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LA TENDA DI MAMRE, un luogo di silenzio e di ascolto, di ricerca e di incontro, di preghiera e di pace.
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martedì 31 luglio 2018
sabato 28 luglio 2018
XVII° domenica deltempo ordinario
Giovanni ci accompagnerà da oggi per cinque
domeniche proponendoci il capitolo sesto del suo vangelo, che abbiamo appunto
iniziato a leggere, tutto dedicato al discorso di Gesù sul “pane della vita”. Oggi l’attenzione
viene catturata dell’episodio dei pani condivisi e da altri particolari del racconto.
Innanzitutto si evidenzia l’esitazione e
l’incapacità dei discepoli nel sapersi prendere cura della folla. Provocati da
Gesù (“diceva così per metterlo alla
prova”) non sanno trovare altra possibilità, davanti alla gente da sfamare,
che affidarsi al denaro (“Dove potremo
comprare il pane…?”). Pur davanti a una piccola possibilità (i cinque pani
d’orzo e i due pesci del ragazzo) non sanno far altro che manifestare sconforto
e pessimismo: “che cos’è questo per tanta
gente?”. Non sanno individuare altre soluzioni al disagio della folla e un
poco, diciamolo, ci assomigliano: quali soluzioni pensiamo e attuiamo davanti
ai diversi bisogni della gente e in particolare di chi vive in situazioni di
precarietà?
Qui entra in gioco Gesù facendo capire loro
che altra è la soluzione, altro è il modo di prendersi cura delle persone e
delle loro fatiche. Non il denaro, non la sfiducia anche in quel poco di bene e
di possibilità presenti, ma piuttosto la capacità di vivere un amore generoso
che sa, proprio partendo dal poco, dalla debolezza e pochezza umana (i cinque
pani e i due pesci), aprirsi alla condivisione. E’ nell’offerta di chi sa
donare anche il poco, di chi sa fare il primo passo, perché altri passi si
aprano e si arrivi così al cuore, ai bisogni di tutti: questa è la strada che
Gesù vuole indicarci.
Non moltiplicazione (che ha sempre un
richiamo legato al profitto, al denaro…) bensì condivisione, quale via per
rendere tutti partecipi di quanto già abbiamo. Non moltiplicare, ma distribuire,
condividere è il vero miracolo!
Quante situazioni problematiche anche oggi
potrebbero essere diversamente affrontate, e forse anche risolte, se
imparassimo la strada della distribuzione, della condivisione delle risorse,
dei beni, delle capacità, del tempo, delle doti che ognuno, pur nel suo
piccolo, possiede; e invece… si cerca solo di moltiplicare per sé, di
accumulare per difendere le proprie sicurezze: questo nelle piccole questioni
come nelle grandi.
D'altronde per diventare capaci di una
logica diversa non è facile; occorre tornare bambini! Pensate che tra quelle
cinquemila e più persone di allora nessuno avesse anche solo un panino o altro?
Sicuramente chissà quanti avevano qualcosa; ma erano tutti ‘adulti’, cioè
preoccupati solo per sé e quindi incapaci di condividere.
Chi invece condivide il poco? Un ragazzo,
l’unico che pur avendo con sé la sua razione giornaliera di cibo, non esita a
metterla nelle mani di Gesù e degli altri. Solo chi sa farsi “piccolo”, cioè libero da interessi e
calcoli, diventa capace di uscire dalle strettezze dell’egoismo e aprirsi alla
generosa condivisione che porta beneficio alla folla.
E’ una strada di conversione che si apre
davanti a noi, soprattutto in questi tempi non facili: troppo abituati a
moltiplicare tutto, ad avere e volere tutto per sentirci grandi, abbiamo
disimparato a donare, a condividere, a saper assumere uno stile di libertà
dalle cose e di fiducia.
E abbiamo anche disimparato a non sciupare
i doni, quello che abbiamo. Curioso come Gesù invita a “raccogliere i pezzi avanzati perché nulla vada perduto”. E’ invito
a non sciupare i doni di Dio, a riconoscerne la grandezza e il valore.
