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sabato 26 febbraio 2022

"Frutti di pace" - VIII° domenica del tempo ordinario

 Si avvicina in anticipo la primavera e gli alberi iniziano a mettere fiori in vista di portare frutti nella prossima estate.

E’ questa l’immagine che oggi la Parola di Dio ripropone più volte. Gesù ci ricorda appunto che come gli alberi anche noi siamo chiamati, con la nostra vita, a portare frutti buoni.

E i frutti buoni nascono dal tesoro del cuore, dall’interno: “l’uomo buono dal tesoro del suo cuore trae fuori il bene”. Tuttavia Gesù ci avverte che permane la possibilità che il cuore sia malato così da portarci a produrre sì frutti ma cattivi. Un avvertimento da non lasciar cadere a vuoto.

Quale può essere questa malattia che incattivisce il cuore?

Le parole di Gesù lasciano intuire ciò che rende l’animo umano cattivo. Potremmo diagnosticare questa malattia con due parole: presunzione e giudizio.

La presunzione di “vederci bene”, di sapere già tutto, di essere già bravi abbastanza…; ma “può forse un cieco guidare un altro cieco? Un discepolo non è più del maestro”.

Questa malattia porta a “cadere in un fosso” e non da soli ma anche con chi abbiamo la presunzione appunto di voler aiutare e guidare…

Il giudizio poi è la seconda malattia che rende cattivo il cuore facendoci portare frutti cattivi.

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”.

Giudicare gli altri è un maledetto vizio che è difficile vincere. Non c’è tuttavia come il giudicare le persone che genera cattiveria, discriminazioni, lotte, astio, odio.

Tutti frutti cattivi che spuntano sull’albero della nostra vita se il nostro cuore si ammala di presunzione e del vizio di giudicare.

Questo maledetto pungiglione del male segna la nostra vita e ci rende incapaci di fecondità positiva; anzi ci rende distruttivi, seminatori di liti e di guerre.

Rassegnarci? Accontentarci? Scoraggiarci? No. C’è una via. Paolo nella seconda lettura la annuncia. “Dov’è o morte il tuo pungiglione?...Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. E poi continua: “Perciò rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore”.

Gesù è colui che solo può vincere quel male che si nasconde nel cuore dell’uomo e donarci quella linfa vitale che ci rigenera e ci rende capaci di diventare alberi buoni portatori fecondi di ogni bene, artigiani di pace.

Attingiamo da Lui questa linfa: essa ci è data attraverso la sua Parola che è sempre parola creatrice e feconda, abitata dal Suo Spirito di vita.

Il cammino quaresimale che a giorni iniziamo sia occasione favorevole per attingere da Lui e per portare con Lui e grazie a Lui frutti di vita nuova.

Pur facendo fatica, camminiamo con Lui, sapendo che Lui solo può guarirci e renderci fecondi di bene, “sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore”.

Allora potremo unirci al salmista riconoscendo che “Il giusto fiorirà come palma… nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi per annunciare quanto è retto il Signore, mia roccia”.

 

 


sabato 19 febbraio 2022

"Come io...anche voi" - VII domenica del tempo ordinario

Un brano che va contro ogni buon senso umano, ogni calcolo, contro ogni equilibrio. Gesù, dopo l’annuncio della beatitudini, ci propone un orientamento preciso: vivere come Lui, amare come Lui se siamo suoi discepoli, se in Lui crediamo. “Vi do un comandamento nuovo: come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (versetto all’alleluia).

Gesù non fa altro che proporre se stesso. Invita noi a fare come ha fatto Lui: che ha amato i nemici, ha fatto del bene e chi lo odiava, ha benedetto chi lo malediceva, ha pregato per i coloro che lo trattavano male. Ha offerto l’altra guancia, ha dato, donato a tutti gratuitamente. Dimostrando che amare così non è debolezza, ma forza che spiazza l’altro costringendolo a deporre ogni resistenza. “Come io, anche voi”. Così amatevi.

