Credo non ci sia
immagine più bella, chiara e insieme profonda, per descrivere la vita
cristiana. La nostra vita in rapporto a Gesù.
Nella vite e nei
tralci ci è detto tutto. Occorre solo, con calma, saper contemplare questa
immagine, comprenderla e di conseguenza viverla.
Cosa ci è detto?
Innanzitutto che
Gesù è sorgente di energia, linfa vitale che scorga direttamente da
quell’agricoltore che è il Padre. “Senza
di me non potete far nulla”. Nulla. Non poco, non qualcosa. Nulla. Solo da
Lui viene la vita e ogni capacità di portarla a realizzazione.
Ci è detto poi che
noi siamo direttamente innestati a Lui. La nostra vita viene da Lui ed è legata a Lui. Non siamo noi
a scegliere di unirci a Lui, a darci da fare per diventare suoi tralci. No. Il
tralcio viene direttamente, non per suo volere, dalla vite stesse che gli
regala vita e linfa vitale. Noi dunque siamo gratuitamente, al di là di ogni
nostro merito, abitati da Cristo vita. La sua energia è in noi. In quanto
tralci della vita, siamo vite. In quanto creature siamo abitati dall’energia
del Creatore che ci è data in Cristo e nel suo Spirito come ci ha ricordato
anche Giovanni: “In questo riconosciamo
che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato”. Per usare
un’espressione forte ma sicuramente efficace, possiamo dire: noi siamo
divinizzati. Così si esprimevano gli antichi padri della chiesa. Che significa:
Dio è in noi, noi siamo resi figli suoi, perché in noi scorre la stessa vita
del Padre e del Figlio amato, il loro Spirito d’amore.
Ci è poi detto lo
scopo di questo essere abitati da Lui. E’ sintetizzato a conclusione del brano:
“In questo è glorificato il Padre mio:
che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. Dare gloria a Dio è
lo scopo della vita. Dare gloria è manifestare il suo amore bello, glorioso,
splendido, attraverso la nostra vita. Questo si attua attraverso due modalità.
Innanzitutto il
portare frutto. Bello sapere che gloria di Dio sono i nostri frutti. Potremmo
dire che senza di noi, senza i nostri frutti la vite rimane sterile; Dio -può
sembrare assurdo e esagerato affermarlo- ha bisogno di noi per realizzare se
stesso! Sono i nostri frutti infatti la gloria, la realizzazione piena di Dio.
Questo Lui si attende. Questo desidera. Non ci chiede di rinunciare a
realizzarci, di reprimere i nostri desideri positivi, le nostre doti e
possibilità, ma di essere fecondi, portatori
di frutti, generatori di vita. La sua energia che scorre in noi non va spenta,
bloccata, ma deve trovare spazio di creazione nella nostra vita, nelle nostre
opere, nei frutti che siamo chiamati a portare.
Una seconda
modalità per portare gloria a Dio è diventare discepoli di Gesù. Diventare;
certo, perché non lo si è mai in modo definitivo. Non possiamo crederci
cristiani arrivati, ma dobbiamo sentirci cristiani in cammino, in movimento:
diventare, giorno dopo giorno, sempre più discepoli che apprendono da Gesù
l’arte di portare buoni frutti. Il cristiano che si crede arrivato diventa
tralcio secco, inaridito, sterile. E di questo seccume oggi rischia di esserne
piena la chiesa…
Interessante è
notare come il “portare frutto” è
strettamente legato al “diventare
discepoli”. Quasi a ricordarci che i frutti attesi altri non sono che i
frutti stessi che Gesù ha portato e che ora noi come suoi discepoli dobbiamo
saper portare. Frutti che maturano “dal
seme che muore”, da una vita aperta al dono e al perdono, spesa per gli
altri, per il Regno e non conservata per sé, per il proprio comodo. Ecco la
necessità dunque della continua purificazione: “ogni tralcio che porta frutto lo pota” lo purifica “perché
porti più frutto”. Non si tratta tanto di un Dio che ama farci soffrire pur
di vedere maggiori risultati… Piuttosto di un Dio che ci invita ad affrontare
le lotte, le fatiche della vita, garantendo che tutto ciò porterà a una vita
più piena. Questo ce lo ha detto attraverso il suo Figlio che, passato dalla
potatura della passione e morte, è giunto allo splendore della risurrezione.
Infine un’ultima
cosa ci è detta in questo ricco brano. Che tutto ciò, perché diventi possibile,
chiama in gioco la nostra libertà e la nostra scelta. Noi, consapevoli di ciò
che siamo e di ciò a cui siamo chiamati, dobbiamo far di tutto per “rimanere in” Lui. E’ questo il nostro
‘unico’ impegno: “rimanere in” Lui.
Questo verbo è la parola chiave di tutta la riflessione e dell’immagine stessa
che Gesù ci propone. Viene ripetuto ben sette volte: rimanere. “Come il tralcio non può portare frutto da
se stesso se non rimane nella vita, così neanche voi se non rimanete in me”.
“Chi rimane in me e io in Lui, porta
molto frutto”. E’ vero che noi in quanto tralci siamo già in Lui vite. Ma è
altrettanto vero che possiamo, nella nostra libertà, decidere di voler fare a
meno della vite, di voler fare da soli, di ‘scollegarci’ da questa linfa di
energia e di vita. Il risultato è alla fine uno solo: “viene gettato via come il tralcio e secca”. E’ il fallimento di
noi stessi.
Rimanere: non accanto, non vicino, ma “in”. E’ un rapporto profondo, vitale che
ci è chiesto, di intimità e di comunione. Rapporto che è garantito dallo
Spirito che è in noi e che da parte nostra si attua attraverso l’ascolto della
Sua Parola. “Se rimanete in me e le mie
parole rimangono in voi chiedete quello che volete e vi sarà fatto”, perché
l’ascolto della Parola porta a mantenere il contatto vitale con Gesù, a
consentirgli di prendere dimora in noi e di conseguenza, se rimaniamo in
contatto con la Parola di Dio, i nostri desideri finiscono per coincidere con
la volontà del Padre e possono così trovare il loro perfetto compimento. E’ la Parola che ha la capacità di
purificare, correggere: “voi siete già
puri a causa della Parola che vi ho annunciato”. Essa perfeziona,
indirizza, chiarisce, unisce. Ascoltare è far dimorare l’altro in noi, è
dimorare in Dio stesso per avere in noi la sua energia e vita che ci rende
capaci di “portare frutto”. E’ la via
che intraprese Maria, la quale “conservava
nel suo cuore tutte queste cose”. E’ la via tracciata per ogni discepolo.
Quella Parola altro non è che la linfa vitale che attende solo di scorrere in
noi perché non rimaniamo sterili, secchi, cristiani acidi, ma portatori di
frutti sempre nuovi, fecondi di amore e gustosi di vita, per dare così gloria
al Padre e dare pienezza e compimento alla nostra esistenza.
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