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sabato 29 giugno 2024

“Talità kum” - XIII° domenica del tempo ordinario

Due donne, una adulta l’altra bambina; entrambe segnate da malattia e morte, alla ricerca di salute, felicità, vita.

Un gesto: il toccare. La donna “toccò”; “se anche solo riuscirò a toccare le sue vesti sarò salvata”. La bambina invece viene toccata da Gesù che “prese la mano della bambina e le disse ‘Talità kum’: alzati!”. Gesto trasgressivo questo toccare; perché? La donna con le perdite di sangue era considerata dalla legge impura e le era assolutamente vietato ogni contatto con alcuno (allo stesso modo dei lebbrosi!); così pure la legge vietava di toccare un cadavere. Nonostante ciò tutto va sia lei che Gesù trasgrediscono, toccano, stabiliscono una relazione con l’altro.

Un atteggiamento: la fede. “Non temere soltanto abbi fede”; “Figlia la tua fede ti ha salvata”. Una fede audace e più forte del male e della morte; questa fede in Gesù, porta al ritrovamento della vita in tutta la sua pienezza, sia per la donna malata, che per la bambina morta.

Un numero: 12. La donna era malata “da dodici anni”; la bambina “aveva dodici anni”. Importante il simbolismo dei numeri per gli ebrei. Il dodici, come le 12 tribù d’Israele, sta a indicare tutto il popolo; è simbolo di totalità. A voler sottolineare che quella donna e quella bambina rappresentano tutta l’umanità, tutti noi.

Gesù infine, al centro di tutto. Lui si lascia toccare, lui tocca e dona e porta vita. Chi entra in relazione con lui, in una relazione di fede, viene risanato, risollevato, riportato alla vita.

Toccare Gesù e lasciarsi toccare da Lui significa toccare l’amore, ripartire dall’amore. L’amore, consapevole o meno, funziona comunque, sempre, su tutto. L’amore di Dio che visita l’amore dell’uomo questo guarisce l’umanità e apre le porte alla pace, alla serenità, alla felicità che andiamo cercando.

Fermiamoci allora su un particolare che può sembrare secondario eppure descrive bene la nostra umanità oggi alla ricerca di pace, di vita, di giustizia.

Quella donna, che ci rappresenta, dice il vangelo, “aveva perdite di sangue”. Tutti noi ancora oggi soffriamo di “perdite di sangue”. Il sangue, nella Bibbia è sinonimo di vita. Perdere sangue, sta a dire perdere vita. Oggi viviamo tutti in continua perdita di vita, stremati, ansiosi, in mezzo a conflitti e guerre, omicidi assurdi e violenze. E’ una umanità la nostra che “perde vita” in continuazione. Tutti, lo riconosciamo, siamo segnati da ferite, da emorragie, da perdita di pace, di serenità, di amore.

Contro questo essere in “perdita di vita”, contro tutto ciò che contrassegna di paura e di morte il nostro oggi, la Parola ci dice che occorre tornare a “toccare” e a “lasciarsi toccare e prendere per mano” da Gesù, come quella donna, come quella bambina. Solo un’umanità che ritrova il coraggio di “toccare”, cioè di entrare in relazione personale, vitale con Gesù e con i fratelli e le sorelle, può ritrovare vita. Entrare in una relazione profonda e vera “gettandoci davanti a Lui” come quella donna che esce dall’anonimato della folla. Solo così potremo sentirci dire: “Figlia, figlio, và in pace e sii guarito dal tuo male”. E ancora: “Talità kum”, invito bellissimo che Gesù dice a tutti noi: “fanciulla umanità, svegliati! alzati”.

Quel Dio che “non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi”, ma che ha voluto “le creature del mondo portatrici di salvezza” ci ha detto il libro della Sapienza; quel Dio che tutti ha creato “a immagine della propria natura”, e questa natura altro non è che amore ci invita con coraggio a fidarci di lui e seguendo Gesù, che “da ricco che era, si è fatto povero per voi perché voi diventaste ricchi per la sua povertà” (2 lettura), ritrovare pace, serenità, vita, pienezza.

Un amore quello di Gesù che diventa offerta e dono, “offerta di sangue” per noi; il suo sangue versato è il segno più alto dell’amore vero. Esso viene a rinvigorire il nostro “sangue perso”: la sua vita donata, diventa per noi vita ritrovata. Qui, proprio qui, ogni domenica, nell’Eucaristia. Energia di vita, di amore, senza la quale si va solo verso la morte.

 


 

sabato 22 giugno 2024

"Sei in buone mani!" - XII domenica del tempo ordinario.

 

Mi domando come sarebbe andata a finire se gli Apostoli non lo avessero svegliato, se avessero continuato a tirar fuori l’acqua dalla barca, ad aggiustare vele e timone in favore di vento, se lo avessero lasciato dormire tranquillo a poppa.

Qualche schizzo gli sarebbe arrivato sul volto e sulla barba o si sarebbe svegliato comunque fradicio di acqua, infreddolito dal vento? E se la barca fosse affondata? Avrebbero cercato le sue mani tra i rottami, nelle onde alte, trascinati dalle correnti? O forse la tempesta si sarebbe comunque improvvisamente placata, cullata dal respiro regolare del sonno del Maestro? Mi domando in fondo cosa sarebbe successo se gli apostoli avessero avuto davvero fede.

