LA TENDA DI MAMRE, un luogo di silenzio e di ascolto, di ricerca e di incontro, di preghiera e di pace.
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venerdì 23 novembre 2018
venerdì 16 novembre 2018
XXXIII° domenica del Tempo ordinario
La
Parola di oggi ci consegna un messaggio di speranza.
La
fragilità del mondo, dell’universo intero, dell’uomo, di ciascuno di noi volge
verso un fine, una mèta che si prospetta mèta di comunione (radunerà) e di maturazione, di piena
realizzazione (dalla pianta imparate…),
un fine di vita.
Questo
il messaggio carico di speranza. Se ogni giorno c’è un mondo che muore, ogni
giorno c’è anche un mondo che nasce; se ogni giorno facciamo esperienza di un
mondo che ci crolla addosso (fatiche, delusioni, fallimenti) tuttavia ogni
giorno proprio da lì possiamo sempre ripartire verso nuove mete e orizzonti.
Fare nostro questo
messaggio apre la nostra vita oltre che alla speranza anche a una rinnovata
responsabilità.
Questa
responsabilità la potremmo declinare almeno in due atteggiamenti che ci vengono
suggeriti, oltre che dalla Parola, anche da quanto siamo invitati a celebrare e
vivere in questa domenica.
Innanzitutto papa
Francesco ha voluto che si celebrasse in questa domenica la Giornata mondiale
dei poveri.
Scopo non è
raccolta offerte, ma riflessione, sensibilizzazione, responsabilità appunto.
Il povero grida,
ricorda il papa. Grida il suo dolore, la sua solitudine; grida davanti a un
mondo che gli crolla addosso, che lo schiaccia e lo umilia. Il povero grida e il Signore lo ascolta;
non lo lascia solo, gli dona vicinanza e speranza. Così anche noi, chiesa
tutta, siamo chiamati ad ascoltare il grido dei poveri, a offrire loro
consolazione, rendere giustizia, donare speranza in un futuro migliore.
Rispondere così a
questo grido è operare per portare liberazione, per creare una società più
giusta, attenta alla dignità di ogni persona, più fraterna; un anticipo di quel
raduno finale mèta del nostro cammino.
“Coloro che avranno indotto molti alla giustizia
risplenderanno come le stelle per sempre”, proclama il
profeta Daniele nella prima lettura.
C’è poi un secondo
invito alla responsabilità che viene a noi dalla nostra chiesa diocesana che
sta vivendo il Sinodo.
Il nostro vescovo
ci chiede oggi di pregare, affidando in particolare a Maria questo evento. E la
preghiera tende a invocare il dono dello Spirito per imparare insieme a leggere
i segni, a vedere e toccare con mano i germogli di quel mondo nuovo che cresce
in mezzo a noi, di quel regno di Dio che è già qui tutto da scoprire e
costruire insieme.
Ecco l’altro
atteggiamento di responsabilità cui siamo chiamati. Discernere, riflettere,
valutare. “Quando vedrete accadere queste
cose (e si tratta di cose positive: germogli di bene, foglie e frutti che
spuntano e maturano…) sappiate che egli è
vicino”. Il Sinodo deve aiutarci insieme a compiere questa scoperta, a
contemplare questi segnali buoni, a farli crescere per il bene della chiesa e
del mondo, per essere annunciatori e testimoni di misericordia.
Speranza e
responsabilità da coniugare insieme dunque.
Non noi da soli. Ma
tutti sotto la guida di Gesù stesso e della sua Parola che da sempre e per
sempre illumina i passi e scalda il cuore. Ridà speranza e sostiene il nostro
impegno di responsabilità.
“Le mie parole non passeranno mai”
afferma Gesù. E queste parole allora non possono mancare mai nella nostra vita
di ogni giorno, dentro le nostre comunità. Sono il tesoro prezioso che ci
accompagna per aiutarci insieme a tendere verso quel fine di pienezza, di
comunione, di vita, mèta finale del cammino di ciascuno e dell’umanità intera.
domenica 11 novembre 2018
XXXII° domenica del tempo ordinario
Ci sono due verbi che ritornano nel vangelo
di oggi: guardare e osservare. Potremmo definirli i verbi del discernimento,
così necessari per la nostra vita cristiana e per il cammino sinodale che
stiamo compiendo come chiesa diocesana. Un guardare e osservare che portano poi
a un fine: scegliere, decidersi.
