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sabato 25 gennaio 2025

"Spero nella tua Parola" - Terza domenica del tempo ordinario

 

L’immagine utilizzata da Paolo nella seconda lettura – il corpo e le diverse membra – descrive con efficacia la Chiesa di cui tutti noi, grazie al dono del Battesimo, siamo parte. E’ un’immagine che parla di unità nella diversità, di comunione nella molteplicità dei doni, di “convivialità delle differenze”, di un’armonia che si compie nel rispetto delle diversità e nell’attenzione a chi è più debole e fragile. Insomma nessuno può dire: “Non ho bisogno di te, non ho bisogno di voi”. Anzi “le parti più deboli sono le più necessarie”. Solo se “le varie membra hanno cura le une delle altre” il corpo trova la sua armonia e bellezza, la sua forza e vigore.

L’immagine possiamo applicarla, pur con le dovute differenze, anche alla società che come cittadini insieme costituiamo.

Il popolo è come un corpo fatto da diverse membra, e tutte sono ad esso necessarie. Non si possono fare discriminazioni, né rifiutare o peggio eliminare alcune membra, se non a costo di far morire il corpo stesso, di far venir meno il popolo, la società. Discorso attualissimo in questi tempi di chiusure e di paure; domani poi ricorderemo la giornata della memoria che ci riporta a un passato molto vicino carico di pazzia e di morte, frutto malefico di aver voluto creare una razza pura, eliminando il diverso.

Tuttavia l’armonia di un popolo, di una società e della chiesa stessa non si attua semplicemente nell’accostamento di parti diverse con la speranza che abbiano ad accettarsi.

Occorre piuttosto un legame, una spinta interiore che permetta di crescere insieme percependo sempre più l’importanza di ciascuno e la bellezza delle diversità che si accolgono, si rispettano, si aiutano.

Quale può essere questo legame che rende il corpo armonico, unito, solidale? La nostra società italiana è uscita dal secolo buio delle grandi guerre dando vita alla Costituzione. Queste parole, definite con saggezza e frutto di esperienza vissuta, continuano ad essere il collante per la vita democratica del Paese. Così è ed è stato per ogni popolo.

La prima lettura ci presenta il popolo di Israele dopo l’amara esperienza dell’esilio: si ricompone e si riunisce attorno alla Parola di Dio riscoperta, accolta, ascoltata e vissuta.

La descrizione di questo momento solenne di ascolto esprime la forza unificante e stimolante che la Parola ha verso gente provata, divisa, emarginata. Si torna ad essere popolo attorno a una Parola, alla Parola stessa di Dio.

Così è ancora oggi per noi cristiani. Come Chiesa sappiamo che ciò che ci unisce in un solo corpo è quella Parola che si è fatta carne in Gesù.

Oggi, domenica della Parola, il Vangelo si apre con la premessa di Luca che vuole renderci partecipi della solidità degli insegnamenti ricevuti. E poi il testo continua presentando Gesù che nella sinagoga legge la Parola, la spiega. Si presenta come colui che è venuto a portare una parola che genera liberazione, solidarietà, fraternità. Una parola che trova compimento, oggi, subito in Lui.

“Gli occhi di tutti erano fissi su di Lui”.

Anche noi oggi dobbiamo tornare a fissare su Gesù i nostri occhi per trovare in Lui quella Parola viva ed efficace.

Parola che ha la forza di liberarci da ogni forma di egoismo e di divisione, per renderci un solo corpo, il Suo Corpo, nella pluralità e ricchezza dei suoi membri e nell’armonia che tutti unisce in fraternità e amore. Chiesa che continua a testimoniare nell’oggi la forza rinnovatrice di un Vangelo che può e deve continuare a trasformare noi stessi e questa storia per renderla conforme al disegno di Dio, quale storia di giustizia, di pace, di solidarietà tra tutti gli esseri umani.

 

sabato 18 gennaio 2025

"Credi tu questo?" - Seconda domenica del tempo ordinario

 

Le nozze e il banchetto: immagini e simboli della vita, chiamata a realizzarsi nell’amore e nella gioia. Proviamo allora a domandarci: cosa c’è di più tragico quando una esperienza come le nozze e un banchetto viene a fallire? Il vangelo ci fa respirare questa possibilità, questa tensione lì a Cana di Galilea a quella festa di nozze a rischio fallimento per la mancanza di vino.

