Un’altra
immagine bella, chiara e insieme profonda dopo l’immagine del pastore. Un’immagine
che ci dice qualcosa di rivoluzionario.
“Io sono la vite, voi i tralci”.
Sono queste le parole totalmente nuove. Forse così abituati a risentirle sembra
non abbiano a dire nulla di particolare. Di fatto c’è una grande rivelazione: noi
siamo direttamente innestati a Lui. Nella nostra vita scorre la sua. Siamo una
sola cosa. Vite e tralcio sono la stessa realtà. L’uno vive dell’altra, della
stessa linfa vitale. Noi siamo, al di là di ogni nostro merito, abitati da
Cristo vita. La sua energia è in noi. In quanto tralci della vite, siamo vite.
In quanto creature siamo abitati dall’energia del Creatore che ci è data in
Cristo e nel suo Spirito come ci ha ricordato anche Giovanni: “In questo riconosciamo che egli rimane in
noi: dallo Spirito che ci ha dato”. “Un Dio che ci scorre dentro” e ci
rende figli suoi, perché in noi scorre la stessa vita del Padre e del Figlio
amato, il loro Spirito d’amore.
Ma
va pure sottolineato il “voi” che
Gesù utilizza. Non tanto io-tu, ma io-voi. Questa considerazione allarga il
nostro orizzonte e ci fa percepire la nostra vita come parte di un orizzonte
più grande.
Il
voi è riferito sicuramente alla chiesa, quella comunità che trae la sua linfa
vitale da Gesù: la vigna da sempre amata! Ma il voi arriva anche a indicare
l’umanità intera: Gesù è Colui che dà vita a tutto l’universo e tutto
l’universo altro non è che fecondità di tralci da Lui generati. Questo è
veramente grande, rivoluzionario: un modo tutto nuovo di pensare a Dio.
Ci
è poi detto lo scopo di questo essere abitati da Lui: “che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
Il
portare frutto innanzitutto: questo Lui si attende. Questo desidera: ci vuole
fecondi. Non ci chiede di rinunciare a realizzarci, di reprimere i nostri
desideri positivi, le nostre doti e possibilità, ma di essere fecondi,
portatori di frutti, generatori di vita.
La
sua energia che scorre in noi –l’amore- non va spenta, bloccata, ma deve
trovare spazio di creazione nella nostra vita, nelle nostre opere, nei frutti
che siamo chiamati a portare.
E
questo sia attua con il diventare discepoli di Gesù. Diventare, giorno dopo
giorno, sempre più discepoli che apprendono da Gesù l’arte di portare buoni
frutti.
Interessante
è notare come il “portare frutto” è
strettamente legato al “diventare
discepoli”. Quasi a ricordarci che i frutti attesi altri non sono che i
frutti stessi che Gesù ha portato e che ora noi come suoi discepoli dobbiamo
saper portare. Frutti che maturano “dal
seme che muore”, da una vita aperta al dono e al perdono, spesa per gli
altri, per il Regno e non conservata per sé, per il proprio comodo.
Ecco
la necessità dunque della continua purificazione: “ogni tralcio che porta frutto lo pota” lo purifica “perché
porti più frutto”. Non si tratta tanto di un Dio che ama farci soffrire pur
di vedere maggiori risultati… Piuttosto di un Dio che ci invita ad affrontare
le lotte, le fatiche della vita, garantendo che tutto ciò porterà a una vita
più piena. Questo ce lo ha detto attraverso il suo Figlio che, passato dalla
potatura della passione e morte, è giunto allo splendore della risurrezione.
Infine
un’ultima cosa ci è detta in questo ricco brano. Che tutto ciò, perché diventi
possibile, chiama in gioco la nostra libertà e la nostra scelta. Noi dobbiamo
far di tutto per “rimanere in” Lui. E’
questo il nostro ‘unico’ impegno: “rimanere
in” Lui.
Questo
verbo è la parola chiave di tutta la riflessione. Viene ripetuto ben sette
volte: rimanere. “Come il tralcio non può
portare frutto da se stesso se non rimane nella vita, così neanche voi se non
rimanete in me”. “Chi rimane in me e
io in Lui, porta molto frutto”.
E’
vero che noi in quanto tralci siamo già in Lui vite. Ma è altrettanto vero che
possiamo, nella nostra libertà, decidere di voler fare a meno della vite, di
voler fare da soli, di ‘scollegarci’ da questa linfa di energia e di vita. Il
risultato è alla fine uno solo: “viene
gettato via come il tralcio e secca”. E’ il fallimento di noi stessi.
Rimanere:
non accanto, non vicino, ma “in”. E’
un rapporto profondo, vitale che ci è chiesto, di intimità e di comunione.
Rapporto che è garantito dallo Spirito che abita in noi e che si attua
attraverso l’ascolto della Sua Parola. “Se
rimanete in me e le mie parole rimangono in voi chiedete quello che volete e vi
sarà fatto”: l’ascolto della Parola porta a mantenere il contatto vitale
con Gesù e a consentirgli di prendere dimora in noi.
Ascoltare
è far dimorare l’altro in noi, è dimorare in Dio stesso per avere in noi la sua
energia e vita che ci rende capaci di “portare
frutto”. Quei frutti di amore che hanno la capacità di generare storie
nuove, relazioni diverse, gesti e scelte di giustizia e di pace.
Tutto ciò produce la Parola quando, accolta in noi,
grazie allo Spirito che la feconda ci fa rimanere in Gesù e con Lui capaci di
vivere secondo il Vangelo.