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sabato 25 maggio 2024

"Abbraccio vitale" - Santissima TRINITA'

C’è un gesto che noi ripetiamo tutti i giorni e forse non sempre ne comprendiamo appieno il significato e la forza: il segno della croce. «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Al mattino quando ci svegliamo o entrando in chiesa, nei momenti del bisogno, quasi come gesto scaramantico sul campo di gioco o in altre situazioni di prova. In quel gesto si riassume tutta la nostra fede, il mistero di un Dio che chiamiamo Trinità: Padre, Figlio e Spirito.

Quel gesto dice tutto di Lui. Ci ricorda che Lui ci abbraccia da capo a piedi, da un lato all’altro. Dio è un abbraccio che ci avvolge e con tutta la sua molteplice ricchezza ci sostiene, ci guida, ci ama. Un abbraccio di amore il cui vertice è la croce.

L’abbraccio è il gesto più bello che porta a fondere insieme, in armonia i diversi. Mi ritorna l’immagine della settimana scorsa a Verona quando papa Francesco ha stretto in un abbraccio un israeliano e un palestinese. Tre persone diverse tra loro ma in quell’abbraccio fuse insieme in una comunione d’amore che metteva in risalto l’unica dignità della persona umana creata a immagine di Dio. Diversi ma uguali nella dignità. E’ un immagine che ci aiuta a intuire la bellezza della Trinità fino a comprendere che non si tratta di una strana teoria bensì della vita stessa di Dio che ci ha raggiunto e che ci avvolge.

Il Battesimo per noi cristiani è stato questo particolare e unico momento nel quale siamo stati immersi in questo abbraccio di amore. “Battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” dice Gesù ai discepoli. Battezzateli cioè immergeteli. Un’immersione d’amore che ci rende figli a immagine del Dio trinità. Figli, come ci ricorda molto bene la seconda lettura “e se siamo figli siamo anche eredi” della sua stessa vita.

Noi cristiani siamo quindi chiamati a vivere in questo abbraccio e a portare questo annuncio all’umanità tutta, chiamata alla stessa comunione d’amore. “Andate dunque”. Oltre le guerre, le divisioni, le liti, le incomprensioni, tutti, uomini e donne del pianeta, abbiamo la stessa origine da Dio e in Lui la stessa meta: entrare nel suo abbraccio definitivo, per sempre.

Allora il compito e lo scopo della vita è vivere una vita Trinitaria, imparando ad armonizzare le diversità, a superare le divisioni, a costruire relazioni fraterne e capaci di esprimere un amore di donazione reciproca secondo quel circolo di amore che in Dio fa dei tre uno. La Trinità diventa ‘modello’ di una società che riconosce in Dio la sua origine e vive attuando quell’amore circolare e generativo che vede risplendere nel Dio Padre che dona il suo Figlio e tutti ci avvolge nell’abbraccio dello Spirito.

Scriveva la venerabile Madeleine Delbrêl (1904-1964): “L'amore e la vita non vanno dalla terra a Dio, ma vengono da Dio sulla terra. "Dio è Amore" (1Gv 4,8). E' amore perché Trinità. Nella Trinità è l'unità e la fecondità. Da là tutto viene. C'è sulla terra una circolazione d'amore che potrebbe darci le vertigini. Fiori, animali, esseri umani, siamo avvolti dall'amore. Per non sentirci estranei come in dissonanza con la vita stessa, occorre partire dalla Santa Trinità. Lì è l'Amore in sé: "l'amore vero". Da là discendono come a cascata tutti gli amori del mondo, via via meno perfetti, ma che hanno la loro ragion d'essere perché sono il segno dell'amore che esiste in Dio. Dall'amore di un uomo e una donna fino a quello degli animali, fino alle unioni misteriose degli elementi e dei metalli, tutto ciò significa in modo più o meno bello l'amore che è in Dio”.

