Un testo di Carlo Maria Martini
Tra le molte cose che
si possono dire sulla maniera in cui è vissuta oggi la dimensione
contemplativa dell’esistenza, viene in mente la disabitudine alla
pratica della preghiera e alle pause contemplative. In questo la nostra
civiltà occidentale si distingue nettamente dalle civiltà dell’Oriente,
dove sono in onore la pratica e le tecniche contemplative e il gusto per
la riflessione profonda. Forse la gente prega e riflette più di quanto
non sappia o non dica. Si tratta di aiutarla a dare un nome più preciso,
un indirizzo più costante, a certe impennate del cuore che, più o meno
intensamente, sono presenti nella storia di ognuno.
L’esodo massiccio dalle città nei
periodi di vacanza e nei fine settimana esprime in fondo anche questo
desiderio di ritorno alle radici contemplative della vita. Lo sfondo
generale lo dà la cultura occidentale attuale, che ha un indirizzo tutto
teso al «fare», al «produrre», ma che genera per contraccolpo un
bisogno di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo. Sia
l’attivismo frenetico sia certe maniere di intendere la contemplazione
possono rappresentare una «fuga» dal reale. Per far evolvere questa
situazione non basterà risvegliare una ricerca di preghiera, occorrerà
anche purificare, orientare certe forme scorrette o insufficienti di
ricerca. In particolare occorrerà evitare le contrapposizioni tra
azione, lotta e rivoluzione da un lato, e contemplazione, silenzio e
passività dall’altro.
Bisognerà dare uno specifico
orientamento sia all’azione sia alla contemplazione. (...) Va tenuto
presente anzitutto il tono esasperato che assumono le contraddizioni
della civiltà industriale. Questo rende ancor più stimolante e profetico
il compito di elaborare modelli e forme di preghiera contemplativa per
l’uomo d’oggi. Si può ricordare la crisi di certi adulti che, sparite
certe forme tradizionali di preghiera legate al ritmo pre-industriale,
faticano a trovare nuove forme. Si può ricordare la consolante richiesta
di silenzio contemplativo da parte di certi giovani. E la confluenza di
più civiltà nella trama internazionale della nostra società. Il
confronto con le forme di preghiera provenienti soprattutto dall’Oriente
può diventare uno stimolo per una più rigorosa scoperta degli originali
valori della preghiera cristiana, sullo sfondo di un dialogo e di un
reciproco arricchimento con altre tradizioni.
La proposta di riflettere sulla
dimensione contemplativa della vita intende provocare il recupero di
alcune certezze che hanno patito qualche scolorimento e qualche eclissi:
l’importanza del silenzio, il primato dell’essere sull’avere, sul dire,
sul fare, il giusto rapporto persona-comunità. Mi pare venuto il
momento di ricordare che l’abitudine alla contemplazione e al silenzio
feconda e arricchisce, che non si ha azione o impegno che non sgorghi
dalla verità dell’essere profondo. L’uomo «nuovo» – cui la fede ha dato
un occhio penetrante che vede oltre la scena e la carità, un cuore
capace di amare l’Invisibile – sa che il vuoto non c’è e il niente è
eternamente vinto dalla divina Infinità. Sa che l’Universo è popolato da
creature gioiose, e di essere spettatore e già in qualche modo
partecipe dell’esultanza cosmica, riverberata dal mistero di luce,
amore, felicità del Dio Trino. Perciò l’uomo nuovo, come il Signore Gesù
che all’alba saliva solitario sulle cime dei monti, aspira ad avere per
sé qualche spazio immune da ogni frastuono alienante, dove sia
possibile tendere l’orecchio e percepire qualcosa della festa eterna e
della voce del Padre.
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