L’eucaristia che celebriamo è momento che,
se vissuto consapevolmente, rivoluziona il nostro modo di vivere per aprirci a
una capacità di dono e di generosità concreta che diventi, oggi, segno efficace
del saperci anche noi, insieme con Gesù, prenderci cura gli uni degli altri.
Certo non è facile comprendere tutto ciò e
fidarsi.
Nemmeno la grande folla sfamata in
abbondanza capisce. E infatti lo cercano per farlo re; lo vogliono perché
risolve i problemi contingenti della vita. Non capiscono invece che il Dio di
Gesù è altro: un Dio che ci propone di essere sempre dono totale e gratuito per
gli altri. Questo non lo capiscono.
Questo ancora oggi scandalizza. Un Dio così
ci va meno bene, è meno comodo, è diverso dai nostri calcoli.
Gesù fugge, si allontana da loro: fugge chi
lo applaude e lo acclama, ma non lo capisce. Fugge, ma non per isolarsi, bensì
per trovarsi insieme con il Padre e saper così continuare ad essere limpida e
autentica immagine di Colui che è amore gratuito e abbondante.
Incontrandoci con Lui, ogni domenica, anche
noi possiamo imparare, nonostante tutte le fatiche e fragilità, che vale molto
di più saper distribuire e condividere che non moltiplicare e possedere.
sabato 21 luglio 2018
XVI° domenica del tempo ordinario
Nel vangelo odierno emerge un tratto tipico
di Gesù che caratterizza tutta la sua
vita e la sua missione: il prendersi cura di quanti incontra. Dei discepoli
stanchi, della folla smarrita.
Di questo ‘prendersi cura’ la Parola di Dio
ci aiuta a cogliere almeno tre caratteristiche importanti.
Nel vangelo si evidenzia innanzitutto il
provare compassione: “ebbe compassione”.
E’ l’atteggiamento di chi sente nell’intimo la sofferenza dell’altro e patisce
con lui con il desiderio di condividere, di com-patire insieme facendo proprie
le altrui fatiche e pene.
Altro connotato del prendersi cura è il
voler unificare, radunare: “gli apostoli
si riunirono attorno a Gesù”. E Paolo nella seconda lettura dice che in
Gesù siamo “diventati vicini”, è
stato “abbattuto il muro di separazione”.
Gesù è il pastore che raduna e non disperde il gregge come già annunciava
Geremia nella prima lettura.
Infine il suo prendersi cura diventa il
voler insegnare: “si mise a insegnare
loro molte cose”, così chiude il vangelo di oggi. Un insegnare che è tutto
proteso a orientare l’altro che si trova smarrito offrendo parole di fiducia,
di verità, di speranza.
Così si concretizza dunque quel prendersi
cura che caratterizza la sua vita; e così Gesù si qualifica come il vero buon
pastore per l’umanità tutta.
“Venite
in disparte, riposatevi un po’” è invece l’invito
che lui stesso rivolge ai suoi. Un invito che risuona oggi per noi tutti che ci
diciamo suoi discepoli. Invito a stare con Lui, alla Sua presenza che offre
riposo, per imparare anche noi una vita capace di prendersi cura gli uni degli
altri.
Oggi, in un clima di crescente
indifferenza, stiamo diventando sempre più disumani. Tutti, anche noi
cristiani. Se guardiamo con attenzione la nostra vita è segnata da
caratteristiche ben diverse da quelle che abbiamo descritto presenti nella vita
di Gesù.
Oggi troppo facilmente non proviamo più
compassione per chi si trova in situazioni di pena e sofferenza.
Oggi, col nostro pensare più a noi stessi,
generiamo divisioni e opposizioni più che creare unità.
Oggi lasciandoci prendere troppo facilmente
da mille false e interessate voci, lasciamo che sia la paura a orientare le
nostre scelte.
Proprio all’opposto di come Gesù ha
vissuto.
Abbiamo quindi bisogno, con urgenza, di “venire in diparte”, di metterci a tu per
tu con Lui e la sua Parola per imparare di nuovo il suo stile, quel prendersi
cura che è l’agire stesso di Dio, da sempre, verso tutta l’umanità.