Ma forse, anzi sicuramente, questa pagina è stata scritta per me che, afferrato dallo spavento in ogni tempesta della mia vita e scosso dalle bufere inaspettate, urlo di terrore e chiedo al mio Dio: Dove sei, perché dormi? Non ti importa niente di me?

E mi aspetto sempre un intervento miracoloso che faccia dissolvere le origini delle mie paure e che sciolga tutti i nodi della mia vita. Ancora non ho capito, ancora non ho fede. Ad ogni brivido di paura che mi coglie, ad ogni pericolo che sento incombente, la mia fede deve cominciare daccapo, come un nuovo inizio. Sulla bilancia della mia vita pesano più le paure che la mia fede.

Eppure Lui lo ha detto: «Se aveste fede quanto un granellino di senape…(Lc.17,6)» meno di una lenticchia, appena un chicco di fede e potrei far volare gli alberi o semplicemente accucciarmi fiducioso nel mare in tempesta.

Mi piacerebbe arrivare in porto con Lui, cullato dal suo lento e sicuro remare, sbarcare sulla terraferma tra le sue braccia lasciandomi alle spalle la bufera: al sicuro insomma, «come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia» (Sal. 131, 2).

Invece so già che mi ritroverò a gridare di paura, a rimproverargli la sua assenza, a provocarlo dicendogli che tanto di me non gliene importa niente se non fa quello che dico.

Ancora una volta pretendo un Dio fatto a mia immagine, che ragioni con la mia testa, che abbia le mie stesse soluzioni ai problemi e fatico, come remare controcorrente, a comprendere che Lui è immensamente più di me e mi sussurra all’orecchio «i miei pensieri non sono i tuoi pensieri, le tue vie non sono le mie vie» (Is. 55,8). Anche le vie del mare in tempesta, anche quelle strade che sembrano labirinti in cui mi perdo. Non al vento, ma a me oggi Gesù dice: «Taci, calmati», stai tranquillo, non ti agitare, per te ho in serbo il meglio. Sei in buone mani, nelle mie mani.

 

Commento di d.Luigi Verdi, da Avvenire.

 

sabato 15 giugno 2024

"C'è speranza!" - XI domenica del tempo ordinario

E’ una Parola densa di speranza e fiducia quella ascoltata oggi. Paolo ci incoraggia: “Siamo sempre pieni di fiducia” (2 lett.).

Quale il motivo?

Gesù ci invita ad aprire gli occhi e il cuore per vedere che Dio agisce in mezzo a noi. Il suo Regno, di cui parla, è la sua azione dentro la storia.

Noi facciamo fatica a vederla perché ci aspettiamo qualcosa di grandioso, di clamoroso; invece l’agire di Dio è ben diverso.

Già il profeta Ezechiele (1 lett.) descriveva questo agire con immagini chiare (l’albero alto soppiantato dall’albero basso) Dio è colui che rovescia i criteri dell’uomo: “Io sono il Signore che umilio e innalzo”. “Ha rovesciato i potenti dai troni ha innalzato gli umili”: da sempre questa è la via del regno.

Gesù conferma tutto ciò e parla dell’agire di Dio come di un seme che dentro i solchi della storia cresce e germoglia con i suoi tempi e modi. Un seme piccolo che tuttavia è destinato a diventare albero grande che raccoglie tutti i popoli.

Ecco il motivo della nostra fiducia e speranza che oggi, in questo tempo così incerto e oscuro, dobbiamo ravvivare. Dio opera dentro il terreno della nostra storia e lo fa silenziosamente e efficacemente. Il futuro è già qui se lo sappiamo intuire, ed è un futuro di vita, di fecondità.

A noi è chiesto innanzitutto la conversione dello sguardo: impariamo a vedere i semi. Non stiamo a guardare a tutto ciò che fa clamore, rumore, appariscenza. Proprio vero il detto: che fa più rumore un albero che cade che non una foresta che cresce. Andiamo a scovare, in noi e attorno a noi, i tanti semi di bene che Dio non si stanca mai di seminare e che stanno crescendo in mezzo a noi. Resteremo stupiti perché ne scopriremo assai più di quanto immaginiamo. Il mondo è pieno dei semi del regno e anche il nostro cuore è stato da essi fecondato.

Scopriamoli e poi custodiamoli, proteggiamoli, facciamoli crescere. “Ci sforziamo di essere a Lui graditi” dice ancora Paolo. Questo avviene nella misura in cui collaboriamo alla edificazione del regno di Dio, coltivando ogni seme di pace, di giustizia, di amore che scopriamo in noi e attorno a noi, ovunque essi si manifestino.

“È necessario porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza” scrive papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo che avrà come tema la speranza (Spes non confundit).

E ancora continua dicendo: “La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore”. In questo facciamo anche noi la nostra piccola parte, come piccoli semi del Regno che cresce in mezzo a noi.