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione. “Tendi la mano al povero” fa risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano. Ci sono, infatti, mani tese ad accumulare denaro  con la vendita di armi … Ci sono mani tese che nell’ombra scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto… Non potremo essere contenti fino a quando queste mani che seminano morte non saranno trasformate in strumenti di giustizia e di pace per il mondo intero.”

Dio mette nelle nostre mani la vita, dono splendido e grande.

Dono particolare per ciascuno. Dono non da mettere in ‘sicurezza’ bensì spendere per Lui e per gli altri.

Dunque non mani in tasca ma mani tese per dare e ricevere.

Solo così verremo fuori da questi tempi difficili e vedremo crescere dentro questa storia il regno di Dio, nella speranza che un giorno saremo da Lui accolti: “servo buono e fedele… prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

sabato 7 novembre 2020

"Vegliate!" - Trentaduesima domenica del Tempo ordinario


C’è un duplice movimento nelle letture di oggi: un andare incontro e un venire incontro. E’ il venire del Signore, è lui la sapienza che viene incontro a noi: “va in cerca di quelli che son degni di lei… si lascia trovare da quelli che la cercano… va loro incontro”. “Il Signore discenderà dal cielo” ricorda Paolo nella seconda lettura. Nel vangelo poi tutta la parabola è una tensione, un’attesa dell’incontro e della venuta dello sposo.

Insieme a questo venire troviamo un richiamo costante in tutte le letture ad “andare incontro”: un “andare incontro al Signore in alto, e così saremo sempre con il Signore”, ricorda ancora Paolo. Come le ragazze del vangelo che “uscirono incontro allo sposo” e alla voce che risuona nella notte “Ecco lo sposo! Andategli incontro!” rispondono, risvegliandosi dal loro torpore, e muovendosi verso di lui.

Questo andare e venire incontro è la vita cristiana. Essa si qualifica come ‘movimento’: è uscire, cercare, andare incontro a quel Dio che come sposo viene verso di noi, nei modi e nei momenti più diversi.

La vita cristiana è continua ricerca di quella sapienza che, non è teoria o dottrina, bensì una persona che affascina, che sazia la nostra sete: “Ha sete di te Signore l’anima mia”.

Essere cristiani dunque è essere ricercatori, mai arrivati; è essere persone aperte, pronte a uscire da sé per andare incontro alla vita, agli altri, alle situazioni, consapevoli che ovunque e in tutto Dio viene e si manifesta.

C’è purtroppo un rischio: chiuderci nel nostro guscio, nella nostra sicurezza di sapere già tutto, di addormentarci avvolti dalla notte. E’ il pericolo nel quale si può cadere. E’ la nostra debolezza: facilmente cediamo al sonno, ci assopiamo vuoi per le delusioni, vuoi per la stanchezza, vuoi per le fatiche e le incertezze del cammino. Ma la cosa grave non è tanto questo addormentarsi. Tutte le ragazze, nel racconto del vangelo, si addormentano. Ma c’è una differenza tra loro: le sagge hanno con sé l’olio, sono cariche dentro, piene di luce. Le stolte invece sono spente, vuote. Non hanno dentro di sé quella carica interiore che, al risveglio, alla voce che chiama, permette di rispondere con prontezza e in modo adeguato.

Uscendo dall’immagine: occorre rimanere, pur nella notte e nella fragilità del sonno, cristiani “carichi” di luce, con il cuore colmo di passione, di desiderio di amore; abitati dalla Parola che illumina e dallo Spirito che ci rende ricercatori assetati dello Sposo, di Dio. Questa è la saggezza che ci è chiesta dentro questa “notte” che è il tempo che stiamo vivendo oggi.

Al contrario, stoltezza è vivere da cristiani ma spenti, vuoti, senza carica interiore, senza passione e desiderio, senza accogliere e ascoltare la Parola di luce, più rassegnati che innamorati! E quando manca l’olio dell’amore, può anche arrivare lo sposo, ma noi non siamo pronti né a riconoscerlo, né ad accoglierlo.

Le parole del vangelo sono cariche di tristezza e di serietà: “In verità vi dico: non vi conosco”. Risuonano come giudizio, ma  hanno anche lo scopo di risvegliarci da un torpore spirituale che rischia di chiuderci in noi stessi, nelle nostre false sicurezze e di impedirci di vivere con sapienza e vigilanza.

“Vegliate”. Vegliare è tenere acceso in noi una fede vigile, perseverante. E’ avere con noi quell’olio, quella ricchezza di una Parola vissuta  e praticata nelle opere buone, che ci rende luminosi pur nella notte; capaci di cercare, desiderare, riconoscere lo sposo che viene in mezzo a noi.

Lui viene, non sappiamo né il giorno né l’ora, ma viene, perché ogni giorno e ogni ora sono il tempo della sua venuta.

Occorre allora la saggezza di vivere il tempo imparando a riconoscere che il presente, è il momento opportuno, il momento della visita, dell’incontro.

In questo oggi, carico di fatiche e di incertezze, avvolto spesso nelle tenebre che assopiscono, viene, si fa presente il Dio Sposo che ci invita a riconoscerlo, a incontrarlo.

A noi l’essere uomini e donne che sanno “credere che in fondo a ogni notte ci attende un abbraccio”, che vivono l’oggi carichi di desiderio, di passione, di amore, che si lasciano guidare e illuminare dalla Sua Parola, per essere pronti a riconoscerlo in ogni uomo e donna che incontriamo nel cammino, in ogni fatto e situazione della vita. Per saperlo accogliere e per far diventare anche la notte e la tenebra, luogo di luce e di festa.