Di questo amore che viene dall’alto e in alto tutti riporta noi siamo chiamati ad essere testimoni, nonostante le nostre fragilità e i nostri limiti. Nel Vangelo Gesù affida questo compito ai suoi che, si dice, dubitavano ed erano pieni di paure. Non dobbiamo temere. Non siamo lasciati allo sbaraglio. Quell’amore che tutto avvolge ci sostiene: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” ci assicura Gesù. Contemplando la Trinità, pregandola, sentendoci, ogni volta che facciamo il segno di croce nominando il suo santo nome, dentro il suo abbraccio, viviamo cercando di realizzare quelle autentiche relazioni d’amore che hanno in Dio la loro sorgente e il loro modello.


 

sabato 18 maggio 2024

"Ubriachi di Dio" - Solennità di PENTECOSTE

 

Nella prima lettura degli Atti viene detto: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa…” Eccolo all’improvviso, lo Spirito promesso da Gesù, Colui che consola e orienta lo sguardo, i passi, il cammino, come una stella, nel mare di notte.

È lo stesso che, nella lingua ebraica, viene chiamato “Ruah” e che si traduce con respiro, soffio, alito, vento, lo stesso che aleggiava sul caos prima della creazione, quello che animò Adamo, che riempì Maria quando l’angelo le annunciò la nascita del Figlio. Dove c’è Lui c’è vita; qualcosa di nuovo, di vivo, di impensato ha inizio. Il respiro di Dio entra nei polmoni della vita, le dà ossigeno, la smuove e, come per i contadini che festeggiavano la mietitura, la fa ballare.

“La burocrazia non soffochi mai le indiscipline dello Spirito Santo”, scrive l’Abbé Pierre: Spirito indisciplinato, quello di Dio, che non sta alle regole, ai calcoli, agli schemi, ai programmi che ci facciamo, ma che scompiglia, spettina i capelli come vento, muove e spazza via la polvere e la cenere della morte. Sempre per la vita, sempre a soffiare semi, dove vuole, quando vuole, anche nei momenti in cui tutto ci appare impossibile.

Come quando i discepoli pensavano che ormai fosse tutto finito, che la morte avesse chiuso tutto, sprangato i sogni, seppellito ogni tenerezza. E invece, sempre per la vita lo Spirito creatore, quello che consola, Lui che “asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi”.

Non lo imbrigli, come non riesci ad imbrigliare il vento, devi imparare a lasciarti gonfiare le vele e navigare portato da lui, dalla sua fantasia. È questa la verità a cui mi conduce? Questo imparare ad affidarmi, a favore di vento, nella follia di rinunciare alla rotta?

“Come il vento passa sulla cetra e le corde parlano, così nelle mie membra risuona lo Spirito del Signore e io parlo nel suo amore”, è scritto nelle Odi di Salomone: una musica nuova, che io non conosco, incomprensibile secondo i miei schemi, ma è il respiro di Dio, il polline di Dio che esplode nella vita.

Peccato che nel giorno della nostra Pentecoste non venga letto il versetto finale del racconto degli Atti: “Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: «Che significa questo?». Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce»”. Ubriachi gli Apostoli, ubriachi noi, ma con quell’ebbrezza addosso che fa sembrare tutto più facile, tutto più bello, tutto più possibile: perché confusamente avvertiamo che niente, proprio niente, sarà mai impossibile a Dio. Ubriachi di Dio, insomma.

Riflessione di d.Luigi Verdi (da Avvenire 15.5.24)

 

 

sabato 11 maggio 2024

"La speranza non delude" - Solennità dell'ASCENSIONE del Signore Gesù

 

Potrebbe sembrare oggi il giorno dell’addio definitivo. Ma qualcosa è cambiato: la resurrezione ha aperto nuovi orizzonti. Si tratta più di un passaggio di consegne più che un addio. L’Ascensione sta a indicare la continuità della Pasqua, quasi con uno scambio (almeno apparente) di ruoli tra Gesù e i discepoli.  Lui li aveva scelti ora li manda a fare quello che ha fatto Lui. Da loro l'incarico di parlare di lui, di predicarlo a tutti. Proprio a quei discepoli che faticano ancora molto a credere, sono pure impauriti, fragili! Eppure proprio loro invia: “Andate”.

