Nel vangelo odierno emerge un tratto tipico
di Gesù che caratterizza tutta la sua
vita e la sua missione: il prendersi cura di quanti incontra. Dei discepoli
stanchi, della folla smarrita.
Di questo ‘prendersi cura’ la Parola di Dio
ci aiuta a cogliere almeno tre caratteristiche importanti.
Nel vangelo si evidenzia innanzitutto il
provare compassione: “ebbe compassione”.
E’ l’atteggiamento di chi sente nell’intimo la sofferenza dell’altro e patisce
con lui con il desiderio di condividere, di com-patire insieme facendo proprie
le altrui fatiche e pene.
Altro connotato del prendersi cura è il
voler unificare, radunare: “gli apostoli
si riunirono attorno a Gesù”. E Paolo nella seconda lettura dice che in
Gesù siamo “diventati vicini”, è
stato “abbattuto il muro di separazione”.
Gesù è il pastore che raduna e non disperde il gregge come già annunciava
Geremia nella prima lettura.
Infine il suo prendersi cura diventa il
voler insegnare: “si mise a insegnare
loro molte cose”, così chiude il vangelo di oggi. Un insegnare che è tutto
proteso a orientare l’altro che si trova smarrito offrendo parole di fiducia,
di verità, di speranza.
Così si concretizza dunque quel prendersi
cura che caratterizza la sua vita; e così Gesù si qualifica come il vero buon
pastore per l’umanità tutta.
“Venite
in disparte, riposatevi un po’” è invece l’invito
che lui stesso rivolge ai suoi. Un invito che risuona oggi per noi tutti che ci
diciamo suoi discepoli. Invito a stare con Lui, alla Sua presenza che offre
riposo, per imparare anche noi una vita capace di prendersi cura gli uni degli
altri.
Oggi, in un clima di crescente
indifferenza, stiamo diventando sempre più disumani. Tutti, anche noi
cristiani. Se guardiamo con attenzione la nostra vita è segnata da
caratteristiche ben diverse da quelle che abbiamo descritto presenti nella vita
di Gesù.
Oggi troppo facilmente non proviamo più
compassione per chi si trova in situazioni di pena e sofferenza.
Oggi, col nostro pensare più a noi stessi,
generiamo divisioni e opposizioni più che creare unità.
Oggi lasciandoci prendere troppo facilmente
da mille false e interessate voci, lasciamo che sia la paura a orientare le
nostre scelte.
Proprio all’opposto di come Gesù ha
vissuto.
Abbiamo quindi bisogno, con urgenza, di “venire in diparte”, di metterci a tu per
tu con Lui e la sua Parola per imparare di nuovo il suo stile, quel prendersi
cura che è l’agire stesso di Dio, da sempre, verso tutta l’umanità.
Ritroviamo capacità di provare compassione
verso le persone ferite e provate dalla vita; lavoriamo per radunare, unire,
per renderci vicini gli uni agli altri abbattendo ogni muro di indifferenza.
Facciamoci portatori di parole di speranza che aiutino coloro che ci ascoltano
a ritrovare fiducia, a scoprire una luce dentro le tante tenebre.
Nelle relazioni quotidiane, in famiglia e
nella comunità di appartenenza; nelle più vaste relazioni sociali dentro le
quali si svolge la nostra vita, i nostri impegni di lavoro, le nostre scelte di
ogni giorno; dentro queste relazioni poniamoci con quell’atteggiamento che Gesù
ci propone: prendersi cura gli uni degli altri.
Non possiamo certo dirci cristiani se non
abbiamo in noi la stessa compassione, lo stesso desiderio di unire e pacificare
le persone, le stesse parole di speranza e fiducia che hanno caratterizzato la
vita stessa di quel Gesù di cui ci diciamo discepoli.
E’ l’invito che anche i nostri
pastori-vescovi ci rivolgono in questo loro comunicato: “Come Pastori
della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a
quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far
nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che
inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre
risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto.
Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi
ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in
un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con
gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono
segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura
inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare.
Avvertiamo
in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla
volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni
vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata”.
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