Ritroviamo capacità di provare compassione
verso le persone ferite e provate dalla vita; lavoriamo per radunare, unire,
per renderci vicini gli uni agli altri abbattendo ogni muro di indifferenza.
Facciamoci portatori di parole di speranza che aiutino coloro che ci ascoltano
a ritrovare fiducia, a scoprire una luce dentro le tante tenebre.
Nelle relazioni quotidiane, in famiglia e
nella comunità di appartenenza; nelle più vaste relazioni sociali dentro le
quali si svolge la nostra vita, i nostri impegni di lavoro, le nostre scelte di
ogni giorno; dentro queste relazioni poniamoci con quell’atteggiamento che Gesù
ci propone: prendersi cura gli uni degli altri.
Non possiamo certo dirci cristiani se non
abbiamo in noi la stessa compassione, lo stesso desiderio di unire e pacificare
le persone, le stesse parole di speranza e fiducia che hanno caratterizzato la
vita stessa di quel Gesù di cui ci diciamo discepoli.
E’ l’invito che anche i nostri
pastori-vescovi ci rivolgono in questo loro comunicato: “Come Pastori
della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a
quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far
nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che
inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre
risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto.
Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi
ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in
un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con
gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono
segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura
inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare.
Avvertiamo
in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla
volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni
vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata”.
sabato 14 luglio 2018
XV° domenica del tempo ordinario
Siamo custodi di una notizia splendida: “scelti da Dio per essere figli adottivi
mediante Gesù… in Lui siamo stati fatti anche eredi… in Lui abbiamo ricevuto il
sigillo dello Spirito”. E’ l’annuncio che risuona quale benedizione nella
seconda lettura odierna.
Una notizia – vera - che cambia la vita, apre
un orizzonte di speranza, svela la tua e l’altrui dignità: figli, fratelli,
chiamati a formare in Cristo una sola umanità. Cambia lo sguardo su di te e
sugli altri, su Dio e sulla storia dell’umanità.
Una notizia che sei e siamo chiamati a
diffondere a tutti.
Per questo siamo chiamati, scelti: come i
Dodici che “Gesù chiamò a sé e prese a
mandarli”, come Amos il profeta(prima lettura). Nessuno è escluso da questa
chiamata; e nulla, nemmeno le nostre umili origini e le nostre fragilità,
possono impedire a Lui di voler avere bisogno di noi, così come ha avuto
bisogno di Amos il mandriano e dei dodici operai e pescatori.
Oggi vediamo più volte che gli uomini per
diffondere notizie, più o meno vere e interessate, utilizzano mezzi non adatti
(inganno, menzogna, corruzione…); il fine, in ogni caso, giustifica i mezzi.
Non così per il discepolo chiamato da Gesù;
per lui i mezzi devono anticipare il fine. Questa notizia infatti più che
essere diffusa a voce, chiede di essere realizzata, attuata nella vita.
Se la notizia sta nell’amore di Dio che
tutti ci vuole suoi figli in Gesù, abitati dal suo Spirito e resi una sola famiglia,
ebbene i mezzi che annunciano e attuano questa bella notizia la devono
anticipare, rendere subito, immediatamente reale, vera. Non si può annunciare
di essere figli di Dio se poi si compiono discriminazioni e si respingono
persone che di fatto sono nostri fratelli e sorelle; non si può annunciare la
dignità e la grandezza di ogni persona se poi non si fa nulla perché questa
dignità venga rispettata e tutelata.
Per questo Gesù inviando i suoi discepoli
non chiede loro di compiere chissà quali cose o iniziative o programmi; propone
e ordina (ordinò loro dice il testo)
uno stile nuovo, quale mezzo efficace per dare subito corpo, concretezza alla
bella notizia.
Questo stile è proposto nella pagina del
vangelo e lo potremmo semplicemente sintetizzare tre suggerimenti.
“Prese
a mandarli a due a due”: la fraternità si costruisce
vivendola; a due a due, fraternamente si fa crescere il vangelo che annuncia
che siamo la famiglia dei figli di Dio.
“Ordinò
loro di non prendere…”: la libertà dalle cose, dalle
sicurezze umane apre a un atteggiamento di fiducia che annuncia la vicinanza di
un Padre che non dimentica nessuno e per tutti vuole dignità e giustizia.