L'Ascensione dice innanzitutto la grande fiducia che Cristo ha anche per noi che oggi siamo la sua Chiesa. Egli affida a noi la sua opera da continuare: «predicare il Vangelo»; ovvero annunciare la buona notizia della vicinanza di Dio nei confronti dell'uomo, di ogni uomo. La buona notizia, che ora spetta a noi, in suo nome e con il sostegno della sua presenza, è dire a tutti quanto più grande del male sia il bene, quanto più forte dell'odio sia il perdono, la vita della morte.

Come? A parole, forse? Non in primo luogo. Nel brano di apertura degli Atti degli Apostoli, prima lettura di questa solennità, si dice: «Gesù fece e insegnò». Prima fece, poi disse. Di nuovo, vale, questo, anche per noi. Prima fare e poi eventualmente dire. E proprio in questi termini Gesù si rivolge ai discepoli af­fidando loro la continuazione della sua opera: non semplicemente dire qualcosa, ma... scacciare demoni, sconfiggere i veleni, guarire la gente. E per riprendere Paolo (2 lettura) attraverso i diversi doni che ciascuno ha ricevuto “edificare un solo corpo”, costruire unità, comunione, nella chiesa, dare testimonianza di fraternità e di pace, diventare testimoni e “cantori” di speranza, come ci invita Papa Francesco in vista del prossimo Giubileo.

Dovremmo allora cominciare a riflettere, innanzitutto, per verificare se non ci capiti invece di fare addirittura il contrario. Ossia: dare spazio ai demoni (il dèmone della prepotenza, dell'invidia, della brama di pos­sedere, della superbia). E ai veleni... I veleni materiali che spargiamo distruggendo i luo­ghi più incantevoli del nostro pianeta. E i veleni immateriali ma non meno dannosi: i veleni della calunnia, con i quali possiamo addirittura distruggere una persona; eppure li spargiamo con grande abbondanza (la giornata odierna delle comunicazioni sociali è un invito a riflettere su come e cosa si comunica attraverso i media e non solo…). Ci sono poi i veleni della cattiveria, dell'esclusione, del pregiudizio verso coloro che non sono uguali a noi: nel colore della pelle, nel modo di vestire, di pensare, di vivere, di credere.

Oggi che le persone sono così spesso ferite, o indebolite da tante sconfitte, o intristite nella solitudine, possiamo dire, noi cristiani, di es­sere gente che guarisce o, almeno, medica queste ferite, sorregge queste debolezze, si accorge di queste solitudini? Di essere portatori di quella speranza che ha le sue fondamenta nel Gesù risorto che ci chiama a condividere la sua vita senza fine?

Cristo si è fidato di noi per portare la bella notizia di un Dio che ci ama, e noi come corrispondiamo?

Festa dell’Ascensione: Gesù oggi trova il modo di andarsene e restare, di sedere alla destra del Padre e rimanere a camminare sulla terra, continuando a portare la sua tenerezza. “Andate voi, ma io sono con voi e non solo nel ricordo o nel racconto di ciò che abbiamo vissuto.” Lo abbiamo letto: “Il Signore operava insieme con loro”. Per questo, nel racconto dell’Ascensione nel Vangelo di Luca viene detto che gli undici “se ne tornarono a Gerusalemme con grande gioia”: lo sanno, lo sentono che Gesù non li lascia più. Mai più.

Cristo oggi come allora agisce con noi, in noi. Da Lui, dalla sua nuova e definitiva presenza viene la capacità di collaborare alla sua missione, di accogliere attuare il compito che ci ha affidato “Andate” e di portare ovunque la speranza che nasce dalla sua Pasqua di morte e risurrezione.

La gente che incontriamo ogni giorno, possa dunque trovare in noi qualcosa (una scintilla, una briciola, almeno) della sua generosità, della sua dolcezza, della sua limpidezza, in una parola, del suo amore.