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sabato 16 novembre 2024

"Speranza e responsabilità" - XXXIII domenica del tempo ordinario

 

Quale reazione dopo l’ascolto della Parola di Dio oggi? Cosa ha suscitato in noi? Paura, angoscia, perplessità, oppure fiducia, speranza?

Sicuramente emerge un forte richiamo alla fragilità e alla provvisorietà del mondo, dell’universo intero, di ciascuno di noi. Tutto muove verso una fine, così ci viene da pensare. Ma di fatto la Parola parla, più che di una fine, di un fine, una mèta dove, tutto ciò che è destinato a passare, troverà il suo compimento. Si prospetta una mèta di comunione (radunerà i suoi eletti) e di maturazione, di piena realizzazione (dalla pianta imparate), un fine di vita.

Questo il messaggio carico di speranza. Se ogni giorno facciamo esperienza di un mondo che sembra crollarci addosso (fatiche, delusioni, fallimenti, guerre, violenze) tuttavia ogni giorno proprio da lì possiamo sempre ripartire verso nuove mete e orizzonti. Importante oggi accogliere e fare nostro questo messaggio. In questo “tempo di angoscia” come dice il libro di Daniele (1 lettura) occorre che apriamo la nostra vita alla speranza e di conseguenza anche a una rinnovata responsabilità.

Questa responsabilità si declina nel saper vedere il positivo, nel coltivare i germogli che ci sono e stanno maturando, di lavorare per una storia diversa nella consapevolezza del Suo ritorno pur non sapendo né il giorno né l’ora.

C’è poi un avvenimento, che siamo invitati a celebrare e vivere in questa domenica, che sollecita questa nostra responsabilità carica di speranza. Papa Francesco ci invita oggi a celebrare per l’ottava volta la Giornata mondiale dei poveri. Scopo non è la raccolta di offerte, ma la riflessione, la sensibilizzazione, la responsabilità da risvegliare.

Nell’anno dedicato alla preghiera, in preparazione dell’ormai imminente anno santo del giubileo, l’invito è appunto quello di pregare: “La preghiera del povero sale fino a Dio” (Siracide). E “tutti siamo poveri e bisognosi. Tutti siamo mendicanti, perché senza Dio saremmo nulla. Non avremmo neppure la vita se Dio non ce l’avesse donata”. Riconoscendoci così poveri con i poveri come cristiani “siamo chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società”. E’ la responsabilità di una carità solidale che può trovare solo nella preghiera la sua sorgente e forza; significativo l’esempio di Madre Teresa di Calcutta che il papa propone, che proprio dalla preghiera trovava le energie per vivere la carità verso i poveri.

Ecco dunque l’invito: “Esorto ognuno a farsi pellegrino di speranza ponendo segni tangibili per un futuro migliore. Non dimentichiamo di custodire ‘i piccoli particolari’ dell’amore’: fermarsi, avvicinarsi, dare un po' di attenzione, un sorriso, una carezza, una parola di conforto…” Non sono forse questi i piccoli germogli da imparare a vedere e da coltivare che ci parlano dell’”estate vicina”, della speranza in un futuro diverso? Certo, ricorda il papa, “questi gesti non si improvvisano; richiedono piuttosto una fedeltà quotidiana spesso nascosta e silenziosa, ma resa forte dalla preghiera”. E la preghiera è invocare il dono dello Spirito proprio per imparare a leggere i segni, a vedere e toccare con mano i germogli di quel mondo nuovo che cresce in mezzo a noi, di quel regno di Dio che è già qui, tutto da scoprire e costruire insieme attraverso i piccoli dettagli del quotidiano. “Quando vedrete accadere queste cose (e si tratta di cose positive: germogli di bene, foglie e frutti che spuntano e maturano…) sappiate che egli è vicino”.

Speranza e responsabilità da coniugare insieme dunque.

Non noi da soli. Ma tutti sotto la guida di Gesù stesso e della sua Parola che da sempre e per sempre illumina i passi e scalda il cuore. Ridà speranza e sostiene il nostro impegno di responsabilità. “Le mie parole non passeranno” afferma Gesù. E queste parole allora non devono mancare mai nella nostra vita di ogni giorno, trovando concretezza dentro le nostre comunità. Sono il tesoro prezioso che ci accompagna per aiutarci insieme a tendere verso quel fine di pienezza, di comunione, di vita, mèta finale del cammino di ciascuno e dell’umanità intera.

sabato 9 novembre 2024

"Osserva e agisci" - XXXII domenica del tempo ordinario

 

Guardare, osservare. Due verbi che risuonano nella pagina del vangelo come invito che oggi Gesù rivolge a tutti noi.