E’ una possibilità che anche oggi può ripetersi. “Non hanno più vino”: che sta a dire non hanno più le risorse, la capacità di esprimere e vivere quella relazione d’amore che di fatto dovrebbe segnare la vita per sempre.

“Non hanno più vino”: indica questo vuoto d’amore che può generarsi per la nostra fragilità e debolezza a vivere una relazione autentica e vera sia con Dio come anche tra noi. Così avviene ogni qual volta che nella nostra vita subentrano fallimenti, fatiche, vuoti, mancanze; ci si percepisce falliti e tutto sembra venir meno. Possiamo personalmente esemplificare: crisi, divisioni, insuccessi, liti e discordie nelle famiglie, ingiustizie e cattiverie nella società, freddezza e indifferenza nella fede…

Siamo in una società che fatica ad aprirsi e accogliere chi è diverso, straniero, povero, disabile. Divisa anche tra gli stessi cristiani. Società provata da guerre che non hanno fine. Il vino della pace e della fraternità viene a mancare. Non abbiamo più vino dentro le nostre famiglie segnate da tante fatiche e prove. L’elenco può purtroppo continuare.

Maria, la madre attenta e vigilante, che percepisce le nostre manchevolezze interceda, anche oggi come ha fatto a Cana, presso suo Figlio: “Non hanno più vino”. E di nuovo indichi a tutti noi la strada: “Qualsiasi cosa vi dica fatela!”.

Sì perché la strada, per trasformare una vita annacquata e stanca, altra non è che quella di fidarsi di Gesù e della Sua Parola, viverla: così vedremo anche noi e assaporeremo la bontà del vino nuovo, gusteremo la bellezza dello Spirito dell’Amore che, distribuendo a tutti e a ciascuno doni diversi, ci spinge verso una comunione d’amore, perché la vita possa essere per tutti un banchetto di festa e di gioia, anticipo della comunione senza fine con lo Sposo che sempre ci ama e ci attende. Solo Gesù può comprendere le nostre manchevolezze e sanarle con la sua presenza.

“Credi tu questo?”: è il tema di questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Domanda che Gesù ha posto a Marta davanti alla tomba di Lazzaro. Domanda posta ai servi chiamati ad attingere acqua, posta a noi bisognosi di vino nuovo, di rinnovate energie di amore. A Cana non avviene una magia, un colpo di bacchetta magica che risolve una situazione divenuta difficile. Avviene un segno forte che invita ad aprirsi alla fede. Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. Un segno che ci fa riconoscere in Gesù la presenza dello Spirito del Padre che agisce dentro la nostra storia quotidiana. Siamo dentro l’abbraccio di uno Sposo che ci ama come già ricordava il profeta (1 lett.):”Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta devastata, ma sarai chiamata Mia gioia e la tua terra sposata”

C’è solo una cosa da fare: “Fate quello che vi dirà” ovvero credere in Lui, nella sua Parola, nella sua presenza nella nostra vita.

“Credi tu questo?”: significa credere nella persona di Gesù e nel suo Spirito sia nella storia e nella vita personale di ognuno di noi; significa vivere la fede in Gesù credendo alla sua Parola, credendo a ciò che può sembrare impossibile, perché il nostro Dio è il Dio dell’impossibile. E’ la nostra fede di discepoli che dobbiamo rinnovare e rafforzare se vogliamo tenere viva la speranza in una vita che possa sperimentare la gioia e la bellezza di relazioni di fecondità e di amore.

Questo è l’invito di Cana. Vedere l’invisibile che ci avvolge, ascoltare parole che appaiono folli, fidarci di Colui che in mezzo a noi oggi continua ad agire in nome del Padre per donare a ciascuno di noi e a tutta la famiglia umana il vino nuovo del Suo Spirito.

 

giovedì 16 gennaio 2025

lunedì 6 gennaio 2025

"Cammini di speranza" - Solennità dell'EPIFANIA

 

Riflettendo su questo episodio della manifestazione di Gesù ai Magi, ai lontani, alle genti, (è questo il senso dell’Epifania che “le genti sono chiamate a condividere la stessa eredità” dice Paolo), mi sono reso conto di quanto i Magi siano attuali per noi oggi.