Così è nel brano ascoltato: il guardare
diventa un “guardatevi”, fate
attenzione a…; e l’osservare diventa invito a imitare, fate così, come lei…
Gesù guardando e osservando discerne quale
debba essere l’atteggiamento autentico del discepolo e quello che invece deve
essere rigettato, l’atteggiamento degli scribi.
Applicare questo criterio al nostro modo di
vivere la fede sia personale che comunitaria, al nostro modo di essere
discepoli oggi, porta a riconoscere che occorre guardarci da una vita cristiana
fatta solo di esteriorità, ricerca di ammirazione, insomma da una religiosità
apparente e slegata dalla vita concreta, dall’attenzione agli altri, dalla
capacità di servire e amare. Porta soprattutto a riconoscere che essere
discepoli di Gesù chiede di saper donare tutto noi stessi, senza clamore né
ricerca di riconoscimenti, a partire dal poco che abbiamo e siamo, dai piccoli
gesti a volte così nascosti e silenziosi che nessuno nota, come il gesto della
vedova povera. In essa è delineata la figura del discepolo, della chiesa, anzi
la stessa figura di Gesù che è venuto per dare tutto se stesso per noi.
E l’episodio ci ricorda quanto preziosi
sono agli occhi di Dio quelli che, in mezzo a noi, sanno farsi dono, regalando
vita quotidianamente, con mille gesti non visti da nessuno, gesti di cura, di
attenzione, rivolti ai genitori o ai figli o a chi è nella necessità.
Tuttavia possiamo applicare la parola del
vangelo anche ad altri ambiti della vita. Oggi si celebra la giornata del
ringraziamento per i doni del creato. Anche qui è possibile guardare, osservare
per poi scegliere, decidersi. Se guardiamo e osserviamo vediamo da una parte la
bellezza del creato, i doni che ci offre, ma dall’altra anche lo sfruttamento
della creazione, l’incuria, il degrado, che porta a danni e a rischi futuri per
l’intera umanità. Ecco allora che discernimento significa riconoscere che
occorre lavorare per una creazione degna dell’uomo, proprio a partire dai
piccoli gesti quotidiani, dalle scelte più semplici che ci devono portare al
rispetto della natura, alla condivisione delle risorse, all’evitare lo spreco,
e così via…
Un altro ambito dove mettere in atto il
discernimento è oggi quello della vita sociale che tutti ci coinvolge e tutti
chiama in gioco. In particolare la comunicazione delle notizie, dei fatti,
degli eventi. Se si guarda e si osserva si nota che prevale sempre più una
logica fatta di menzogna e falsità, di ricerca di interessi personali, a
scapito della verità. Tale modo di interpretare la realtà porta a
semplificazioni e superficialità e impedisce di cogliere la realtà dei fatti e
di vedere il tanto bene spesso nascosto e silenzioso che tanti, ogni giorno,
mettendo tempo, risorse e capacità a servizio degli altri, operano; inoltre si
corre il rischio di essere manipolati fino a non pensare più con la propria
testa. Da questo guardare e osservare dovrebbe nascere in noi un desiderio di
maggiore capacità critica verso quanto succede ogni giorno, imparando ad
esempio a selezionare tra le varie fonti di informazione che oggi ci
sommergono. Come cristiani abbiamo la fortuna di essere aiutati in questo
lavoro attraverso strumenti che purtroppo o non conosciamo o non valorizziamo a
sufficienza. La giornata del Settimanale Diocesano che oggi viviamo in Diocesi
vuole proprio richiamare a tutti noi questo strumento, non certo unico, ma
utile per avere una visione più giusta, vera, positiva della vita. Non è un invito
commerciale… ma invito a farci aiutare da strumenti idonei e imparziali per
imparare a discernere la verità dentro i fatti della vita e anche per sostenere
la nostra fede sentendoci partecipi del cammino della nostra chiesa locale.