Guardare e osservare chi? Ci sono nel vangelo due scene caratterizzate una dagli scribi, e l’altra dalla vedova.

La prima scena vede in mostra gli scribi, gente che ha fatto dell’esteriorità il loro stile di vita: “passeggiano in lunghe vesti, amano i primi posti, essere riveriti per strada...”. Non solo: questo loro modo di atteggiarsi nasconde ingiustizia e mancanza di amore: “divorano le case delle vedove”.

Questa vita ridotta a spettacolo esteriore che nasconde atteggiamenti ingiusti di disprezzo degli altri purtroppo la vediamo praticata anche oggi. Gli scribi di oggi hanno certo altri nomi (e forse anche il nostro nome…), ma sempre si tratta di persone che a tutti i costi vogliono apparire, emergere nella società a discapito degli altri, anzi usando spesso gli altri e anche Dio stesso.

“Guardatevi” da loro, dice con chiarezza Gesù. “Guardatevi” e non “guardateli”; tenetevi lontani, state attenti e non invidiateli né imitateli. Perché il rischio è proprio questo: che ci lasciamo prendere da questo modo di essere e di vivere che ci circonda ed è costantemente sotto i nostri occhi nella tv, nei giornali, fino a rimanerne assuefatti, incantati come davanti a modelli da imitare. Questi sono quelli che divorano e massacrano i piccoli, gli indifesi, i poveri. “Guardatevi” da loro, tenetevi ben lontani.

La seconda scena invece vede protagonista una “vedova povera”.  Gesù ci invita a fissare gli occhi su di lei. Ad osservarla nel suo modo di essere e di agire. “Seduto davanti al tesoro del tempio Gesù osservava come la folla vi gettava monete”. Osservava «come», non «quanto» la gente offriva. “I ricchi (quelli descritti sopra) gettavano molte monete, Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine”. Gesù chiama a sé i discepoli e li invita a osservare con attenzione: “questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”.

Gesù non bada ovviamente alla quantità di denaro. Guarda al cuore di una donna che ha saputo mettere tutta la sua vita, tutto quello che possedeva, il suo stesso futuro, nelle mani di Dio; una donna che veramente ama Dio con tutto sé stessa, fidandosi totalmente di Lui e affidandosi totalmente a Lui.

Un forte contrasto tra le due scene. Un contrasto che fa emergere due modi diversi di vivere e di credere. Uno da cui guardarsi: “Guardatevi”, l’altro da osservare e imitare.

Su questi due atteggiamenti dobbiamo verificarci innanzitutto personalmente. Sì perché si può essere cristiani solo di facciata, capaci anche di fare tante cose esteriori belle per farsi notare e peggio ancora opprimendo gli altri. Da questo modo di vivere dobbiamo veramente guardarci, starne lontani.

Nella vedova povera invece è tracciato lo stile del vero credente, del discepolo di Gesù chiamato ad assumerne lo stile: di fiducia, di affidamento, di donazione gratuita non tanto di cose, di denaro, quanto di se stessi, della propria vita.

Come la vedova povera, quelli che sorreggono il mondo, quelli che contano veramente agli occhi di Dio, non sono gli uomini e le donne di cui tutti parlano e sfacciatamente mettono davanti ai nostri occhi ogni loro azione e scelta, bensì quelli dalla vita nascosta, fatta di fedeltà, di generosità, di onestà, di giornate a volte cariche di immensa fatica. Sono questi che danno di più. I primi posti di Dio appartengono a quelli che, in ognuna delle nostre case, danno ciò che fa vivere, regalano vita quotidianamente, con mille gesti non visti da nessuno, gesti di cura, di attenzione, rivolti ai genitori o ai figli o a chi è nella necessità. Piccoli gesti pieni di cuore, come quelli delle due vedove che la Parola oggi ci presenta; gesti che nascono da una fede profonda e autentica e ne diventano manifestazione.

Gesù, nell’atteggiamento generoso della vedova, vede il proprio cammino. I discepoli devono fissare bene nella mente quel gesto, sia per comprendere la sua passione e morte, che per disporsi a fare altrettanto.

