Davanti a
parabole come queste restiamo spiazzati e facciamo fatica a comprendere. Non è
certo un modello di buona gestione del personale, quello che possiamo ricavare
da questa pagina di Vangelo: chi ha fatto di meno riceve come chi ha fatto di
più; e chi ha fatto di più non viene riconosciuto nel suo merito.
Le
parabole di Gesù però hanno ben altro scopo e contenuto; vogliono parlarci del
Regno di Dio, di Lui e di noi con Lui.
E a volte per
svelarci il vero volto di Dio usano immagini eccessive. Dio infatti non è un
padrone calcolatore e il suo agire non rientra nei nostri parametri umani,
fatti sovente di contabilità e calcolo.
Già il profeta
Isaia lo ricorda nella prima lettura: “i
miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie… le
mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”.
Dobbiamo
allora mettere da parte i nostri schemi, le nostre idee, i nostri modi molto
umani di pensare, per fare spazio alla novità sorprendente che il vangelo
annuncia.
Un Dio
diverso da come tante volte lo pensiamo, ben oltre le nostre logiche umane: non
un padrone calcolatore, ma un padre che ama.
Nuovo
diventa allora l’approccio a Lui.
Non si
tratta di costruire una relazione sul ‘tanto
faccio tanto mi devi’, bensì sulla gioia di poter, tutti, partecipare alla
sua vita, essere nella sua vigna, condividere il suo Regno, nessuno escluso, né
i primi, né gli ultimi arrivati.
Troppe
volte come cristiani, anche dentro le nostre comunità ci muoviamo invece nella
logica retributiva: ho fatto tanto, mi devi tanto...
E’ tipico
del nostro modo di pensare ma non corrisponde affatto ai pensieri di Dio! Ci
impedisce di riconoscere la sua generosa chiamata e più ancora ci porta a
sfigurare il suo volto e anche il nostro. Riduciamo Dio a un padrone e ci
poniamo davanti a lui come servi. Ma Dio non è un padrone, è un padre; e noi non
siamo suoi servi, ma suoi figli.
Di
conseguenza la relazione con Lui e tra noi non può essere fondata sul criterio
della retribuzione e del merito, ma della bontà. Altrimenti ecco nascere
l’invidia, la mormorazione, la critica che ci impediscono di vedere con occhi
limpidi tutto il bene che Dio opera nella vigna del mondo in ogni tempo, in
ogni ora, attraverso ogni persona!
Proprio il
momento della paga, nella parabola, svela chiaramente che il padrone va oltre
il profitto, la resa, e a tutti offre con generosità quanto Lui ritiene giusto.
E se a qualcuno
questo comportamento può sembrare ingiusto e non gli sta bene, è perché il suo
è un occhio maligno, invidioso. “Non
posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io
sono buono?”. Gli operai della prima ora sono smascherati come invidiosi.
Il loro ragionare è: “perché a lui come a me che meritavo di più?”. E’ l’invidia
che acceca.
Questi non
potranno mai vedere e capire l’agire di un Dio che cerca solo il bene per ogni
creatura.
Occorrono
altri occhi, altri pensieri, altre vie.
Occorre
che impariamo a fare nostri i pensieri e le vie di Dio, così diverse dalle
nostre e capaci di portarci a crescere come suoi figli e sua famiglia.
Occorre
che come cristiani non si cerchi tanto di acquisire meriti, di timbrare
cartellini, di assicurarsi il futuro solo per il fatto che dalla prima ora, da
sempre, noi siamo stati chiamati, ma piuttosto, come ci ricorda Paolo nella
seconda lettura che “ci comportiamo in modo degno del Vangelo” riconoscendo che l’unica
cosa che conta è poter affermare, come l’apostolo, “per me il vivere è Cristo”, aprendoci così a una vita guidata dai
suoi pensieri e orientata secondo le sue vie di gratuità, di bontà, di salvezza
offerta generosamente a tutti e in ogni momento.
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