Da quotidiano locale. “La Provincia”. Intervista a Mauro Magatti, docente di Sociologia all’Università Cattolic.
Tutto quello che sta accadendo ci ricorda una verità
tanto scontata quanto difficile da accettare: non possiamo controllare tutto,
nonostante i progressi della scienza. In altre parole, «non siamo Dio». La
riflessione è del sociologo ed economista comasco Mauro Magatti, docente alla
Cattolica di Milano.
Professor Magatti, il Coronavirus ha fatto impazzire tutti? Che cosa
succede nella nostra società, improvvisamente terrorizzata?
È una vicenda che ci segnerà, è partita un po’ in
sordina ma sta assumendo dimensioni rilevanti e che non possiamo affrontare in
modo superficiale. Il contagio è destinato ad aumentare, in termini di
diffusione. Possiamo anche dire che è un’influenza molto forte, che rischia di
intasare gli ospedali e mandare in crisi il sistema sanitario. Ma la differenza
rispetto ad altre situazioni è che non abbiamo ancora un vaccino e che il
contagio è molto facile.
Perché siamo così spaventati?
Ci siamo tutti convinti di una cosa: “la realtà siamo
noi”. Perché la nostra organizzazione sociale fa cose fantastiche, la medicina,
i trasporti, Internet... E allora ci siamo illusi di poter risolvere tutto
facilmente. Invece questa è una cosa che sfugge al nostro controllo, quindi
manda in tilt la nostra organizzazione sociale. È il cosiddetto principio di
realtà, la natura ha creato qualcosa che noi non sappiamo controllare. Non ci
fa tanto paura il fatto che la gente si ammali e muoia, quello è un fatto
privato e lo accettiamo, fa paura invece questo virus perché si tratta di una
vicenda pubblica. Fa cogliere la presenza della morte in una società che
rimuove l’idea della morte da un punto di vista collettivo.
Abbiamo assistito a scene da film come l’assalto ai
supermarket. L’azione di chi corre a svuotare lo scaffale di un
supermercato è paragonabile a quella degli investitoti che stanno facendo
crollare le Borse, non è nulla di diverso. Non getterei quindi la croce addosso
al cittadino che fa provviste. Il comportamento della finanza a mio parere è
insopportabile, affossare adesso le Borse con operazioni finanziarie è
scandaloso.
Come stanno reagendo i cittadini?
La situazione è grave ma non drammatica. Non ho visto
reazioni così esagerate, certo ci sono stati dei comportamenti dettati dalla
paura, ma nulla di violento. Semmai sottolineo il fatto che in queste
circostanze le parole andrebbero pesate, tutte le parole, e non sempre è
successo. Il ministro ha detto la sua, l’opposizione ha fatto il suo gioco, e
così sentendo certi messaggi l’uomo della strada si è spaventato.
I bar sono vuoti, la gente non viaggia e non esce di casa: è giusto così?
Un po’ di adattamento nei comportamenti è opportuno,
chiederlo ha una sua razionalità. Dobbiamo capire che è giusto proteggerci e
prevenire la diffusione del virus, sapendo che ci saranno alcune conseguenze
sull’economia.
Una sorta di brusco risveglio per la nostra società che si credeva
infallibile?
Abbiamo coltivato un’idea: quella di saper gestire la
crescita, controllare tutto, fare previsioni corrette. Dobbiamo capire che il
nostro modello di sviluppo è limitato e che non siamo Dio. La scienza avanza ma
non è onnipotente, non risolve tutti i problemi, non prevede tutto.
E adesso?
Ritroviamo il senso della misura, ricordiamoci tutti
che esiste qualcosa che non possiamo controllare come vorremmo. È importante
dircelo. O ci scanniamo, oppure recuperiamo l’idea che gli umani affrontano le
crisi solo aiutandosi reciprocamente e cooperando.
Ci sentiamo indifesi come di fronte alle azioni terroristiche, si può dire?
Il paragone ha senso. Con la differenza che il
terrorismo nasce da azioni umane, questa situazione no. Il sociologo Beck già
anni fa parlava della “società del rischio” ed è quella in cui viviamo. Il
pericolo, per esempio il fuoco, è qualcosa che vediamo, mentre il rischio no,
anche se sappiamo che esiste. Il rischio è un elemento costitutivo della
società odierna, in alcuni casi è prodotto dall’uomo come appunto il terrorismo
o la crisi ambientale, in altri è semplicemente “moltiplicato” dall’uomo, che
vive in un mondo interconnesso. Non ci si può fare molto, è la nostra
condizione. E, se ci pensiamo, la scienza ci ha sempre parlato del rischio di
nuovi virus.
Che cosa ci insegna l’emergenza Coronavirus?
Che la scienza ci aiuta. Ma non è onnipotente. Una
cosa molto semplice, ma che ci suona molto strana. Bisogna affrontare questa
crisi sforzandosi di cooperare e di cambiare un po’ i nostri comportamenti, se
necessario. Mi sembra ci sia una certa compostezza, nella zona rossa per
esempio avrebbero potuto esserci reazioni ben diverse, gente in piazza,
rivolte. Non vedo reazioni poi così inconsulte.
Qual è il messaggio da trasmettere?
Non serve una generica rassicurazione, ma lo sforzo di
stare in una situazione seria con responsabilità. Non deve passare un messaggio
di passività, non è vero che non si può più fare nulla. Andiamo avanti a
vivere, con qualche precauzione in più.
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