Infine “scacciavano
molti demoni”: è la lotta contro il male che divide, è la concreta
promozione del bene che unisce e permette una vita guarita, piena, realizzata.
Indicazione di mezzi che già anticipano un
fine: essere insieme il popolo di Dio, che ci ha da sempre, “prima della creazione del mondo”, pensati,
scelti, amati per partecipare alla sua stessa vita. Questo è il fine verso il
quale tende l’umanità tutta; “ricondurre
a Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra”.
A noi, cristiani, consapevoli di questo
meraviglioso progetto, di questa sbalorditiva notizia, il compito di
promuoverla, attuarla, anticiparla dentro la nostra storia di oggi, proprio
attraverso quei mezzi, semplici ma efficaci che Gesù ci suggerisce.
Di cristiani-profeti, di annunciatori
autentici, di costruttori di comunione oggi c’è urgente bisogno.
11 luglio, festa di san Benedetto
Mercoledì 11
luglio, festa di S.Benedetto, un centinaio di persone - chi partendo dal
Santuario della Madonna del Soccorso in Ossuccio e chi dall’abbazia
dell’Acquafredda in Lenno - hanno raggiunto, dopo una buona ora di cammino,
l’antica abbazia (1083) di San Benedetto in Valperlana. Un monastero voluto
dall’allora vescovo di Como Rainaldo quale luogo per attuare una profonda
riforma della vita cristiana, ai quei tempi fortemente decadente…
Ciò che ha spinto
queste persone a inoltrarsi fino in fondo valle non è stato il desiderio di una
passeggiata alla ricerca di ristoro e di frescura. Ben altro ha guidato i loro
passi; un desiderio più profondo, quasi un richiamo che ogni anno risuona da
quella valle spingendo gente diversa e da luoghi differenti (dalla Valtellina
alla bassa comasca, gente del lago e della città) a darsi appuntamento: sono
più di 18 anni che in questa data ci si ritrova per celebrare alle ore 11.00
l’Eucaristia.
E’ il richiamo di
s.Benedetto, della sua Regola, della sua vita luminosa, fortemente evangelica a
risvegliare il bisogno di attingere ancora una volta da lui quei valori limpidi
ed essenziali che danno sostegno e orientamento alla vita.
Silenzio e ascolto
per ricercare Dio; preghiera e lavoro per custodire il creato e generare
bellezza; accoglienza dell’altro e ospitalità per costruire relazioni solidali,
fraterne, imparando a riconoscere Gesù nell’ospite pellegrino. Valori che oggi,
più che mai, necessitano per ridare unità alla vita di ciascuno di noi e per ricostruire
una società, un’Europa (di cui Benedetto è patrono) più accogliente e fraterna.
Lì, nel profondo
silenzio di quella valle, monaci dell’anno 1000 hanno fatto risuonare con il
loro “ora et labora”; valori che, al varcare dell’anno 2000, sono
stati ripresi da monaci di oggi, da quel Ginepro che con la sua presenza
decennale in questi luoghi ha ridato anima all’antico messaggio e ha ridato
cura e salvezza al vecchio monastero.
Si torna quindi per
fare memoria di questo passato, per risvegliare nel cuore, sempre in ricerca,
quell’ ”Ascolta, figlio...” che
introduce a una regola di libertà e di sapienza profonda; per ritrovare persone
che, abitate dalla bellezza e dalla profonda spiritualità di questo luogo, hanno
in anni passati lavorato volontariamente per tenere in vita questo gioiello
romanico ma soprattutto per non far spegnere una proposta di vita fortemente
alternativa quanto profondamente cristiana. Persone che vogliono ancora una
volta insieme far sì che non venga meno questo richiamo, che non si perda la
cura di queste ‘pietre parlanti’, cosicché altri, tanti altri, soprattutto
giovani, possano, oggi e in un domani, attingere al sempre attuale e moderno
messaggio che viene da s.Benedetto, che altro non è che il messaggio del
Vangelo: “con la guida del vangelo,
inoltriamoci nelle Sue vie per meritare di vedere nel suo regno Colui che ci ha
chiamati” (R.s.B.).