Questa la novità che supera totalmente le nostre cosiddette ‘giuste misure’, i nostri equilibrismi, il nostro non andare oltre il dovuto.

Ma “se amate quelli che vi amano cosa fate di straordinario?”. E’ umano fare così. Lo fanno tutti, lo fanno anche solo per interesse, per comodità.

Al discepolo è chiesto il passo in più, la novità appunto di un amore che non ha misura, se non quella di Gesù stesso.

Il passo in più è amare di un amore umano capace di svelare un amore divino. Per usare le parole di Paolo nella seconda lettura: c’è un uomo terrestre ma c’è anche un uomo celeste; un uomo animale e un uomo spirituale. E noi per grazia di Dio siamo stati resi da terrestri celesti, da animali spirituali. Ecco perché chiamati ad amare in modo nuovo perché così “sarete figli dell’Altissimo”, “misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”.

E’ la novità del cristianesimo che introduce l’uomo nuovo nella storia, l’uomo figlio di Dio reso da Lui capace (noi non ne saremmo in grado) di un amore concreto ma che va oltre l’umano per generare una storia nuova scombinando i giochi di equilibrio e di calcolo che non portano ad amare ma solo a cercare difesa e possibilmente rivincita sull’altro.

Quanto è di estrema attualità, di estrema urgenza questo messaggio. Come cristiani rischiamo di relegare queste parole del vangelo come fossero ‘modi di dire’, ‘generiche e esagerate indicazioni’, mentre sono il cuore del nostro essere figli di Dio, discepoli di Cristo. Certo non è facile metterle in pratica. Ma finché le riteniamo semplici bonarie indicazioni non sentiremo nemmeno l’urgenza di tentare di viverle.

Oggi in particolare, in un clima sociale sempre più segnato da tensioni, conflitti, odio verso tutto e tutti, dove l’altro, soprattutto se diverso da me, è subito indicato come nemico, si pone urgente offrire una testimonianza nuova, incisiva, forte, di relazioni diverse fondate su un amore vero, un amore ‘divino’. E’ questa la vera alternativa oggi, la vera rivoluzione.

Chiediamo allora al Padre che “è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” che ci doni sguardo, cuore, linguaggio e vita nuovi.

Uno sguardo nuovo capace di guardare l’altro e vederlo al di là di ogni etichetta o attributo; di vedere non più amici o nemici, vicini o lontani, ma solo figli, figli di Dio come noi.

Ci doni un cuore nuovo, libero da giudizi, rancori, capace di rispetto anche verso chi diverso da noi; un cuore soprattutto libero dalla paura dell’altro, quella paura che porta a vedere nemici ovunque e che alla fine genera chiusura, cattiveria, odio.

Ci doni un linguaggio nuovo, capace di verità e non di menzogna, capace di benedire e non maledire, capace di non parlare male di nessuno, di non offendere e giudicare l’altro.

Ci doni dunque un modo nuovo di vivere, capace innanzitutto di fare propria la regola d’oro: “come volete gli uomini facciano a voi, così anche voi fatelo a loro”, - e questo umanamente sarebbe già molto! - per arrivare, passo dopo passo, a quell’amore che Gesù ha vissuto e ci ha donato invitandoci a orientare ad esso il nostro modo di amare:  come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.”

 

sabato 12 febbraio 2022

"Felicità alternativa" - VI° domenica del tempo ordinario


Le Beatitudini risuonano nei vangeli come proposta di vita per il discepolo essendo lo specchio della vita stessa di Gesù.

Sono due  i testi delle Beatitudini. Uno in Matteo che ci offre nel suo vangelo le otto beatitudini quali proposte per una vita autenticamente cristiana. L’altro in Luca – nel vangelo di oggi – vuole invece rimarcare come le beatitudini siano fortemente alternative e controcorrente alla logica del mondo. Per questo oppone il “beati” al “guai”: non certo come una minaccia per incutere timore quanto invece per aprici gli occhi e aiutarci a saper vedere oltre le apparenze.