Guardiamo a Lui che si è fatto povero ed è venuto a donare, non il superfluo, ma tutto per noi, per quel ‘tempio’ che è l’umanità. Lui, come ci ha ricordato la lettera agli Ebrei, “ha offerto sé stesso una volta per tutte” perché anche tutti noi, liberi dall’inganno del peccato, ne seguissimo l’esempio.

 

sabato 2 novembre 2024

"Con tutto il cuore" - XXXI domenica del tempo ordinario

 

La festa dei Santi e il ricordo dei defunti accompagna queste giornate; e anche la Parola oggi ascoltata risuona dentro questo clima di preghiera, di riflessione, di ricordi.

Una Parola che ci porta immediatamente a ciò che vale di più, a ciò che è più importante, a riconoscere ciò che nella vita veramente conta: l’amore.

Per amore di Dio e del prossimo i santi hanno speso generosamente la loro vita, ritrovandola in pienezza, portando frutti che oggi noi possiamo gustare, che nutrono e rinsaldano il nostro cammino.

Essi ci ricordano che non c’è altra strada per realizzare sé stessi se non l’amore di Dio e del prossimo. E come ogni strada ha certo le sue fatiche, le sue salite. L’amore è appunto un cammino; si snoda nel futuro. Gesù stesso coniuga l’amore al futuro: “Amerai”. Passo dopo passo, giorno dopo giorno. Amerai. Crescerai nell’amore e arriverai alla sua pienezza.

Il ricordo dei nostri defunti ci invita a riconoscere che l’amore è la meta finale – appunto la pienezza verso la quale tendiamo - ed è ciò che rimane quando tutto finisce e scompare. E’ ciò che saremo per sempre: amore nell’abbraccio del Dio Amore che ci ha chiamati alla vita e questa vita la porta a pienezza in Lui.

Riconosciamo allora, come Gesù ci ricorda, che l’amore è il principio e il fine di tutto: nasce da Dio, arriva a noi come dono, si espande verso il nostro prossimo, in forme e modalità le più diversificate, spingendo così il mondo e la storia verso una comunione universale che troverà in Dio il principio di tutto anche il suo compimento. L’amore non è quindi sentimento e non è pensiero; l’amore è energia, è forza che trascina e spinge, che muove e impregna tutto e tutti.

Di questo amore, rivelatoci da Cristo Gesù, noi sua famiglia, sua chiesa, siamo resi canale inesauribile. La chiesa esiste per diffondere l’amore del Padre del Figlio e dello Spirito. E’ la sua missione, il suo compito. Quando dimentica ciò, non solo non ha più nulla da offrire al mondo, ma diventa ostacolo e impedimento agli uomini e alle donne che cercano e anelano alla pienezza della vita.

Allora come chiesa facciamo nostro ancora una volta l’invito di Gesù, ascoltiamo, accogliamo l’invito ad amare.

Papa Francesco nella nuova enciclica che ci ha donato, già nel titolo ci offre la chiave di lettura non solo del testo ma anche della nostra vita: “Dilexit nos”, “Ci ha amati”. Con tutto il cuore, con tutto sé stesso. Dal cuore di Cristo sgorga una sorgente di amore che è la vita stessa di Dio offerta a tutti noi perché abbiamo ad imparare ad amarlo con tutto noi stessi, con tutto il cuore e ad amarci gli uni gli altri.

In mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni che elaboriamo per regolare la vita nostra e altrui, Gesù apre una breccia che mette in evidenza un’unica indicazione, la sola che può dare una svolta positiva ad ogni situazione esistenziale: l’amore. Mette in evidenza due volti, o meglio due cuori: quello del Padre e quello del prossimo. Non ci consegna due formule o due precetti in più. Ci consegna due cuori, o meglio, uno solo, quello di Dio che si apre ad accogliere i nostri cuori nel suo. Perché in ogni fratello e sorella, specialmente nel piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio, batte il suo cuore di Padre.

Alla fine allora che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo; Dio e ciascuno di noi. Queste due ricchezze non svaniscono.

Amare Lui e il prossimo è il cuore, il centro e il senso del nostro essere oggi nel mondo.  E’ la strada che ancora una volta ci viene proposta per ridare speranza al futuro e per aprire orizzonti nuovi di umanità, di riconciliazione, di pace a partire dalle nostre relazioni quotidiane.