Guardando al brano di Vangelo notiamo una contrapposizione tra staticità e movimento. Da una parte la staticità degli abitanti di Gerusalemme, di Erode, degli scribi e dall’altra il movimento ininterrotto dei Magi.

Questi personaggi appaiono come uomini del cammino che, lasciandosi interrogare dai fatti, dalla situazione che vivono, dai segni che vedono, non stanno ad aspettare una risposta, una soluzione, ma la cercano. In cammino lasciandosi interrogare, aperti ad ogni provocazione e situazione. Quanto attuale questo invito. Essi sono veri pellegrini di speranza.

Nel loro pellegrinare possiamo così cogliere alcune indicazioni utili anche per noi in questo anno giubilare.

Innanzitutto ci invitano a saper leggere i segni: “Alza gli occhi intorno e guarda” diceva già il profeta Isaia. “Abbiamo visto – dicono i Magi – e siamo venuti”. Hanno visto segni (la stella, le antiche scritture) si sono lasciati interrogare e si sono messi in movimento per cercare, per trovare la novità intuita. Importante anche per noi saper leggere i segni di quanto avviene e lasciarsi interrogare da essi. Cosa mi dice quanto sto vivendo? quali provocazioni mi offre? a quali domande mi provoca? quali segni riesco a vedere, in bene e in male, attorno a me, nei fatti del quotidiano? ci sono luci di bene, di solidarietà, ci sono fatiche e sofferenze, ci sono rovesciamenti di abitudini… tutto ciò cosa mi dice? Occorre lasciarci interrogare, chiederci cosa ha da dirci quanto stiamo vivendo. E’ il primo passo se vogliamo aprirci a un cammino di novità, uscendo dall’immobilismo delle nostre paure e abitudini, delle nostre fragili sicurezze ed essere pellegrini di speranza.

Viene poi una seconda indicazione, tutta fatta di verbi: “Videro… si prostrarono, adorarono, aprirono, offrirono”. Verbi che indicano azioni che si riassumono in un unico atteggiamento: farsi dono. Hanno intuito che ciò che hanno visto e compreso attraverso il loro ricercare, il segno incontrato (videro il Bambino), conduce alla scelta di fare della propria vita un dono. Non tenere per sé, ma mettersi ai piedi dell’altro, del piccolo, riconoscerne la dignità, aprirsi e offrire sé stessi con i doni e le capacità che li caratterizzano. Invito oggi per noi a riscoprire il valore dell’apertura, delle relazioni: con Dio e con gli altri, nella rinnovata consapevolezza che nel farsi dono sta il segreto per ricostruire relazioni autentiche aperte alla disponibilità nel servire, nell’offrire, nel condividere. «La speranza del mondo sta nella fraternità» ha detto giorni fa papa Francesco. E continua: “la speranza di un mondo fraterno non è un’ideologia, non è un sistema economico, non è il progresso tecnologico. La speranza di un mondo fraterno è Lui, il Figlio incarnato, mandato dal Padre perché tutti possiamo diventare ciò che siamo, cioè figli del Padre che è nei cieli, e quindi fratelli e sorelle tra di noi”. Quel Bambino che i Magi incontrano e adorano.

Ultima indicazione: “per un’altra strada tornarono”. Cambiare strada diventa allora fondamentale. Non più la strada di Erode: del potere, del dominio, della forza, del primeggiare e possedere, della sicurezza personale e individualistica, della paura che chiude e paralizza. Una strada nuova è necessaria oggi come allora. Per un'altra strada dobbiamo imparare a camminare oggi: la strada del coraggio, della responsabilità personale, della giustizia e dell’onestà, del rispetto della vita e delle persone, della solidarietà, dell’attenzione al creato, del prendersi cura della vita di tutti e di ciascuno, della pace.

Non sciupiamo la provocazione che ci viene dai Magi e mettiamoci subito in movimento: interrogarci, cercare, cambiare, per poter arrivare anche noi a fare l’esperienza dell’incontro con Colui che apre sempre a cammini di speranza e ci riempie – come per i Magi - di “una gioia grandissima”.