Gesù è infatti il profeta che indica con chiarezza la via di Dio sulla scia dei grandi profeti biblici: abbiamo ascoltato Geremia nella prima lettura “Maletto l’uomo… Benedetto l’uomo…”. Parole riprese nella preghiera del salmo, che aiutano a fare sintesi anche di quanto Gesù dice ai suoi discepoli: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia”.

Questa è la via che Gesù indica ai suoi discepoli: confida nel Signore e non nella logica umana. Il brano delle beatitudini di Luca vuole svegliare i discepoli dal pericoloso inganno dell’egoismo che appunto la logica del mondo propone.

Il senso profondo dell’aver fede consiste nel fidarci totalmente del Signore e non degli idoli che ingannano e illudono.

E oggi sono tanti, ogni giorno, i dispensatori di felicità, proponendola e offrendola nel successo e nell’affermazione di sè, nel facile guadagno, nella soluzione ad ogni problema.

L’idolo del denaro, del piacere, dello star bene, del pensare a sé oscura spesso anche il nostro sguardo e ci tenta, illudendoci che sia proprio lì la strada per la felicità.

Certo che siamo chiamati alla felicità e che è giusto cercarla, raggiungerla, tuttavia essa ci è data nella misura in cui ci mettiamo dalla parte di Dio, di ciò che non è effimero, apparente, ingannevole, diventando capaci di vivere una vita che si apre nella semplicità e sobrietà alla condivisione, alla solidarietà, alla giustizia, al bene comune. Lì sta di casa la felicità autentica e duratura che è data a coloro che fidandosi di Dio sanno aprirsi a Lui e al prossimo.

Cosa vuol dire confidare in Dio? Significa semplicemente fidarsi che, in un modo o nell’altro ce la manda buona? No certo, sarebbe assurdo questo atteggiamento.

Il Dio in cui confida il discepolo, il cristiano, è Colui che Gesù stesso ci ha rivelato come Padre e si prende cura di noi così come si è preso cura del Suo Figlio Gesù e non lo ha lasciato in potere del male e della morte. Gesù infatti è stato il povero, l’affamato, l’afflitto, il perseguitato fino alla morte, ma non è stato abbandonato dal Padre in cui ha riposto tutta la sua fiducia. Il segno di questa vicinanza è stata la sua risurrezione.

Fidarci di Dio è credere che Lui è capace di dare vita a noi come l’ha data al figlio.

Per questo, Paolo nella seconda lettura insiste dicendo “se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati… ma Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Con Lui anche noi possiamo confidare nella vita nuova, nella beatitudine che ci è data, perché Gesù è vivo, Lui la primizia di tutti noi.

Allora il discepolo vive tra la folla confidando nel Signore, nella sua presenza e vicinanza, nella certezza che se vive come Lui, nella fiducia al Padre, giungerà alla pienezza della vita, alla vera beatitudine, pur passando per quella strada di croce che segna il suo cammino come ha segnato i passi di Gesù.

Concretamente questo significa oggi per noi non temere di fare scelte cha vanno al contrario della mentalità corrente. Questo in ogni ambito: sia riguardo all’accoglienza e al rispetto della vita, sia nell’uso del denaro e dei beni, capaci di essenzialità e semplicità, di condivisione e di solidarietà; sia riguardo l’impegno nella comunità e nella società di cui si è parte senza rinchiudersi nel privato ma collaborando per il bene comune e così via…

Ecco allora che le Beatitudini diventano stile di una vita nuova che, sostenuta dalla fede nel Signore risorto e vivente, trova il coraggio, confidando  in Lui, di lavorare con perseveranza e gioia alla edificazione del suo Regno.

 

sabato 5 febbraio 2022

"Custodi della vita" - V° domenica del tempo ordinario.

Tre letture e tre personaggi che fanno un’esperienza comune: quella dell’inadeguatezza. Isaia, Paolo, Pietro nel vivere la loro relazione con Dio percepiscono la loro fragilità e indegnità. E la riconoscono apertamente: “uomo dalle labbra impure io sono” dice Isaia; “non sono degno di essere chiamato apostolo” afferma Paolo; “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” esclama Pietro.