Queste dunque alcune applicazioni oggi il
vangelo ci suggerisce.
Guardare, osservare per scegliere e
decidere, alla luce dello Spirito di Cristo e della Sua Parola che ci rende
capaci di vedere oltre l’apparenza, per arrivare al cuore dei fatti e delle
persone, così come fa Gesù con la vedova povera e anche con ciascuno di noi.
sabato 3 novembre 2018
XXXI° domenica del tempo ordinario
La gioiosa festa
dei santi e il ricordo dei defunti accompagna queste giornate; e anche la
Parola oggi ascoltata risuona dentro questo clima di preghiera, di riflessione,
di ricordi.
Una Parola che ci
porta immediatamente a ciò che vale di più, a ciò che è più importante, a
riconoscere ciò che nella vita veramente conta: l’amore.
Per amore di Dio
e del prossimo i santi hanno speso generosamente la loro vita, ritrovandola in
pienezza, portando frutti che oggi noi possiamo gustare, che nutrono e
rinsaldano il nostro cammino.
Essi ci ricordano
che non c’è altra strada per realizzare se stessi se non l’amore di Dio e del
prossimo. E come ogni strada ha certo le sue fatiche, le sue salite. L’amore è
appunto un cammino; si snoda nel futuro. Gesù stesso coniuga l’amore al futuro:
“Amerai”. Passo dopo passo, giorno
dopo giorno. Amerai. Crescerai nell’amore e arriverai alla sua pienezza.
Chi ama Dio e il
prossimo non è lontano dal Regno di Dio, si sta avvicinando ad esso se non
smetterà di amare e di imparare ad amare da Colui che il regno è venuto a
realizzarlo tra noi, il Signore Gesù. In lui l’amore trova il suo vertice, in
quel comando nuovo che porta a compimento il comando antico: “Amatevi come
io ho amato voi”. Solo allora il regno si compie e l’amore arriva al
suo vertice.
Il ricordo dei
nostri defunti poi ci invita a riconoscere che l’amore è la meta finale ed è
ciò che rimane quando tutto finisce e scompare. E’ ciò che saremo per sempre:
amore nell’abbraccio del Dio Amore che ci ha chiamati alla vita e questa vita
la porta a pienezza in Lui.
Riconosciamo
allora, come Gesù ci ricorda, che l’amore è il principio di tutto: nasce da
Dio, arriva a noi come dono, si espande verso il nostro prossimo, in forme e
modalità le più diversificate, spingendo così il mondo e la storia verso una
comunione universale che troverà in Dio il principio di tutto anche il suo
compimento.
Di questo amore,
rivelatoci da Cristo Gesù, sacerdote unico che ci lega al Padre, noi sua
famiglia, sua chiesa, siamo resi canale inesauribile. La chiesa esiste per
diffondere l’amore del Padre del Figlio e dello Spirito. E’ la sua missione, il
suo compito. Quando dimentica ciò, non solo non ha più nulla da offrire al
mondo, ma diventa ostacolo e impedimento agli uomini e alle donne che cercano e
anelano alla pienezza della vita.
Allora come
chiesa facciamo nostro ancora una volta l’invito di Gesù, ascoltiamo,
accogliamo l’invito ad amare.
Papa Francesco
nella esortazione sulla santità, “Gaudete
et exsultate” (n.60-61), ricordandoci che la strada della santità è
l’amore, dice: “Siamo chiamati a curare attentamente la carità: ‘Chi ama
l’altro ha adempiuto la Legge… pienezza della Legge infatti è la carità’
(Rm.13,8-10). Perché ‘tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto:
Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Gal.5,14).
Detto in altre
parole: in mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni, Gesù apre una
breccia che permette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del
fratello. Non ci consegna due formule o due precetti in più. Ci consegna due
volti, o meglio, uno solo, quello di Dio che si riflette in molti. Perché in
ogni fratello, specialmente nel piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è
presente l’immagine stessa di Dio. Infatti, con gli scarti di questa umanità
vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera
d’arte. Poiché ‘che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze
non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Queste due ricchezze
non svaniscono”.
Amare Lui e il
prossimo è il cuore, il centro e il senso del nostro essere oggi nel mondo.