Non facciamo certamente fatica a riconoscerci simili a loro. E’ la nostra realtà umana e fragile. Tutti noi scopriamo la nostra inadeguatezza, il nostro limite, il nostro peccato, soprattutto quando ci poniamo con cuore aperto davanti alla grandezza e bellezza del Signore. Più ci si avvicina a Lui e più scopriamo quanto ne siamo lontani, indegni.

Questo potrebbe facilmente portarci allo scoraggiamento, alla rinuncia nel vivere un cammino di fede, alla chiusura. E’ lo stesso rischio sperimentato dai tre personaggi incontrati.

Tuttavia questo per loro non accade. Perché? Perché l’esperienza dell’incontro con Dio fa sperimentare loro anche la grandezza del suo amore.

Il Signore  accoglie così anche noi come siamo, con tutte le nostre fragilità. E dice anche a noi: “Non temere, tu sarai…”. Tocca le nostre labbra, sale sulla nostra barca, entra nella nostra vita e, accogliendoci così come siamo, ci dona la sua grazia, la sua forza. “D’ora in poi tu sarai”. Bello questo: “tu sarai”. “Il miracolo  più grande compiuto da Gesù non è tanto la rete piena di pesci, quanto aver aiutato i suoi discepoli a non cadere vittime della delusione e dello scoraggiamento di fronte alle sconfitte. Li ha aperti a diventare annunciatori e testimoni della sua Parola.” (p.Francesco)

Con me – ci dice Gesù – tu sarai capace di cose nuove, belle, grandi. “Sulla mia Parola” la tua vita porterà nuovi frutti. Noi tutti veniamo resi capaci di costruire una storia non di affanno, paura, confusione che alla fine ci lascia a mani vuote – come quei pescatori dopo una notte di fallimento - ma una storia aperta al nuovo, al bene e alla giustizia, alle cose veramente essenziali e che contano, alla vita. Capaci soprattutto – ed è per questo che Lui ci chiama – di generare vita, di custodire la vita. Così farà Isaia diventando profeta che annuncia vita al suo popolo. Così Paolo, testimone che l’incontro con Gesù il risorto, il vivente,  riempie di senso la nostra vita. E così sarà di Pietro e dei discepoli chiamati a diventare “pescatori di uomini”, ovvero capaci di aiutare ogni uomo e donna a venir fuori dal mare della morte e sperimentare la bellezza della vita, a saperla custodire e amare.

Questo il compito-missione che Lui ci affida, a ciascuno e a tutta la sua chiesa. Compito che già troviamo nelle prime pagine della Bibbia e che sempre la accompagna: essere custodi della vita che ci è stata affidata dal Creatore.

Oggi la chiesa italiana celebra la giornata per la vita e questo messaggio risuona in tutta la sua forza.

Davanti al Signore riconosciamo certo la nostra indegnità ma soprattutto lasciamoci trasformare dalla sua misericordia per essere insieme “pescatori di uomini”, custodi di vita, annunciatori di una Parola che ha la capacità di illuminare e guidare la vita di tutti noi verso la sua pienezza.

I vescovi in particolare ci invitano a fare tesoro di questi anni di pandemia, dove ci siamo accorti della fragilità della vita umana ma abbiamo anche sperimentato l’importanza del farci custodi gli uni degli altri perché tutti possano affrontare la vita anche nei momenti più difficili. “La lezione della recente pandemia è la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme” (Papa Francesco). Ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui, che custodisca la sua vita dal male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione. Come comunità cristiana facciamo continuamente l’esperienza che quando una persona è accolta, accompagnata, sostenuta, incoraggiata, ogni problema può essere superato o comunque fronteggiato con coraggio e speranza.

Anche noi come Isaia, Paolo, Pietro e i primi discepoli sentiamoci oggi chiamati a diventare ogni giorno e in ogni situazione custodi del dono della vita, nostra e di tutti.